di Laura Pugno

tu sei il corpo
statua acefala, senza
mani o braccia,
torso coperto da pellicce,
tu sei il corpo
incubando sottoterra,
località nel bosco,
con coperte di pelliccia coprono il corpo della statua
di Laura Pugno

tu sei il corpo
statua acefala, senza
mani o braccia,
torso coperto da pellicce,
tu sei il corpo
incubando sottoterra,
località nel bosco,
con coperte di pelliccia coprono il corpo della statua
di Gianluigi Ricuperati
di Laura Pugno

interruzione del bosco
questo è qualcuno-cosa che è mutata,
grande tartaruga piena di carne
vedi la storia:
si muovono a quattro zampe,
c’è olio sull’acqua
e copertoni incendiati
di Laura Pugno
extensions
lei è
spalle contro la parete
ti guarda
negli occhi adesso,
anche tu puoi guardare: cinque
fibbie le fissano alla testa
trecce di capelli lunghi,
capelli umani, curati con l’olio
sul cranio rasato
di Sergio Garufi
Accantonato frettolosamente come un abito smesso, ritenuto ormai liso e sorpassato, oggi postmoderno non è più quella parola feticcio utile a designare e nobilitare qualsiasi cosa – fosse un romanzo, un risotto o un bikini -, di cui si riempiva la bocca soprattutto chi ne ignorava il significato; ma è diventato un epiteto infamante, la quintessenza di ogni nequizia artistica.
Messe in soffitta l’intertestualità, la metanarrativa, la contaminazione dei generi, perfino l’ironia, considerate in qualche modo responsabili di un’idea rinunciataria e immiserita della funzione della letteratura e del ruolo dello scrittore; del postmoderno forse sopravvive solo l’estetica della ricezione, la sua creatura meno impresentabile.
di Leonardo Colombati
Edward Lewis Wallant iniziò a scrivere a trent’anni. Morì appena sei anni più tardi, nel 1962, per la rottura di un aneurisma. Fece in tempo a vedersi pubblicati due romanzi (The human season e The pawnbroker) e a lasciarne altrettanti, inediti, ai posteri. Si sa, però, che questi ultimi tendono ad essere generalmente distratti: perché perdere tempo con uno scrittore ebreo-americano prematuramente scomparso, quando si hanno a disposizione Bellow, Roth, Mailer e Malamud? Il pubblico e i critici americani si dimenticarono presto di lui.
dal Diario Numero 37
L’arte a Napoli
di
Giuseppe Montesano
A Castel Sant’Elmo a Napoli, dove si svolge quest’anno la “XII Biennale dei giovani artisti dell’Europa e del Mediterraneo”, ci arrivo attraversando una città letteralmente fatta a pezzi da un paio d’ore di pioggia. L’acqua dal cielo e e quella delle fogne scoppiate ha trascinato e ammucchiato automobili come in una selvaggia installazione di land-art, negli asfalti delle strade si sono aperte voragini patafisiche, fioriscono cumuli di immondizie e sampietrini che nessun Christo riuscirebbe a impacchettare, lo stadio San Paolo è inagibile, molti negozi sono stati devastati.
di Nicola Lagioia
Negli scontri tra i Fantastici Quattro e il Dottor Destino mi sono sempre ritrovato a parteggiare per il caro vecchio Victor von Doom. Ero un ragazzo piuttosto turbolento: dopo una sospensione scolastica o un litigio furibondo con i miei, capitava che mi rifugiassi nei fumetti Marvel importati in Italia dalla Corno. Condividevo i complessi di Peter Parker, mi affascinava la marginalità degli X Men, ma ogni volta che mettevo piede al Baxter Building ero preso da un sentimento di disagio, di repellenza, di incestuoso decoro.
Un film che parla di storie di ordinaria flessibilità doveva ovviamente essere prodotto in modo precario, e così è stato. Stefano Obino, Stefano Cella e Francesco Pensabene hanno finanziato Il vangelo secondo precario con il metodo della produzione dal basso, vendendo dei future sui DVD del loro film. Ora che è finito si può vedere, a Milano al cinema Anteo il 24 ottobre alle 20.30 e alle 22.30 (gratis) e nel resto d’Italia presto, consultando il sito del film.
di Jacopo Guerriero
Qui di seguito una breve intervista che mi ha concesso Roberto Parpaglioni, editore gentiluomo che mi comunica in queste righe una pessima notizia: la chiusura di un’attività editoriale che è certo tra le più interessanti degli ultimi anni.
A breve tenterò di approfondire alcuni dei temi lanciati da Roberto, che mi sembrano meritevoli di grande attenzione. J.G.
LA GUERRA NELLA PELLE
di
Frédéric Beigbeder
traduzione di Martina Mazzacurati
Vivo in un mondo in guerra, ma non ne risento. Non ho la percezione della violenza perché sono cresciuto in un paese protetto, in un’epoca pacificata. Non ci capisco niente. La guerra, l’ho vista nei film e alla televisione: crepitio ridicolo, luci folgoranti nella notte, bombardamenti teleguidati. In Jugoslavia: carnai, epurazioni etniche; popolazioni vicine si massacrano in modo sistematico su prati verdi prima di sotterrarsi in foreste nere. Sembra che la stessa cosa sia accaduta da me poco tempo prima che nascessi. In Irak, c’è stato bisogno di un bel po’ di sbarchi americani per licenziare un baffuto dittatore. Come in Francia quaranta anni fa. In Palestina, i carri sparano su giovani lanciatori di sassolini. Cresciamo guardando queste immagini che non vogliono dire niente.
È uscito “Politicamente Scorretto”, il sesto numero di Vertigine, il periodico di scrittura e critica letteraria curato da Rossano Astremo. “Politicamente Scorretto” offre il suo punto di vista sull’Italia d’oggi e non solo, e lo fa raccogliendo l’intervento di dodici autori, Giordano Meacci, Luciano Pagano, Flavio Santi, Gianluca Morozzi, Laura Pugno, Cristiano de Majo, Elisabetta Liguori, Andrea Inglese, Sergio Rotino, Davide Bregola, Elio Paoloni, Gianluca Gigliozzi.
Come scrivere durante Auschwitz
di
François Taillandier
traduzione di Francesca Spinelli
Kaputt è un libro affascinante, che ammiro senza riserve. Il suo titolo, però, non mi convince. Alle mie orecchie suona troppo familiare, troppo piccolo. In Francia, diciamo per scherzo «kaputt» parlando di una vecchia bagnarola in panne, di un phon che inizia a puzzare di bruciato, o di noi stessi quando alla fine della giornata ci viene una botta di stanchezza. Se fossi stato l’editore di Malaparte, gli avrei proposto un titolo diverso da quell’ironico e familiare «kaputt»; ad esempio Le Mille e Una Notte della notte.
Le mille e una notte, perché Curzio Malaparte si comporta come una vera e propria Shahrazàd, e forse per le stesse ragioni: non morire, non farsi tagliare la testa (caput, capitis: testa). «Allora io narrai dei cani dell’Ucraina». «Allora mi misi a narrare la storia di Spin, il cane del Ministro d’Italia, Mameli, sotto il bombardamento di Belgrado». «Ora le racconterò, dissi, la storia di Sigfrido e del gatto».
Le mille e una notte della notte, perché questa strana ridondanza si sposa bene con l’eccesso e la superfetazione che sono al centro del libro, che ne costituiscono la molla e l’ossessiva singolarità.
di Tommaso Pincio
Tre anni appena. Soltanto per tre anni Edward Lewis Wallant si considerò seriamente uno scrittore. Un’avventura letteraria, la sua, iniziata relativamente tardi, dopo una gioventù trascorsa lavorando come art director pubblicitario, e troncata molto presto nel 1962, a soli trentasei anni, da un aneurisma. Ciò nonostante Wallant riuscì a sfornare quattro romanzi e vederne pubblicati due.
Mio figlio è un fuoriclasse.
Le palle dei bambini.
Il vecchio vestito da sera.
L’asino di troia.
Tre donne mezza spada.
Il sesso cantato forte.
Orecchio assoluto per lobi.
Pasolini è il feticcio dell’Italia sinistr’orsa,
la pietra dello scandalo in vendita alla coop,
una tomba che sfuma nei titoli di coda
sull’ultima falsa nota di Keith Jarrett,
un’ora di noia oltrepassata prima di cenare
fuori dal teatro, dar Buiaccaro a soli venti euro,
una maniera nitida di dire che sì, “Ho avuto Torto”
prima di scopare e addormentarsi,
la faccia asciutta di un proletariato
assorbito solo in foto di palestre,
la nostra non pedofilia, il nostro cristianesimo
procrastinato in fretta, la morte che non siamo.
pubblico una fedele, ancorché non elegante, traduzione italiana del pezzo di Steiner pubblicato due giorni fa in originale francese, visto che alcuni commenti sembrano richiederlo. Mi scuso per non averlo fatto subito. Ringrazio anche Emma per i commenti e le integrazioni. Valgono ovviamente le righe introduttive che avevo scritto la prima volta. Condivido sempre meno questo atteggiamento reverenziale verso la scienza.
La cultura non rende più umani, intervista a George Steiner, a cura di Dominique Simonnet
Una nuova morale atea che sarebbe illuminata dalle infamie del XX secolo?
Malraux aveva detto: “il XXI secolo sarà religioso o semplicemente non sarà” oserò contraddirlo: temo che se questo secolo sarà religioso, allora semplicemente non sarà. Ho la speranza che vi siano degli uomini per concepire la nostra condizione umana, e non più trascendente. Che il fanatismo ideologico divenga il peccato originale! Siamo ancora prima del linguaggio, sostiene Heidegger, non abbiamo ancora cominciato a imparare a pensare e a parlare.
Dove attingere questa nuova morale?
giovedì 20 ottobre 2005
dalla ore 22.30
AMBASCIATA DI MARTE
Via Mannelli 2 – Firenze
http://www.ambasciatadimarte.org
teatro dell’esausto
presenta
Fluorescenze
live della nuova poesia fiorentina
con RAPSODI, Alessandro RAVEGGI,
Marco SIMONELLI, Tommaso LISA,
special guest: Arsene del duo DESPAIRS.
Il testo che segue fa parte di un dossier
TRE ERRORI A PROPOSITO DI MALAPARTE
di
Traduzione di Martina Mazzacurati