di Sossio Giametta
Fedelissimo al titolo del libro in cui il saggio su Leopardi è contenuto, Croce si fa a sceverare in esso, pagina dopo pagina, ciò che nell’opera di Leopardi, ma anche si può dire nella sua vita, è poesia e ciò che non lo è.
di Sossio Giametta
Fedelissimo al titolo del libro in cui il saggio su Leopardi è contenuto, Croce si fa a sceverare in esso, pagina dopo pagina, ciò che nell’opera di Leopardi, ma anche si può dire nella sua vita, è poesia e ciò che non lo è.

Louis Pierson, Ritratto della Contessa Castiglione e suo figlio, 1864
C’è il tempo interno dell’immagine e il tempo necessario per farla, l’immagine, sono due cose diverse. Ma, c’è il tempo necessario a pensare e arrivare all’immagine e poi c’è quello che fisicamente serve perché l’immagine esista, venga registrata sulla pellicola.
di Giovanni Catelli
Dnepropetrovsk, stalovaja
Dalla mensa vedo le gambe dei passanti fluttuare, in un gorgo di luce quasi marina, le tende sottili s’increspano tremano per lievi misteriose correnti, sulle tavole a fiori cade un lontano riverbero, da fioche lampadine, come da un inverno, da un immenso peso di stagioni mai concluse, un’eterna incomprensibile fatica : ora viene, avanza, quel rotolio profondo, cupo, dalle nere gomme dei filobus, cresce, sino al tremore dei vassoi, al gonfiarsi del silenzio, lungo l’aria immobile, dissipa, la vita della strada, con cieco battito di fuga, inquieta velocità insonne, depreda sino al buio la sosta delle cose, quella loro antica timorosa ritrosia :
di Andrea Inglese
(Queste note di lettura sono apparse su il manifesto
Democrazia a geometria variabile:
se Chavez vince, la democrazia ha perso;
se Chavez perde, la democrazia ha vinto.
Questo autunno sono usciti in Francia due saggi brevi che hanno il principale merito di abbinare corrosività polemica e profondità di pensiero. Sono poi accomunati dall’eretica volontà di porre in questione il termine “democrazia”, ormai il più ambiguo e sacro di quelli del nostro vocabolario politico. Si tratta di De quoi Sarkozy est-il le nom? di Alain Badiou (Lignes, 2007) e Le sacre de la démocratie. Tableau clinique d’une pandémie di Alain Brossat (Anabet, 2007). Entrambi gli autori sono filosofi e docenti universitari, ma capaci, nonostante il loro ruolo istituzionale, di non risparmiare il principe da attacchi frontali ed impietosi. E il principe in questione è certo il presidente neoeletto Sarkozy, ma anche e soprattutto una certa tipologia di discorso dominante, che s’impone al di là delle partizioni politiche parlamentari e delle frontiere di classe.
di Christian Raimo
Che cos’è che volevi dimostrare?
Lo spacco sul labbro che continua a restituire sangue
a chi non ricordava neanche
di averne perso così tanto.
Tu una scatola sapiente, chi vince sempre
stando ferma ai giochi dei bambini,
la bella statuina, un due e tre stella,
come quei mendicanti
irlandesi che si piazzano al centro
di un marciapiede del centro,
i cartelli dicono semplicemente “Sto male”, “Ho fame”
e parlano di te: è il loro modo di fare amicizia,
di metterti in pari.

di Sergio Garufi
Il mio primo incontro con la Letteratura in carne e ossa fu traumatico. Avrò avuto undici anni. A quell’età leggevo avidamente i Canti di Leopardi, era la mia passione monomaniacale. A una cena del Rotary a cui la mia famiglia era stata invitata mi ritrovai seduto a fianco di un signore che sembrava importante, perché tutti gli si rivolgevano con deferenza. A chi passava per salutarlo rispondeva con degnazione, forse infastidito dal fatto che lo distraevano dal suo insistente corteggiamento a una bionda vistosa che gli stava davanti. Mi colpì il suo eloquio forbito che pareva una recita, le pause studiate ritmate dalle boccate di fumo, la gestualità enfatica, il timbro della voce che sottolineava le frasi ad effetto, la finta commozione trattenuta ricordando un collega scomparso poco prima. Mi venne detto che era uno scrittore famoso, ora non rammento neanche il nome. Ricordo però che appena rimasi solo presi coraggio e gli chiesi: “così lei scrive?”, e lui rispose: “no figliolo, io non scrivo, pubblico”.
di Marina Pizzi
72.
Le fionde partono dal cranio che si diletti di palesare il vero
73.
Vissi in un collegio per bambine piccole, vissi in contumacia per malati sani, vissi la gemella come una responsabilità di offesa-difesa, mai amandola sorella: il bottino del latte fu sacrificale
74.
Con un filo di scorribanda inventa la propria resistenza addirittura leggiucchiando un giornaletto gratuito dentro la metropolitana e dopo sul pullman.
75.
Tra le crepe la lucertola non ha paura del buio, passa dal sole in picchiata alle tenebre con brevetto di felicità, con tranquillità guardinga, stella di mare l’abisso della sorella, stella di volta l’eco del fratello.
76.
In un impegno di gratitudine il tulle di sposarti nello sguardo, e nell’allerta di pensarti ti arrivo accanto ben più di vicino
[lessia n.26]
Le stampelle dovevano essere appese tutte nello stesso verso. Gli dava fastidio che fossero sfalsate. Così ogni settimana spendeva un po’ di tempo a raddrizzarle.
Ne valeva la pena – pensava – perché conferiva al guardaroba un buon senso di ordine. Non aveva alcuna motivazione pratica, o meglio l’aveva solo per sé. Era una sorta di miglioramento meccanico della sua giornata.
Un giorno (quando sarebbe morto) quei vestiti sarebbero entrati a far parte della tattilità di qualcun altro. Ma finché era vivo, il suo guardaroba doveva restare così. Un sistema variabile se non per le aggiunte di nuovi acquisti.
Non buttava via niente. Negli ultimi anni si era convinto che la vita si potesse ricapitolare negli oggetti. E in particolar modo nei vestiti, i maglioni le camicie i bottoni i risvolti le cuciture, le tasche. Erano tutti luoghi che aveva vissuto e che gli appartenevano, la collezione dei suoi frammenti. […]
di Sergio Garufi
La letteratura contemporanea sta dando i numeri. Di recente Amazon ha inserito delle statistiche su molti dei suoi libri in commercio. Queste statistiche mostrano parecchi dati: dal numero totale delle parole di un libro, a volte comparato col suo prezzo (“Infinite Jest è un affare, 39.574 parole a dollaro!”), alla media di parole per frase, fino alla percentuale di vocaboli complessi presenti nel testo (e per complessi s’intende di lunghezza superiore alle tre sillabe), che vengono interpretati come indici di leggibilità dell’opera. Va da sé che questo invito ad assecondare le ischemie dell’attenzione di un pubblico di lettori sempre più distratto e assuefatto ai tempi televisivi non genera automaticamente chiarezza comunicativa, bensì un linguaggio balbettante, fatto più di sentenze lapidarie che di ragionamenti; a tal punto da far sospettare che il registro gnomico di molta letteratura sapienziale che affolla le classifiche di vendita sia chiamato così per la brevità delle sue espressioni.
di Marco Rovelli
![]()
E quando i cardini
non sorreggono più la storia, e l’io
è un altro, e il Tempo è Ora, spalancato
e osceno, aperto a liquidi e bave, immane –
ecco un incanto si produce:
Un dio che sputa

di Nadia Agustoni
Ma forse possediamo altri organi oltre alla ragione, organi che allora non conoscevamo e che potrebbero farci capire questa realtà sconcertante.
(1) Etty Hillesum ; “Lettera a due sorelle dell’Aja” ( Amsterdam, dicembre 1942).
Quando l’editore De Haan pubblicò nel 1981 il Diario di Etty Hillesum, lo avevano letto in molti. Il Diario si era salvato perché qualcuno era stato fedele al mandato non scritto di conservare pagine che sono una delle testimonianze più autentiche sugli avvenimenti di quegli anni di guerra e di deportazioni.(2)
Senza riparo
Non mi soffermerò in questo scritto sul Diario, rimandando a un mio precedente testo su Hillesum uscito nella rivista “A” nel 1999. Rileggerò invece alcune delle lettere che ci sono pervenute, pubblicate in Italia da Adelphi nel 1990, con il titolo Lettere 1942 – 1943. (3)
Mentre scrivo il muro delle ideologie sembra rafforzare la sua presa sul mondo. Il caos che in parte occulta e in parte rivela i meccanismi di manipolazione della mente pare farsi più denso. E nel distacco dalla parola posso solo trovare una parola che aiuti la mia a dirsi. A mia volta conto su questa reciprocità ideale e forse etica con Hillesum per restituire ciò che prendo e per tentare quell’apprendimento di significato che è senza resa di fronte alla violenza.
Riprendo la riflessione iniziata qui sull’esigenza di smontare una certa immagine razzista e xenofoba dell’immigrato, che una parte delle società italiana sta accogliendo come ovvia. E voglio partire da questa semplice domanda: “Lo straniero che si trova tra di noi è una minaccia?”. Se la maggior parte degli immigrati rappresentano per la maggior parte di noi un’effettiva minaccia, allora dobbiamo convenire che ci troviamo in una situazione di pericolo estremo, di emergenza, che giustifica non solo reazioni spontanee irrazionali, ma anche legislazioni speciali, d’eccezione. Detto altrimenti, mi chiedo se, di fronte allo straniero, l’italiano si trovi oggi nella stessa situazione del naufrago nella scialuppa, di cui parla Hans Magnus Enzensberger in questa parabola: “Una scialuppa di salvataggio con a bordo tanti naufraghi da essere completamente piena. Tutt’intorno, nel mare in tempesta, nuotano altri sopravvissuti, che rischiano di annegare. Come si devono comportare gli occupanti della scialuppa? Respingere il primo che si aggrappa al bordo della barca, magari mozzandogli le mani? Sarebbe un omicidio. Prenderlo a bordo? Ma allora la scialuppa va a fondo con tutti i sopravvissuti” (da La grande migrazione, Einaudi, 1993).
frammenti di un dialogo fra Demetrio Paolin e Giacomo Sartori, a proposito del romanzo Anatomia della battaglia.
[Il saggio di Demetrio Paolin Una tragedia negata è stato pubblicato in rete da Vibrisselibri. Ne verrà pubblicata dalle edizioni Il Maestrale una versione cartacea, che sarà corredata da interviste a diversi romanzieri: Gian Mario Villalta, Toni Capuozzo, Valerio Lucarelli, Giorgio Vasta, Luca Rastello, Andrea Comotti, Duccio Cimatti, Roberta Sala e Giacomo Sartori. Dell’intervista a quest’ultimo, per gentile concessione degli autori e dell’editore, presento qui un estratto. a.r.]
Demetrio Paolin Un[a] (…) parola importante [nel tuo romanzo] è anatomia. C’è una tensione verso la comprensione, ma che non è pietas, ma bensì analisi scientifica, fredda e oggettiva del malessere del tuo personaggio e di suo padre. Tu credi che quell’oscurità che hai sondato nel tuo libro sia il sentimento oscuro degli anni ’70. Come lo definiresti? Sapresti descriverlo? Quello che io noto nella scrittura del mio saggio è una mia, oggettiva, difficoltà a riuscire a darne una definizione univoca.
Giacomo Sartori Il mio romanzo è incentrato su una figura di un ex-fascista, visto con gli occhi del figlio che invece fin da giovanissimo è stato di sinistra, e che a un certo punto del suo percorso ha avuto a che fare con il terrorismo. Sono temi difficili, con i quali la nostra società non ha ancora fatto i conti. Sono piaghe – per quanto possa apparire molto incongruo, specialmente se si considera il fascismo, dal quale ci separano ormai più di sessant’anni – ancora aperte. Imperversano i luoghi comuni, le interpretazioni di comodo, le rimozioni. Credo che la tensione della mia lingua sia il risultato dello sforzo di liberarmi dai luoghi comuni e dalle interpretazioni precostituite, fosse per così dire una scelta obbligata. Non è facile muoversi in un magma di parole per molti versi tra loro legate – come fascismo, guerra, resistenza, terrorismo – che senza che ce ne rendiamo conto si portano dietro delle incredibili zavorre, che alla minima disattenzione ci fanno dire cose che non vogliamo dire, ci conducono in territori dove non vogliamo andare. La lingua è il frutto delle interpretazioni dominanti e che vanno per la maggiore, è una schiava.

di Antonio Sparzani
propongo un modo di traduzione che cerca di non tradire il ritmo, e le assonanze, di Und das Schöne, versi indimenticabili.
Und das schöne
Und das schöne, das du rauftest, und das Haar,
das du raufst:
welcher Kamm
kämmt es wieder glatt, das schöne Haar ?
Welcher Kamm
in wessen Hand ?

di Gianluca Veltri
Nel 1965 il rock era rock e il folk era folk.
Il folk americano tradizionale era stato riletto e stravolto da Bob Dylan, che aveva trasformato in manifesto collettivo quanto era sempre stato un fatto di outsider irrimediabilmente individualisti.
Dall’altra parte c’era il rock inglese; qualcosa di così travolgente e spiazzante per l’America che per definire quell’ondata di energia selvaggia si usò una definizione che noi adoperiamo per i Visigoti e i Vandali: invasion.
Poi sono arrivati i Byrds.
di Francesco Pecoraro
strón|zo
s.m., agg.
1 s.m., escremento solido di forma cilindrica
2a s.m., fig., volg., persona stupida o spregevole, spec. come insulto: piantarla alla vigilia delle nozze, che s.!; anche scherz.: dai, non fare lo s.!; anche agg.: un ragazzo s.
2b agg., volg., di atteggiamento, discorso o sim., stupido o spregevole: ragionamenti stronzi, comportamento s.
L’installazione del router Tor è ora a portata di mano, con pochi piccoli passi: Marco Calamari con la nuova lezione spiega come attivare il sospirato strumento di tutela e difesa della privacy. Ecco cosa fare
di Giorgio Vasta
Leggere un libro di Michele Mari vuol dire, per me, muovermi all’interno di uno di quei tunnel che c’erano, e forse ci sono ancora, nei luna park. Quei tunnel nei quali, traballando su un carrellino cigolante, ci si inoltrava nel buio lungo un percorso ironicamente enfatico, enfaticamente ironico, nel buio che cigolava, punteggiato dal balenare improvviso di mascheroni in teoria orrorifici, in realtà suscitatori di risate, di una paura che si convertiva in gioco e in tenerezza. Ogni mascherone – la cartapesta modellata a comporre un ghigno clownesco, a fissare in un rictus, a dilatare occhi e bocca in un’espressione straziata – una messinscena della morte.
(Presento due interviste di Amelia Rosselli tratte da La furia dei venti contrari. Variazioni Amelia Rosselli a cura di Andrea Cortellessa Le Lettere 2007, accompagnato dal dvd Amelia Rosselli… e l’assillo è rima di Rosaria Lo Russo e Stella Savino e da un cd rom con la lettura integrale della Libellula di Rosaria Lo Russo. Altri materiali tratti dal medesimo libro sono stati presentati qui.)
Il dolore in una stanza (1984)
Intervista di Renato Minore
La mansarda in cui vive è nel cuore della vecchia Roma, a due passi da Piazza Navona. È molto piccola, solo un lungo corridoio e una stanza, con il letto e il tavolo da lavoro. Dalla finestra c’è la visione molto suggestiva che ci si aspetta: una fuga di tetti e tegole. Il silenzio è compatto, assoluto. L’ultima luce del pieno pomeriggio invernale scorpora lentamente la sagoma ai pochi oggetti che stanno intorno: le pareti foderate di libri sono una massa incerta, sfumata, irreale. Resta solo la sua voce; e qualche volta, la sua risata. La voce è gutturale e affretta, come di chi ha dovuto ricavare l’italiano da un’esperienza plurilingue e cosmopolita.
di Valter Binaghi
Avevo nel carrello un pacchetto con filetti di sogliola, una busta di patatine novelle surgelate e un bianco friulano DOC, più un cestino di fragole e una vaschetta di gelato alla panna, spingevo quieto la mia cena sulle ruote, dietro al deretano simpatico e debordante di una massaia sulla sessantina. Quando fu il mio turno porsi il bancomat alla cassiera e lei mi affidò la tastiera. Digitai meccanicamente 46792.
di Marco Mantello
Dal girone dei folgorati
all’aureola dei precipitati
dalle tegole di un capannone
ai piallati, agli schiacciati
sotto macchine troppo nervose
per mangiare le mani degli altri
i morti atipici o innominati
sono quelli non dovuti a violazione
delle regole di sicurezza.
Niente costi, errori umani
e nemmeno un petrolchimico che olezza
sotto forma di rifiuti tossici.