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Ragionamenti di un ateo (a ridosso del Family Day) 1

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images-leo.jpg di Andrea Inglese

Ormai conosciamo il gioco: il miglior modo di legittimare un attacco, è quello di presentarsi come vittime. Il vaticano e le istituzioni cattoliche riescono a farsi passare come vittime, come minoranze perseguitate, quando dispongono di un potere mediatico enorme, analogo solo a quello di un governo della repubblica, i cui rappresentanti siano costantemente presenti in immagini e parole sulla stampa nazionale e la TV di stato. Rispetto alla voce della chiesa che parla, a torto o ragione, per tutti i credenti, i non credenti hanno poche occasioni di farsi sentire. E quelle poche passano magari per gente tipo gli atei devoti, ossia per coloro che usano strumentalmente le credenze religiose per fini politici. Per questo motivo è importante per gli atei prendersi spazi di parola, ovunque sia possibile. È importante mostrare che la frontiera del conflitto d’idee non passa semplicemente tra mondo laico e clero, tra gerarchie ecclesiastiche e base cattolica, tra fondamentalisti della credenza e moderati, ma anche tra non credenti e credenti.

Primo Hommage

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di
effeffe

 

foto di Tina Modotti

 

Quando il citofono suona sono già pronto a scendere, anzi quasi ne anticipo la suoneria, orribile, sussurrando, per non svegliare gli altri : scendo.
Ho poco più che vent’anni e si parte, in banda per Roma. Ma questa volta non per ammirare i musei vaticani o le piazze storiche come avevamo fatto durante le famose gite scolastiche del biennio al liceo scientifico Diaz di Caserta. E tanto meno per marciare sui fori imperiali il due giugno, come ogni anno, per tre di fila, avevo fatto da cadetto della Nunziatella. Si va a Roma per il primo maggio, per la festa dei lavoratori, per la falce e il martello, ma soprattutto per affermare il diritto e non più il dovere di essere comunisti.

El boligrafo boliviano 3

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di Silvio Mignano

30 gennaio 2007

Presentazione delle lettere credenziali.
L’incontro con il cancelliere Choquehuanca, la mattina, è solo un antipasto della cerimonia che ci attende nel pomeriggio, quando incontreremo Evo Morales.
Un’auto del cerimoniale ci viene a prendere in residenza alle due e mezza. Saluto la bella ragazza che ne scende, una giovane diplomatica cochabambina, al suo primo anno di servizio. Lei mi chiede imbarazzata dove sia l’ambasciatore, di certo ha paura che si stia facendo tardi. Sono io, rispondo.
«Mil disculpas», balbetta arrossendo.

Bacheca di maggio 2007

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Usa la bacheca del mese per scrivere di quel che ti pare, senza intasare gli altri articoli pubblicati.

Leptocephalus brevirostris

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di Marco Simonelli

Quando, venendo dal capoluogo sfrecci lungo la Firenze Mare
lo vedi chiaramente azzurro nella valle dal cavalcavia;
dopo la galleria ti salta addosso al parabrezza
e per un attimo ci credi, che sia davvero il mare.
Sul lago, Puccini passò la sua vecchiaia.

Il letto di Procuste e la Cura Ludovico #4

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di Giorgio Vasta

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Terza intervista su editing e sistema editoriale. Risponde Nicola Lagioia, scrittore e responsabile di nichel, la collana di narrativa italiana di minimum fax.

Proviamo a partire da una definizione secca: che cosa si intende per editing?

Limitiamoci alla narrativa. È il lavoro volto a migliorare un testo letterario operato tra l’autore del testo e una persona che di solito, ma non necessariamente, lavora nella casa editrice per cui il testo verrà pubblicato. E ora una puntualizzazione, inutile per gli happy few ma salvifica per chi è convinto che la letteratura sia una cosa talmente piccola da poter venire stritolata tra le pareti mobili di una redazione: l’editing dovrebbe sempre rimanere sul piano della cifra letteraria senza invadere quello dell’opportunità editoriale.

Picnic sull’erba

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di Nadia Agustoni

Il primo maggio dei vecchi socialisti
era un picnic sull’erba . Il giornale italiano
pubblicava la foto del gruppo, uomini e donne
di una bella età che guardavano
non più il sol dell’avvenire
ma il crepuscolo. Nessuno di noi giovani
commentava. Tutt’al più si correggeva socialisti
con anarchici, ma mentalmente. E sempre a mente
facevamo finta che fossero parenti americani
di città in cui la storia era finita ( secolo breve, secolo
corto) prima che da noi.

A malapena potrei dire un cognome
né se avessero amato troppo
o avessero appreso
a dire thank you, very well, good
come se ne fossero fieri.

Poi ci furono meno foto
e l’annuncio di quelle e quelli che erano mancati.
La penuria fu un principio di realtà.

Abbiamo pareggiato con i sogni.
Le cose ultime ( sia detto tra parentesi)
le scriviamo imitando il silenzio
andando a capo
aggiornando il computer, gli ideali…

non ne va più della vita…

Questa poesia è stata inserita nel volume che commemora i 10 anni della scomparsa di Aurelio Chessa fondatore dell’Archivio Famiglia Berneri di Reggio Emilia. Vedi anche: Camillo Berneri in Wikipedia.

Il quinto (metaletterario) capitolo di “Golden Gate” di Vikram Seth

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[i capitoli precedenti si trovano qui, qui, qui e qui ]

5.1

Una settimana fa, terminato
il capitolo che avete appena letto,
e, con impegno sempre immutato,
creato ciò che avrei in seguito detto,
un editore – a una festa elegante
(con buon vino, cibo, chiacchiere tante)
ospitata da (viva!) Thomas Cook,
dove fu celebrata, e forse più,
la mia guida del Tibet – mi fa: “Senti,
il prossimo libro?”. “Un romanzo…”. “Bene!
Speriamo che tu, mio caro Seth me ne-”
“…in versi”. Si fa giallo. Mostra i denti.
“Che meravigliosa… eccentricità!”
E fingendo distacco, se ne va.

Biondo 901

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di Merisi
 

Mettiti comodo e schiaccia il tasto play. Lo schermo è nero, per diversi secondi, poi dalle casse arriva qualcosa.  Un rumore basso, cadenzato, che aumenta d’intensità, ti colpisce in pieno. E’ qualcuno che ansima forte.  Nessuna immagine e solo questo respiro che inquieta. 

La cultura non è un prodotto come gli altri

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Chi l’ha detto?

Uno scrittore è produttivo non nella misura in cui produce idee, ma nella misura in cui arricchisce l’editore che pubblica le sue opere.

Soluzione à suivre (a seguire)

Micro-mondi /Paolo Mastroianni

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Foto: Miles Davis

NOIA
di
Paolo Mastroianni

Seduto nell’assoluto silenzio dell’oscurità della stanza, si manteneva la testa martellata da dolore fittissimo. Lucide e nere, le mani tiravano al lato la pelle del volto formando decine di striature: piccole fasce dilatate e ammassate, favorite dalle rughe nascenti. E poi sentiva un’infinita stanchezza! Non dormiva da giorni.

Con estrema lentezza, le palpebre chiuse, ruotò la testa, e nel giro, rivolse verso l’alto la fronte: come senza speranza testasse di allontanare il capo dal corpo, svincolandolo almeno da quel mal di collo tremendo. Invece, lungo il percorso, si scontrò con un nervo. Un impulso lancinante inchiodò i suoi centri nervosi. Senza riaprire gli occhi dischiuse le labbra, spalancò la bocca in una smorfia di acuto dolore… con la stessa lentezza, con lo stesso ritmo plastico del giro. Ma riuscì a non urlare: ne aveva avuto l’istinto, ma non aveva ceduto. E poi soffrire quel giorno era un fatto normale.

Dopo l’addio

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di Carlo Capone 

Mamma è scivolata dal letto all’alba di ieri. Anche io, ma erano le sei di stamani. Don Saverio, il beccamorto del primo piano, ha bussato così forte da lasciarmi stordita: sogno o lancio di immondizia in cortile? Se ti trovi in quel limbo di vita e di niente che è il dormiveglia ci può anche stare. Voglio dire di prendere le busse a una porta per tonfo di sacchetto. A questo ho pensato al principio e perciò ho cambiato posizione, da lato finestra a fronte all’ingresso. E qui ho beccato l’altro schiaffo, una botta di palmo al gusto di scasso e condita di stizza per sonno affanculo.

Vincenzo e la diossina

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Vincenzo Cannavacciuolo e le pecore decimate dalla diossina

testo e foto di Eduardo Castaldo

Io, pedofilo (Memoriale del Processo)

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di Marco Rovelli

1.

Mi hanno chiamato a casa. E’ la cooperativa. Oggi non andare a lavorare, mi hanno detto. Sono rimasto sorpreso, ho chiesto perché. Perché no. Non mi hanno detto altro. Dopo qualche ora mi hanno richiamato, Nei prossimi giorni non andare a lavorare. Il motivo è sempre lo stesso, Perché no. Ho cominciato a perdere l’equilibrio, il respiro è caduto verso il basso. Ho chiamato i responsabili della cooperativa. Nessuno si è fatto trovare.
Non capisco. Non c’è ragione perché mi sospendano dal lavoro senza dirmi niente. Se fosse malato Luca, non ci sarebbe ragione per non andare da Matteo. Se fossero malati tutti e due, non ci sarebbe ragione di non dirmelo. E poi la voce reticente di chi mi ha annunciato la sospensione degli affidi parla chiaro. C’è un’accusa su di me. E non mi si dice quale.

Roberto Bolaño. Come salvare la pelle senza rinunciare alla poesia

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Nuova Prosa 46di Massimo Rizzante

[…]

Bisogna partire dal fatto che Roberto Bolaño si considerava un poeta.
Aveva pubblicato cinque invisibili plaquettes prima del 1993, prima cioè che, a quarant’anni, cominciasse la sua vera storia di romanziere (in seguito sono apparse due raccolte, intitolate rispettivamente Tres [Tre] e Los perros romanticos [I cani romantici]. La prima uscì nel 2000, mentre la seconda è stata pubblicata postuma nel 2006).

Scrivere al computer tra cancellature e versioni

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di Vincenzo Della Mea

E’ interessante osservare ciò che dall’informatica filtra verso la letteratura per almeno tre ragioni. La prima è che, come osserva Giuseppe O.Longo in “Homo technologicus” (Meltemi, 2001), sta avvenendo una trasformazione da homo sapiens a homo technologicus, in quanto la tecnologia che produciamo va a modificare l’ambiente in cui viviamo, e questo a sua volta vincola il processo evolutivo dell’uomo. Poiché parte di questa tecnologia è quella che deriva dall’informatica, ci si può aspettare che l’homo technologicus cominci a lasciare tracce scritte su di essa, come ha fatto l’homo sapiens segnando il passaggio da preistoria a storia.

La morte silenziosa di un clandestino

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di Marco Rovelli 

Era un rumeno, e dunque non più clandestino, ma la clandestinità è una condizione esistenziale che ti rimane appiccicata addosso. Feodor è morto a 39 anni, sotto gli ulivi, schiacciato da un trattore nelle campagne intorno a Cerignola, in contrada Racucci Secondo per la precisione, lungo la provinciale 95. La moglie gli stava a pochi metri, zappando. Il trattore si è ribaltato, e Feodor è caduto nel canale che costeggiava il terreno. E’ come se Feodor fosse morto di due morti: schiacciato e affogato.

L’ultima religione

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di Valter Binaghi

(Adattato da: Robinia Blues, Dario Flaccovio Editore, 2004)

Alle ringhiere del metro accendo una sigaretta e mi fermo ad osservare la fiumana, come un cineasta in pensione. L’ora del tramonto rovescia sul corso casalinghe in libera uscita, drappelli impiegatizi e ciurmaglia adolescente in cerca d’amore.

Bestiario: Paolo Trama

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disegno di Andrea Pazienza
Animalità e fantasmi della scrittura:l’an(t)imetafora
di
Paolo Trama

In un certo senso, se lo scrittore è colui che spinge il linguaggio al limite, limite che separa il linguaggio dall’animalità, dal grido, dal canto, allora sì, bisogna dire che lo scrittore è responsabile di fronte agli animali che muoiono, responsabile degli animali che muoiono. Scrivere, non per loro, non si scrive per il proprio gatto o per il proprio cane, ma al posto degli animali che muoiono, significa portare il linguaggio a questo limite. E non c’è letteratura che non porti il linguaggio e la sintassi al limite che separa l’uomo dall’animale. Bisogna stare su questo stesso limite. Credo… Anche quando si fa della filosofia. Si è al limite che separa il pensiero dal non-pensiero. Bisogna sempre essere al limite che separa dall’animalità, ma appunto in modo da non esserne più separati. C’è un’inumanità propria al corpo e allo spirito umano, ci sono dei rapporti animali con l’animale.1

Nelle battute conclusive della voce ‘animale’ del suo Abecedario, così Gilles Deleuze illumina quella vertigine regressiva che spinge la scrittura al suo limite, ovvero sulla soglia che separa il linguaggio dall’animalità, dal grido, dal canto: «non c’è letteratura che non porti il linguaggio e la sintassi al limite che separa l’uomo dall’animale», sul confine dove l’umanità si separa dall’animalità, «ma appunto in modo da non esserne più separati».

Da “dio il macedone”

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di Tiziana Cera Rosco (inedito)

Dopo il confine

Guardandomi indietro
vidi le montagne
il contorno elettrico della morte precedente
ma il primo piano era la polvere
l’uguaglianza sottile del terrore
all’impatto col carbonio.
Se il pianeta fosse esploso sotto coleotteri giganti
se fosse scoppiato
come un bicipite in un talco di sangue
ora vagava glabro ad un’era successiva
e mi tenevo a te
più forte dell’angelo scardinato senza scapole
strappavo le sue ali grasse di maiale
contaminavo il donarti quello scuoio con le mani
aver picchiato tutto il lardo
fino all’ordine interno del mio braccio.
Mi pulivi il muso con il palmo
risaccato nella stoffa il seno
quando ti guardavo negli occhi una robusta capitale

sarei stata la tua spada, il tuo Astarte

io che vedevo dietro di te sempre
la forma scritta della polvere
rapprendersi nei mitra, elicotteri
fracassarti il cranio nell’immobile
ma il primo piano era la tua presa su di me
il farti trapassare a sguardo fisso
e stare illeso nella bambina che da generazioni si adempiva
frustando ad un’era successiva
il bisogno di chiedermi

come sono morta.

Il letto di Procuste e la Cura Ludovico #3

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di Giorgio Vasta

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Seconda intervista sull’editing e il sistema editoriale. Le sei domande sono sempre le stesse dell’altra volta. Le risposte sono di Giulio Mozzi, curatore della collana Indicativo Presente per l’editore Sironi e del progetto editoriale vibrisselibri.

Proviamo a partire da una definizione secca: che cosa si intende per editing?

Non so che cosa “si intenda”. So che cosa intendo io. (Di definizioni ne ho sentite tante, e nessuna mi soddisfa). Intendo: un lavoro che inizia nel momento del primo contatto tra l’autore e l’editore, e termina quando si manda in stampa. In questo lavoro l’autore e l’editore possono avere lo stesso scopo, o scopi diversi. Il caso in cui gli scopi sono diversi non mi interessa (e non dovrebbe neanche esistere, secondo me: ma esiste, e se esiste è perché l’autore o l’editore o entrambi sbagliano).
Ovviamente la situazione ideale è quella in cui l’opera proposta all’editore è tale, che l’editore può solo fare un inchino di rispetto.