di Stefano Gallerani
«Siete proprio necessario voi? Che cosa siete voi? Una mano che gira la manovella. Non si potrebbe fare a meno di questa mano? Non potreste esser soppresso, sostituito da un qualche meccanismo?»
(Luigi Pirandello, Quaderni di Serafino Gubbio operatore)
«Nell’era elettronica noi viviamo senza un corpo. Questo spoglia l’individuo della sua identità personale e porta all’emergere d’una personalità di massa.»
(Marshall McLuhan, Gli strumenti del comunicare)
«Più tardi del suo solito, un mattino d’estate del 1984, Zoyd Wheeler si svegliò poco a poco alla luce del sole che filtrava attraverso un fico rampicante, dalla finestra, mentre uno squadrone di ghiandaie marine zampettava sul letto». Sebbene cominci con un risveglio, lo sguardo con cui, all’alba dell’ultima decade del secolo scorso, Thomas Pynchon scruta il 1984 in Vineland (1988), il suo quarto romanzo, quello più accoratamente civico, senza dubbio il più politico, è davvero lo stesso che il dormiente rivolge al mondo della realtà prima di arrendersi al sonno. Lo sguardo di chi, nell’abbandonare un universo materiale di oggetti concreti, tangibili, definiti nelle forme e circoscritti nei volumi, già comincia a vederli, queste forme e questi oggetti, così come li trasfigurerà il sogno, slabbrandone i margini, liquefacendone i contorni.