
di Helena Janeczek
Emancipate yourselves from mental slavery, no one but yourself can free our minds (Bob Marley, Redemption Song)
In Alta e forse Bassa Lombardia viene giù un nubifragio che andrebbe classificato come tempesta, in una città che grazie a un precedente governo fondamentalista indù occorre chiamare Mumbai si contano i cadaveri dei pendolari dilaniati che nessuno ha la bontà di rivendicare, la striscia di Gaza e i confini fra Libano e Israele sono sull’orlo della guerra, a Mogadiscio si sparava a quelli che guardavano le partite e si continua a sparare, a Vibo Valentia devastata dall’acqua brucia un negozio devastato da una bomba, a Napoli bruciano i rifiuti, a Beirut viene bombardato l’aeroporto, in Kashmir sono ammazzati altri quattro indù, il Libano chiede la riunione straordinaria del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, gli Stati Uniti accusano Siria e Iran di usare Hebzollah e Hamas, l’India esige chiarimenti dal Pakistan, forti piogge in Cile causano undici morti e tremila sfollati, il Giappone chiede che il consiglio di sicurezza dell Onu voti presto sugli esperimenti missilistici della Corea del Nord.
Il calcio è una metafora della guerra, ma non è la guerra, siamo sull’orlo di una guerra o più di una guerra con possibilità di proliferazione ed escalation nucleare, il calcio non è la guerra e quindi che cazzo ce ne frega di che cosa Materazzi abbia detto veramente a Zidane, soreta, mammeta, e invece ce ne frega, ce ne frega, il calcio è una metafora della guerra, il calcio è specchio e prefigurazione, prefigurazione tragicomica ma pur sempre prefigurazione, è specchio per le allodole, per chi sull’orlo della guerra è distratto da panem et circensis, e allora scusate se prima di cominciare a tremare seriamente, guardiamo un attimo indietro.