(La seconda parte del saggio è pubblicata qui.)
di Andrea Inglese
Voglio proporre una serie di riflessioni non troppo sistematiche, che hanno però almeno due tratti in comune. Si tratta di riflessioni orientate a formulare domande intorno a prospettive di ricerca già avviate, che possono interessare l’attuale discorso critico sulla poesia italiana. E tali riflessioni pretendono di porsi ai margini del discorso critico o, più precisamente, tra il discorso critico e qualcos’altro. Ora questa posizione di margine è giustificata da due ragioni, una teorica e l’altra personale. Condivido, innanzitutto, l’idea di Fortini che lo scopo della critica «consiste nella implicazione di vari ordini di conoscenze in occasione e a proposito della conoscenza di un oggetto letterario» (1). Una critica quindi che, secondo la parafrasi che ne fa Mengaldo, «si pone come mediatrice, ma non fra opera, o autore, e lettori (…), bensì (…) fra il senso della prima e quello che il critico crede sapere in generale della società, realtà, mondo» (2). Ciò significa che il raggio d’azione del critico abbraccia, sul versante specialistico, la strumentazione tipica dell’analisi dei testi letterari, ma su di un altro versante, consapevolmente dilettantesco, esso si apre sul mare magnum dei discorsi non letterari.