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Incontro alla Camera Verde

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Roma, giovedì 13 dicembre 2007, dalle ore 20:00
presso il centro culturale LA CAMERA VERDE (via G.Miani 20)

Jeamel Flores-Haboud PLEAMOR

15 poesie tradotte da Giuliano Mesa

collana Felix
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Omaggio ai Fiori del Male di Charles Baudelaire: 1857-2007

Presentazione del libro SPLEEN / macchinazione per fiori di Marco Giovenale e Alfredo Anzellini

La mente svuotata e il sogno sciamanico

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dolls-still1.jpgSu Dolls di Kitano Takeshi

di Viola Di Grado

“Il viola pallido ricorda la sua bellezza acerba (…) che in questo vento di caducità sarà sparsa, e che adesso tocca questo mondo ed insieme il prossimo”

Chikamatsu Monzaemon, Shinjû ten no amijima (“Doppio suicidio d’amore ad Amijima”, 1720)

Dolls non è soltanto un film di Kitano. È soprattutto un manifesto dell’estetica tradizionale giapponese. Tre storie di esistenze all’improvviso fratturate: il tentato suicidio di Sawako che le ha provocato un danno cerebrale, l’autoaccecamento di un fan di una cantante pop, il ritrovato amore di uno yakuza per un solo giorno. E la cornice, che apre il film e ne sintetizza il nucleo tematico, è una performance del teatro bunraku, il tradizionale teatro giapponese delle marionette. Tutte queste storie si concluderanno con la morte (si potrebbe pensare all’omofonia in giapponese di “quattro” e “morte”). Quello che lega le vicende è il filo rosso che Sawako e Matsumoto trascinano piano, lungo i viali, portando con sé vortici di foglie rosse. Kitano dice di averli visti veramente. Nel suo quartiere due vagabondi camminavano legati da un filo. Per non perdersi, dice lui. Ma per i vagabondi del film il filo è un vero e proprio cordone ombelicale, l’unica speranza di legame tra gradi sociali diversi in una dimensione di estrema rigidità gerarchica. Matsumoto, dopo aver promesso a Sawako di sposarla, si lascia convincere dai genitori a sposare una donna di grado superiore. Sawako allora tenta il suicidio, ma sopravvive con un danno cerebrale. La vicenda riprende quella accennata all’inizio del film, parte della rappresentazione Meido no hikyaku (“I messi dell’aldilà”, 1711), di Chikamatsu Monzaemon. La cortigiana Umegawa implora l’amante Chûbei di smettere di amarla. Loro sono bambole ma mettono in scena un conflitto decisamente umano: il conflitto tra “doveri sociali” (giri) e “sentimenti umani” (ninjô). Conflitto che i personaggi di Kitano porteranno al suo culmine in una morte che è anche scelta estetica. Il paesaggio montano ospiterà il loro ultimo gesto, il bianco assoluto della neve farà da scenario. E i loro corpi, imbalsamati nelle stoffe sgargianti dei kimono, barcolleranno goffi fino al picco.

A gamba tesa (appena appena)

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Veduta di Gambatesa, dal sito http://www.gambatesa.com/lago.htm
di
Francesco Forlani
Prima parte

Toute la vie des sociétés dans lesquelles règnent
les conditions modernes de production s’annonce
comme une immense accumulation de spectacles.
Tout ce qui était directement vécu s’est éloigné
dans une representation

Tutta la vita delle società in cui regnano le condizioni
moderne della produzione si annuncia come
un immenso accumulo di spettacoli. Tutto
quello che era vissuto direttamente si è
allontanato in una rappresentazione

Guy Debord.da La societé du spectacle

Keyword
La parola banca è una parola sinistra. In inglese quasi onomatopeica, bank bang. Un banco di nebbia visto dall’alto ha un altro sapore. Perché durante tutta la risalita verso la quota di volo, ti appaiono pezzi di città, villaggi, ora un campanile, una masserizia, un campo. Vedi solo cose, tra loro non collegate. Eppure esistono strade, vie, cammini, sentieri che le uniscono, le une alle altre. Ma non le vedi. E sai che esistono. Così le sequenze che vi propongo.

Brassens
canta: mourrons pour des idées d’accord mais de mort lente.
Morire per delle idee, ai nostri giorni ? Al massimo si muore di idee, e nemmeno brillanti. Con delle idee, tante idee, si perdono mille occasioni di lavoro. Alle idee non ci credono più nemmeno i banchieri, figurarsi un direttore delle risorse umane. Non si accendono mutui per un idea, al massimo per una casa, ma non sempre.E tutti dicono che mancano le idee. Certo, ma non le tue. Suvvia, siamo idealisti!

Cronache di una guerra sporca

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(a proposito dell’emergenza rifiuti in Campania)

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a cura della Sezione di Aversa di Unione Coscienza

Noi pensiamo che per bruciare in efficienza ci vogliano almeno due cose: ci vuole un buon forno, un buon camino; e ci vuole buona sostanza da ardere. Buona legna, per stare nella metafora. A questo modo avremo un buon fuoco per scaldarci.
Che motivi avremmo per rinunciare ad avere un buon fuoco così?
Ma il nostro inceneritore (Acerra), per stare a quanto ne pensavano già a suo tempo i commissari insediati presso il Ministero dell’Ambiente, ha un modulo tecnologico databile al 1960 anno Domini.

La parete di luce

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moresco.jpgdi Antonio Moresco
Per parlare di queste cose devo andare a testa bassa e cercare di sbaragliare le parole. Le parole comuni, quelle che usiamo per intenderci gli uni con gli altri, sono terribili. Con parole simili riusciamo a capirci o almeno crediamo di capirci, ma solo in quanto ci allontaniamo dalla verità. Ad esempio, per uno scrittore parlare di quelle due dimensioni polarizzate che si sono volute definire con le parole “realtà” e “finzione” è facilissimo e difficilissimo nello stesso tempo. Per uno scrittore come me in particolare, perché da quando ho cominciato a scrivere c’è in me questa indistinguibilità tra l’elemento della vita e della sua pregnanza e l’invenzione, il sogno, la proiezione, l’immaginazione, il combattimento. Sono per me aspetti talmente indistinguibili che non riuscirei neppure a percepirli e a definirli in modo separato. Per questo, per tentare almeno di avvicinarmi all’argomento che ho immaginato per questo incontro, parlerò male di ciascuno di questi due termini, che si vogliono vedere come opposti. Parlerò male della parola “realtà” e parlerò male della parola “finzione”, anche se gli uomini e tutto l’edificio della cultura si basano proprio su questa continua separazione e scissione.

Usus scribendi – Una cosa sui miei racconti

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[Quattro nuovi autori che ci spiegano dal di dentro cosa stanno facendo, quale letteratura tentano di produrre. Un pezzo ciascuno. Niente domande, niente sollecitazioni esterne. Il primo contributo è qui. il secondo qui . G.B.]

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di Luca Ricci

Per merito (o colpa?) di Guido Davico Bonino, che nel risvolto del mio primo libro einaudiano mi accusava di originalità, mi sono sentito spesso rivolgere la fatidica domanda: ti reputi originale? Ovviamente è una domanda che porta a un vicolo cieco. Credo a una letteratura che è un impasto diabolico tra conscio e inconscio.

Tutto su Carlo Coccioli (in progress)

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[Ricevo da Giulio Mozzi questa segnalazione, leggibile anche su vibrissebollettino.
Su Nazione Indiana, a proposito di Carlo Coccioli c’è anche questo.]

Il sito www.carlococcioli.com, pubblicato in questi giorni dopo un lungo lavoro, è curato da Marco Coccioli (nipote di Carlo) e contiene il catalogo completo delle opere (in tutte le lingue, con tutte le copertine originali e con alcuni estratti scaricabili gratuitamente), una biografia corretta, una scelta di immagini, un inizio di documentazione critica.
Chi volesse collaborare a questo sito (fornendo contributi critici o documentazione, aiutando a trovare materiali nelle biblioteche, dedicandosi alla correzione di bozze degli estratti per la pubblicazione in rete ecc.) può scrivere a giulio mozzi

Il terzo stile di Karlheinz Stockhausen

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stockhausen.jpgdi Cristoforo Prodan

[Questo pezzo, recensione al concerto di Karlheinz Stockhausen tenutosi all’Auditorium della Musica di Roma – Sala Sinopoli il 7 maggio 2007, era apparso, in forma molto ridotta, su Musica, n. 186, maggio 2007. Questa versione integrale è inedita. a.r.]

Per esprimere una valutazione equilibrata sulle avanguardie musicali, del secolo scorso e contemporanee, è bene sfrondare il ragionamento da tutti quei radicati pregiudizi che non tengono in seria considerazione la ricerca nel campo musicale. Un’analisi basata quasi esclusivamente sul gradimento di un ipotetico pubblico, vagamente idealizzato e arbitrariamente oggettivato è, da questo punto di vista, fuorviante, perché tende a rimettere in discussione risultati ormai acquisiti da decenni da parte dell’estetica musicale moderna. I fatti musicali moderni sono essenzialmente fatti artistici e, come tali, sono espressione inconsapevole di compositori, di movimenti, di scuole, o tutt’al più semplice manifestazione di uno stile che si è determinato storicamente. Questa è una doverosa premessa per poter parlare del concerto/installazione di uno dei massimi rappresentanti di quel movimento della musica post-weberniana che si è sviluppato nella seconda metà del secolo scorso: Karlheinz Stockhausen (1928).

McCarthy, ancora

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di Marco Rovelli

Cormac McCarthy lo amo alla follia. Di lui ho letto tutto quello che è stato tradotto in italiano. Credo che abbia un senso del “tragico” che ne fa un classico. Non so quanti riescano, come lui riesce, a raffigurare personaggi che escono dall’eterno presente del mito, figure di meravigliosi chiaroscuri che si stagliano sul nero di un cosmo segnato dal male – e talvolta queste figure sono trapassate da una grazia fuggevole (la fragilità dell’assoluto, scrive Zizek, l’assoluto che si manifesta “in un frattempo”). Nell’immensità del male, compaiono come fragorosi lampi di luce gesti pieni di grazia. La strada è il culmine di questo fragore.

Tanto si doveva

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di Andrea Bajani

(Ripropongo qui, oggi, un racconto scritto per la campagna dell’Inail “Diritti senza rovesci”. Perché non vorremmo più assistere all’ennesima anonima replica dello stesso copione di morte sul lavoro. E all’ennesimo esercizio delle retoriche della costernazione. AB)

Quando muoiono, gli uccelli cadono giù. Non se ne accorge quasi nessuno, di solito, salvo il cacciatore che l’ha colpito e il cane che deve dargli la caccia. Il cacciatore ne segue la parabola in cielo, e il cane gli prende dietro scartando tra i rovi. Quando saltano in aria sopra le nuvole, gli aerei cadono giù. All’inizio non se ne accorge nessuno, salvo qualche uomo radar che in qualche torre di controllo lontana vede un puntino di luce impazzire sul monitor. E qualcuno che poi vede l’aereo bucare le nuvole e spegnersi in terra con grande fragore e con tutti i passeggeri con sé. Anche le stelle quando muoiono cadono giù. Se succede di giorno non se ne accorge nessuno, se succede di notte c’è sempre qualcuno che vede uno spillo di luce staccarsi dal buio e poi infilare il buio da qualche parte più in giù. Tu invece sei morto restando a nove metri dal suolo, in un punto che non è né cielo né terra. Ti hanno trovato così, accasciato dentro il carrello elevatore, ancora attaccato ai fili della tensione come un pugile aggrappato alle corde. E ci sono volute le braccia dei vivi, per riportarti di peso da dov’eri venuto.

Personaggi Precari 2007

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parigi-rue-des-chaufourniers-sett-07.JPGdi Vanni Santoni

Nando

A tredici anni Nando era il più grosso della classe. A sedici un fortissimo giocatore di calcio balilla. A quarantadue, Nando è un autista d’autobus con due figlie bellissime.

Lella

Poco impegnata? Guarda che io, quando in tv fanno vedere gli scontri in piazza, tifo sempre per i manifestanti.”

Piero

Venticinque anni! Venticinque anni, e la morte, l’inevitabile fine di ogni cosa, gli si presenta davanti in tutta la sua forza. Meglio neanche farlo, un bilancio, pensa Piero salendo in treno come ogni giorno.

Alessandro

Alessandro esce a mangiare che sono le nove,
sul capo a dozzine gli ballano i presagi cattivi.
Si riflette negli occhi d’un barista vile, invidia una vecchia;
gingilla due idee nella testa, è fermo di argilla, di cera.

Jessica

Piú che una donna, un franare costante di forme e lineamenti, Jessica è comunque riuscita a vendere bene il suo ultimo sprazzo di gloria giovanile, accasandosi con un serio piacente e responsabile rappresentante di farmaci.

Theodore

“Per carità, lo so benissimo che in America abbiamo dieci volte più omicidi di voi perché vendiamo le armi liberamente. Ma ti dirò una cosa: nessuna persona dotata di fucile semi-automatico è mai stata spedita a Treblinka”.

Da: Liste

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dieter-roth-wurzelbehandlung.jpg 

di Ruggero Solmi

lista 2567

toh, troia, prendi, scopata a sangria, sciacallo a dodici, da capo a scalpo a robert capa a marco ferreri, e boia spagnolo, azcona ad ascona, opel popel, viè qua bella, smandrappiamoci con bauli, on the fucking time, brigitte lahaie e le calze a rete di alban, le cochon a sbattifotti, vuottainducu, someranga, polenga lombarga, stelat stemag, ich bin renzo montagnani, boranga portierissimo 80, prima dello skandal, pucchiacchissima semper resteravit,

Appunti improvvisi ed improvvisati in morte di Stockhausen

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di Orsola Puecher

sgt pepper animato

Identificare i personaggi che si affollano nella storica immagine della copertina di Sgt. Peppers Lonely Hearts Club Band dei Beatles, potrebbe essere un gioco di società per ingannare un sabato di bufera fra le colline, come questo, che ritorna odore di fumo e fuliggine della stufa e gocciola pioggia a rovesci contro i vetri. Mare (non lontano) da mosso a molto mosso, temperature in lieve diminuzione, locali piogge in peggioramento, venti da Nord Est 15-20kt anche rafficati, tendenti ad attenuarsi. Una di quelle giornate in cui ci si sente lontani da tutto e da tutti in cima ad un faro, su di uno scoglio. Ma chi è, nel cerchietto rosso, il quinto in ultima fila, in alto da sinistra, non lontano dalla platinata Mae West, fra i due attori comici Lenny Bruce ed H. C. Fields, vicino a Carl Gustav Jung? Ora se n’è andato anche lui, a raggiungere quella parte ormai cospicua dell’allegra ed assai eterogenea brigata, che forse si sta ricomponendo lassù, destinazione altodeicieli. Annullati passato presente, lingue e confini. Eccoli… da Oscar Wilde a Stanlio ed Olio, guru indiani vari ed assortiti, passando per Marlon Brando, Lewis Carroll, Tarzan, Poe, la divina Dietrich, Dylan Thomas e tutti i vari numi tutelari scelti a rappresentare le vibrazioni culturali di un’epoca.

[la soluzione nell’ultima pagina, si direbbe sulla Settimana Enigmistica…]

Cattimatti

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di Egle Oddo

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D’estate o d’inverno, la protagonista di Helsinki è la luce. D’estate la sua onnipresenza, d’inverno l’avarizia delle sue apparizioni. Brevi, diagonali, mai dirette, sempre per un gioco di riflessi. La realtà si spezza dentro le persone, perché la natura della luce le sottopone costantemente alla tirannia del troppo o troppo poco.
Helsinki e i suoi abitanti lottano con la luce, c’è una perenne insoddisfazione, come se si fosse in difetto col resto del mondo, un comportamento anomalo che produce spaesamento.
La gente qui non guarda la realtà, vede scappatoie di luce. La luce è ciò che libera la realtà dal suo peso. Non come farebbe un’entità medianica o spirituale, ma piuttosto come un concetto di fisica applicato alla pittura.

La spazzatura

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di Marino Magliani

E’ il rumore che fanno i camion quando compiono una manovra. Entrano in retro in un cortile, posteggiano, o scaricano. Un bibi come di allarme, assieme alle frecce di emergenza. Ogni martedí mattina e ogni venerdí pomeriggio, sempre alla stessa ora come se fosse un antibiotico, sento quel bibi provenire da dietro il palazzo.
Eccolo, mi dico. Mi alzo, mi accosto alla vetrata e lo vedo. E’ il camion della spazzatura.

Vite bianche

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di Marco Rovelli

 

E’ da tempo che giro l’Italia incontrando sopravvissuti. Coloro che hanno avuto un affetto, e lo hanno visto scomparire inghiottito dalla macchina produttiva. Incontro padri, madri, parenti, amici, colleghi dei morti sul lavoro. E ogni volta si tratta di far fronte a un dolore negato. Negato dalla società, che si rifiuta, nei fatti, di considerarlo davvero. Perché considerare una morte sul lavoro significherebbe non lasciare soli i sopravvissuti, per prima cosa, e poi cominciare ad articolare un discorso che provi a mettere rimedio al suo ripetersi, e ne affronti le cause. Significherebbe smettere di pensare che sia una fatalità. Ma questo non è possibile. Perché sappiamo tutti che la nostra società ha bisogno di sacrifici umani. E’ accettato da tutti. E’ normale così.

La strada

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di Gianni Biondillo

Cormac McCarthy, La strada, 2007, Einaudi, traduzione di Martina Testa, 218 pag.

Non sono un capolavorista e Cormac McCarthy non ha certo bisogno dei miei peana per trovare nuovi lettori. Stiamo parlando di un autore che è riconosciuto, da decenni, come uno dei più lucidi e meglio rappresentativi della narrativa statunitense; il Pulitzer vinto proprio con questo romanzo, La strada, lo sta a dimostrare. Ma fatico davvero a non elogiare in modo esagerato questo libro che rasenta per me la perfezione.

Croce e Leopardi

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di Sossio Giametta

Fedelissimo al titolo del libro in cui il saggio su Leopardi è contenuto, Croce si fa a sceverare in esso, pagina dopo pagina, ciò che nell’opera di Leopardi, ma anche si può dire nella sua vita, è poesia e ciò che non lo è.

Il tempo di una foto

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di Hyppolite Bayard

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Louis Pierson, Ritratto della Contessa Castiglione e suo figlio, 1864

C’è il tempo interno dell’immagine e il tempo necessario per farla, l’immagine, sono due cose diverse. Ma, c’è il tempo necessario a pensare e arrivare all’immagine e poi c’è quello che fisicamente serve perché l’immagine esista, venga registrata sulla pellicola.

Diorama dell’est #7

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di Giovanni Catelli

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Dnepropetrovsk, stalovaja

Dalla mensa vedo le gambe dei passanti fluttuare, in un gorgo di luce quasi marina, le tende sottili s’increspano tremano per lievi misteriose correnti, sulle tavole a fiori cade un lontano riverbero, da fioche lampadine, come da un inverno, da un immenso peso di stagioni mai concluse, un’eterna incomprensibile fatica : ora viene, avanza, quel rotolio profondo, cupo, dalle nere gomme dei filobus, cresce, sino al tremore dei vassoi, al gonfiarsi del silenzio, lungo l’aria immobile, dissipa, la vita della strada, con cieco battito di fuga, inquieta velocità insonne, depreda sino al buio la sosta delle cose, quella loro antica timorosa ritrosia :

Sguardi sulla democrazia violata dai suoi custodi

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di Andrea Inglese

(Queste note di lettura sono apparse su il manifesto dell’1/12/07)

Democrazia a geometria variabile:
se Chavez vince, la democrazia ha perso;
se Chavez perde, la democrazia ha vinto.

Questo autunno sono usciti in Francia due saggi brevi che hanno il principale merito di abbinare corrosività polemica e profondità di pensiero. Sono poi accomunati dall’eretica volontà di porre in questione il termine “democrazia”, ormai il più ambiguo e sacro di quelli del nostro vocabolario politico. Si tratta di De quoi Sarkozy est-il le nom? di Alain Badiou (Lignes, 2007) e Le sacre de la démocratie. Tableau clinique d’une pandémie di Alain Brossat (Anabet, 2007). Entrambi gli autori sono filosofi e docenti universitari, ma capaci, nonostante il loro ruolo istituzionale, di non risparmiare il principe da attacchi frontali ed impietosi. E il principe in questione è certo il presidente neoeletto Sarkozy, ma anche e soprattutto una certa tipologia di discorso dominante, che s’impone al di là delle partizioni politiche parlamentari e delle frontiere di classe.