di Alessandro De Santis
Tutto il giorno aveva camminato sul ciglio della strada
contava i passi e li classificava
e poi passava agli organi, alle carni
la lingua lastricata e le sue selci
intrise del sudore del non dire.
di Alessandro De Santis
Tutto il giorno aveva camminato sul ciglio della strada
contava i passi e li classificava
e poi passava agli organi, alle carni
la lingua lastricata e le sue selci
intrise del sudore del non dire.
di Marina Pizzi
246.
in un gioco di penombre la breccia della leccornia (la tavola imbandita) per convincere il sole a farsi dominante così da poter sbattere le coperte in piena pace dal balcone.
247.
le rivalità dell’ombra giochicchiano imbattute
248.
con il limite degli occhi ci guardiamo in cagnesco
249.
con una biglia so giocare come fosse un anfiteatro
di Silvio Mignano
20 gennaio e 4 maggio 2008
L’oscurità, di per sé tutt’altro che assoluta, è perforata da tremolanti luci aranciate, che si riflettono sulle pareti sporche come lingue d’acqua in una piscina asciutta. La folla si apre a ventaglio, in mezzo agli stridenti rumori delle seggiole trascinate sul pavimento di linoleum. Il rimbombo di una musica di chiesa, un basso stonato che dovrebbe richiamare Bach o il Requiem di Mozart e fatica invece a elevarsi al di sopra di un confuso agitarsi di crome e biscrome, un involontario rap per voci ed organo.
[18 immagini + lettere invernali per l’estate; 1, 2,
3,4…]
di Andrea Inglese
Cara Reinserzione Culturale del Disoccupato
mi mancano le risorse
sembra poco un problema non decisivo
quello delle risorse una condizione momentanea
come un calo di energie e temporaneamente
non si riesce ancora a riposare basterebbe
trovare una stanza con un letto o anche
in luogo pubblico una poltrona o una sedia qualunque
abbastanza al riparo un angolo non troppo
frequentato le risorse non dico tante ma sento
che mancano
c’è di peggio c’è gente che sta male
che sta malissimo che brucia – dico – brucia viva
nelle guerre e non ne esce gente nata in guerra
o che si toglie la vita c’è gente gravissima che si butta con la testa
contro il muro o salta giù da un’automobile in corsa
anche in tempo di pace gente con grossi problemi
in democrazia può votare ma ha grandissimi problemi
tipo il padre o la madre o vuole fare a pezzi il cane
e non ha soldi c’è gente che non ha nessun soldo
ma è piena di debiti e anche di malattie e beve
beve fino a vomitare e non smette più di vomitare
pur essendo malata e non può stare da nessuna parte
ma soprattutto non può stare assieme agli altri
continuando così a bere e vomitare o prima l’uno poi l’altro
di Nadia Agustoni

LE TEMPS DE CERISES cantata da Edith Piaf,
parole di Jean-Baptiste Clément, musica di Antoine Renard,
canzone della Comune di Parigi
“Il piacere dello schizzo topografico al quale Stendhal si abbandonava con mano leggera nel suo Henry Brulard è un dono che non mi è stato concesso e con mio grande rammarico sono sempre stato un pessimo disegnatore.”
La lingua salvata
Elias Canetti [*]
Facendo mie queste parole di Elias Canetti vorrei raccontare un episodio di trentotto anni fa. Di Parigi so più o meno quello che ho letto. Walter Benjamin nei suoi “passages” inserì un capitolo sul barone Haussmann che mi ha sempre intrigato molto. Haussmann era stato stato l’artefice della modernizzazione della capitale francese e a lui furono addebitate molte cose in bene e in male. Se, come pare, Haussmann mise mano a quel progetto di sventramento del nucleo storico delle rue di Parigi, anche perché un nuovo modello di città caratterizzata dai grandi boulevard poteva impedire le barricate in caso di rivoluzione, certamente fallì. Lo smacco divenne ben presto evidente, ma per quanto mi riguarda mi soffermerò sulle motivazioni addotte per giustificare quei cambiamenti.
di Marina Pizzi
152.
E’ qui che mi si dà il soqquadro dell’amarezza al tasto che tutto può nei tasti gemelli di genesi con esito diverso. Si formano le parole e le guardo nel leggerle con la fratellanza del mito, con il polso gonfio di evocarle musiche al calendario da stracciare a poco a poco.
153.
Alla bocciofila c’è un’unica donna campionessa di lancio e di stecca quando gioca al biliardo. E’ molto ammirata, ma lei, ormai, è l’ultima rata di donna, un siluro di pianto nonostante nessuno la senta o veda la sua furia. In spirito si sente ragazza e questo la uccide ben più della incipiente vecchiezza. Tutti la sogguardano e la trattano con rispetto un po’ amoroso. Lei lo nota e se ne accontenta in nota, nota di sé, oramai.
154.
Rampe per alienati queste linee inclinate verso l’ospizio dove ridono e si disperano tutti i nati dati per alieni appena dopo.
155.
Era un collo in fato di bambina, era un crollo in fato di ragazza, era uno scorporo in fato di donna.
156.
Lasciami addosso la nuca di piramide che non toccherà dio
La poesia che segue, a lungo meditata, dopo la visione del film capolavoro, credo possa accreditarsi non solo come poesia ma anche come prosa. Basta non andare daccapo. La dedico a Franz e Gianz.
effeffe
Perché John Wayne non c’ha la pensione e manco il mutuo
John Wayne si scola il whisky nel saloon pure tarocco
Non c’ha mica il letto John Wayne dorme vicino al cactus
John Wayne sferra cazzotti meglio di Clemente Russo
Quando finisce di lavorare John Wayne tutti i cartellini
si porta a timbrare John Wayne e se incontra il capo
Gli dice vuoi abbuscare John Wayne con in mano la canna
del Winchester John Wayne a Pechino sai quante medaglie
di Tina Nastasi

UMBERTO SABA, Nino Spagnoli 2004
Fondazione CRTrieste, AIAT Trieste
Comune di Trieste – Assessorato alla Cultura
(tratto da qui)
. . . . voglio ricordare le parole di un uomo che ho avuto l’onore di incontrare in forma di statua nella sua amata Trieste.
E’ uomo che si raccoglie delicatamente e si conduce a casa, dopo un andare per vie, breve o lungo che sia poco importa, in un ritrovare vie già percorse eppure nuove e strane ora che si è visto altro.
Ripercorrere nuovamente la sua città, nota fin dall’adolescenza, non basta a ritrovarsi integro dopo un viaggio, perché l’altrove fa diverso ciò che pure già conoscemmo “fino al più remoto cantuccio”.
E’ necessario “entrare nella nostra stanza, chiuderla”. E in quel “nostra” v’è tutto e solo quell’uomo che porta a casa la sua anima.
di Robert Gernhardt
rifacimento di Lisa Scarpa
Così di merda li trovo, i sonetti,
talmente angusti, rigidi e dappoco;
mi fa proprio girare i cosiddetti
che chi li scrive, chi discopre il foco
sacro di continuar con ‘sta cacata;
il fatto solamente che lo faccia
mi manda in vacca tutta la giornata.
Io m’inceppo. E la collera s’affaccia
di Rosella Postorino
Valerio, vieni a bere.
Valerio saltella sulle scarpe da ginnastica, le guance rosse di chi ha corso troppo e ora ha sete. Si avvicina alla fontanella.
Fa finta di schizzarla e lei fa uno scatto indietro, ma le scappa una risata.
Dài, amore, bevi.
Il bambino accosta il viso all’acqua, tira fuori la lingua e lascia che si inzuppi, come i cani.
Carla guarda suo figlio di 10 anni. La bocca spalancata come un’insolente linguaccia.
Intorno alle rive dell’Aniene il verde si estende selvaggio. Carla lo insegue fino a perdita d’occhio.
Valerio, hai finito di be– Valerio!
Lo scarico della fontanella sta risucchiando il corpo di Valerio. Carla nemmeno riesce a urlare, si lancia su di lui nel tentativo di afferrarlo ma fa solo in tempo a vederlo ingoiare dal tombino, il getto dell’acqua che si schianta contro la base di pietra, vuota, senza sosta, mentre Valerio, suo figlio, è scomparso per sempre.
di Danilo Pinto
In Inghilterra ginnastica alla fermata
del bus, per mantenersi in forma
e volantini illustrano esercizi
ispirati alla tecnica del metodo pilates
«adatti a tutte le età». E’ la fine
del gioco, del vero e sincero.
Muoversi coi mezzi snellisce
il traffico e le cotiche.
Every stop helps, così dice
lo slogan. La Fonda aerofaceva
il make-up sulla corda. Ora nel bus
coinvolge for the moment
solo la linea – every breathe you take
BLACKBURN-MANCHESTER.
di Franz Krauspenhaar
Con il presente post, l’ultimo, annuncio la mia uscita da Nazione Indiana. E’ stata un’esperienza per me importante, a volte addirittura esaltante. Ma se è vero che sul web il tempo marcia molto velocemente, più velocemente che “fuori”, la stanchezza, ora come ora, ha preso il sopravvento.
Colgo l’occasione per ringraziare Tiziano Scarpa, che mi volle nella “squadra” nel dicembre del 2004, e tutti gli Indiani, nessuno escluso. Con molti di loro ho condiviso idee, parole, moti di affetto sincero e vera amicizia. Nazione Indiana mi ha dato la possibilità – rara – di conoscere persone eccezionali, e di farmi conoscere, di uscire dall’isolamento di cui sono preda, per varie ragioni, gli scrittori. Nazione Indiana è una bella realtà, e io ne sarò sempre un “tifoso” sfegatato, un sostenitore e, se possibile, un fiancheggiatore. Troppi i ricordi e gli affetti che mi legano a questo “organismo letterario vivente”. Ma è venuto il momento di mettersi da parte, almeno per me. Non c’è un motivo particolare, in questa mia decisione, se non stanchezza, una parola che racchiude molte cose: e comunque, è meglio ritirarsi quando va ancora tutto bene, credo. Sono in programma alcuni post per i giorni successivi, fino alla fine di agosto. Dopodichè, tornerò ad essere lettore e commentatore soltanto.
Un grande augurio a tutti gli Indiani di buon lavoro, e un saluto e un grazie ai lettori e ai commentatori.
Addio a Krauspenhaaru, di Giovanni Cossu: sambenadu.
Sul suo blog l’amico Massimo Maugeri ha lanciato una sfida ai lettori invitandoli a votare il migliore singolo e album della storia del Rock, sulla falsa riga della Top 100 proposta dal Magazine Rolling Stone.
In tantissimi hanno così lanciato le proprie proposte ( per quanto mi riguarda ho votato Sympathy for the devil e Quadrophenia) e nel lunghissimo thread eccellentemente moderato da Gea ed Enrico, una giovane (presumo) commentatrice, Miriam, ha fatto un’osservazione che non solo mi pareva azzeccata ma che ha scatenato in me un’altra serie di interrogativi a cui ho provato a dare una risposta.
Miriam suggeriva infatti in po’ a tutti di non limitarsi a fare citazioni, riportare link a Youtube o Myspace, ma di tentare una sorta di cartografia affettiva delle canzoni cercando di trasmettere ai lettori non solo l’informazione ma anche l’emozione che aveva portato a quella scelta. Nel blog troverete ovviamente la formulazione originaria e vi invito a leggerla. Qui invece riporto la mia prima riflessione sperando con voi di trovare una risposta alla “chose”.
Postato Martedì, 19 Agosto 2008 alle 8:10 pm da effeffe
Cara Miriam,
era da un po’ di tempo che mi interrogavo su questa storia delle playlist. Sono stato tra i primi partizan dell’I-pod per puro caso.
di Angelo Maria Ripellino
[ Si pubblica l’eccezionale testimonianza di Ripellino sull’invasione della Cecoslovacchia, apparsa nel servizio Dietro il muro di Praga («L’Espresso», XIV, 35 – 1° settembre 1968), adesso raccolta nel volume L’ora di Praga. Scritti sul dissenso e sulla repressione in Cecoslovacchia e nell’Europa dell’Est (1963-1973). A cura di Antonio Pane, Le Lettere, Firenze 2008. ]
Sono tornato da Praga con disperazione e con rabbia. Dopo aver vissuto per due mesi le speranze e le apprensioni di un popolo, alla cui cultura ho dedicato gran parte della mia esistenza. Tanto più amaro è il mio ritorno in quanto questo magnifico popolo è stato offeso e schiacciato dall’esercito di un altro paese, della cui letteratura io sono da lunghi anni testimonio ed amico in scritti e lezioni. È tempo di liberarsi ormai di tutte le illusioni e di tutti gli inganni nei riguardi della Russia. È chiaro che la presente avventura sovietica, coperta del solito leucoplasto ideologico, con le sue brutalità e i suoi colpi di teatro, questo miscuglio asiatico di truculenze e di falsi e di minacce e di beffe e di abbracci e di parolone, si inquadra logicamente nella cornice secolare della storia russa, come se nulla fosse cambiato dalla sanguinaria e crudele epoca di Ivan il Terribile e come se i cecoslovacchi fossero i tartari della città di Kazan’, da lui conquistata.
Del resto sia pure così: Kazan’, dicono le cronache del Cinquecento, era una marmitta dentro cui il popolo ribolliva come acqua.
[18 immagini + lettere invernali per l’estate; 1, 2,
3,
…]
di Andrea Inglese
Cara Reinserzione Culturale del Disoccupato,
le mie relazioni sociali esistono
posso stare tranquillo
quando mi capita di pensarci
nel loro insieme tutte quante
senza neppure soppesarle da vicino
le relazioni – mi dico – ci sono
ed è sufficiente questo: un pensiero
(l’insieme delle mie esistenti relazioni
sociali) e sono invaso
da un senso di tranquillità
e non le conto neppure non voglio
considerarle con eccessiva
precisione – sotto un aspetto globale
così è sufficiente: sono relazioni di società
tanto evidenti che esistono
tutte quante assieme
per la mia tranquillità