da: L’orlo di Galois
di Elisa Davoglio
Évariste Galois morì nel 1832, a vent’anni. Ideò un metodo per scoprire se una equazione è risolvibile o meno con operazioni quali somma, sottrazione, moltiplicazione, divisione, elevazione di potenza ed estrazione di radice. Dal suo lavoro è stata espressa una delle teorie fondamentali dell’algebra astratta chiamata, appunto, Teoria di Galois. La morte di Galois è dovuta ad un duello che Évariste, pur essendo sicuro di andare incontro alla morte, accettò per salvare l’onore della donna amata. La notte precedente il duello, Galois tentò di ordinare gli appunti riguardanti la sua ricerca, annotando spesso, a giustificazione di un’omessa spiegazione, la frase “non ho tempo”. Le immagini che attraversarono confusamente la notte di Évariste sono tutte implose in questa frase.
***
“non ho tempo”
il calco fallito di gettarsi oltre
al sonno trascorso
fino a una urgenza d'acqua
si conclude dentro un termine noto
l'alba scaduta dell'algebra astratta
lo stesso giorno del cambio delle lenzuola
quando la carne avrà i vermi
dopo essermi ucciso
sarò uscito avrò uno sbadiglio in bocca
nel breve tre albicocche in fila
ancora non marce al tocco
gradevoli unghie da rodersi piano
macchiate da inchiostro a bolle
la scelta si appunta agli stivali
a percuotere il corridoio a gemere
come uno sfogo di tosse secca
*
“non ho tempo”
tagliare la testa alle anguille
misurare la torsione del corpo
dopo lo strappo essere masticato
nelle frattaglie di lei umida
illanguidire sotto il morso
rigurgitare il liquido inghiottito
riemergere senza più bocca
- pagare senza più resti -
giocare ai dadi e numeri
probabilmente da solo
dentro la serratura
*
“non ho tempo”
le mie mani vogliono il pane
(c'è chi tace a questo)
gridare da feto all'Accademia
pensando al collo del pollo e alla balia
(ai massacri affettuosi delle pernici)
percuoterla come un santuario
da riformare con i palmi aperti
le dita stese sulla strada
che arriva alla mia scuola
ha sassi che sembrano ossa
ci si tuba adesso come fra cento anni (forse)
dove ho imparato a contare e a tagliare
una mela perfetta
che si compone in frazioni plausibili
da rimetterle in grembo
*
“non ho tempo”
la parola biascicata a proposito
in un interpunto della formula di dovere
è il sonno
affrontare
l'ecatombe nel nido sul cuscino diventato
aspro nella ricerca della teoria
da appendere arcigna di malumore
alla lacuna delle cifre
dopo l’alba abiterò una città di Babilonia
per scrivere cifre in cunei
per allora coltiverò lo zero
arrivato vecchio e immortale
con una siepe stoica sul volto
*
“non ho tempo”
mostro la curva magra se oltrepassandomi
con le mani inverto sul limite
la carezza che mi rassomiglia
sulla mia carne illanguidita e ferma
(la spazzola sembrava di crine
da bambino proseguivano
a strigliarmi la pelle
giacevo soddisfatto
quando mi grondava il naso
di commozione per la pelle erosa)
anche la formula si grattugia un labbro
brontola in società come lo stomaco
miete Gruppi e inversioni di chi rimane
la lampada si asciugherà fedele
della luce che sgombra al confine saggio
oltre irrompono i barbari
orde di storie barricate dai re
*
“non ho tempo”
godevo a pieno di frutta e liquore
poi c'è un flusso nel terzo movimento
di un'Opera
produce agitazione emozionata
alla sedia che gratta il pavimento di marmo
in un salotto a Parigi
posso ballare nel campo finito del sonno
residuo a occhi aperti
in duello con l'aria
perdono il lacrimare
*
“non ho tempo”
se crede di passare in quella fessura
stretta stretta anche per gli scoiattoli
che riesco a immaginare
sul muro della stanza in questa notte
nella tinta che è gialla
(di giorno la luce vegeta attraverso i rami
abbecedario di un mare di erba
ha il mio profilo storto
il lato gonfio delle palpebre
che sorvegliano la formula)
le preparerò con la mano industriosa
un cappio di foglie da sollevarle
l'inesprimibile infinito in sintassi
e le sue labbra
da chiudere con ceralacca
che cola male il sigillo
*
“non ho tempo”
atmosfera di pece adesiva
che mi rammenta la casa
lo sguardo del padrino atteso
sulle ginocchia sbriciolate
dove si incrociavano lumache
e una corsa agra
vedi sono un bambino
con le imprese del lago immaginario
e il ruggito brontola ancora sui gomiti
dopo il tuffo ho bevuto acqua
che incespicava nel respiro e ho provato
sollievo che ancora
mi galleggia attraverso fini ansimi
a decompormi
andrò a male
come quando prendevo il largo
tendente verso finito
Immagine: Dave McKean, Wood


Per vedere il video di [A]live Poetry con la poetessa Elisa Davoglio
“L’orlo di Galois, l’urlo di Corviale”
vai su:
http://www.meddle.tv/page.php?page=4
Cara Elisa, sai già quanto apprezzi questo testo! Complimenti.
Cara Elisa, sai già quanto apprezzi questo testo. Complimenti.
Io questo poemetto di Elisa Davoglio l’ho trovato da subito eccezionale. Dico da subito riferendomi al fatto che mi sono imbattuto nell’ascolto dell’Orlo di Galois qualche giorno fa, letto dall’autrice (file mp3 in rete). Oro ritrovo il testo su NI e lo rileggo con piacere. Ciò che mi piace è proprio quel senso di implosione di immagini, e quel grande srotolarsi di Parole, versi che forse definirei metamatematici, perchè è forte l’impressione di stare di fronte ad una di quelle lunghe espressioni algebriche, parentesi graffe che contengono le quadre, che contengono le tonde, che contengono lo stesso autore (Galois/Davoglio) che si arrovella nella sua identità, che si fa pensiero nel risultato, ricercando il segno, la cifra finale.
Insomma un’opera più che brillante, una storia cifrata, un geroglifico accessibile solo a chi è consapevole di perdercivisi, nella confusione, nel gran pensare e nel gran vedere, figura dopo figura, simbolo dopo simbolo, un puro e inevitabile Scorrere.
A scandirne il tempo è quel “Non ho tempo” che è ogni volta il rintocco di una campana, campane a morto è il caso di dire. Tutto mi sembra così intimamente profetico, così incontenibile e indomabile, così infinito e finito.
Schizoidemente ben gestito, questa sorta di sogno, interpola visioni su visioni, passati presenti e futuri, e la forza sbalorditiva della macchina/fiume/immagine trascina via la diga della regola scientifica e del raziocigno, tutto è travolto dal bellissimo spettro della morte (vita) e portato alla deriva, fatale.
Brava Elisa Davoglio.
Massimiliano.
sono d’accordo con vincenzo, testo notevole. complimenti.
!eih! che fine ha fatto il mio commento che era in fase di moderazione??!?
Cara Elisa,
la vicenda terrestre di Galois è una delle più misteriose ed eloquenti al contempo. Io ne sono affascinato.
I tuoi versi ne danno una sottile, ombrosa e penetrante interpretazione, mai gratuita.
Ti ringrazio, perchè è stato come agitarsi in quell’anima potente e afflitta.
fabrizio.
Qui siamo, più o meno, dalle parti della <em<strato-sfera…
Grazie per la proposta, grande EffeMatt.
Qui siamo, più o meno, dalle parti della
strato-sfera…
Grazie per la proposta, grande EffeMatt.
Repetendo s’imparat… e la cosa viene più meglio.
Comunque, se togliete il primo e quest’ultimo vi *cito* nel mio testamento.
Vedo Evariste Galois camminare nervoso stanotte su e giù per la mia stanza. Ha solo vent’anni e niente più tempo, mi ha detto, ma deve finire di scrivere. Attende l’alba, ed io con lui.
Sarà che mi piacciono particolarmente le storie di matematici, ma trovo l'”Orlo” romantico e notturno, bellissimo.
Complimenti a Elisa Davoglio!
Voraginosamente ansiogeno, un flusso dalla brillante legittimazione. Mi sarei aspettato pensieri più nitidi nei riguardi dell’amata, la si scorge poco. o forse debbo abituare l’occhio.
Adorabili questi versi:
“dopo l’alba abiterò una città di Babilonia
per scrivere cifre in cunei
per allora coltiverò lo zero
arrivato vecchio e immortale
con una siepe stoica sul volto”
Simply beautiful! Conosco bene tutta l’opera, e merita davvero.
come ti trasformi elisa mia. ma dove sei entrata? Pazza! Nel senso che sei entrata in meccanismi pericolosi. La mente è folle anche quando concepisce la matematica, quando vuole indagare, con la mente, i meccanismi creativi dell’universo, senza il supporto di un dio qualsiasi che mentre pensi ti liscia.. Forse la mente ci riesce poi, ma impazzisce. Il suo quotidiano è un albero con i bozzi.
Sei bravissima e forte. Hai passione come pochi, pochi, pochi. Lo sai cosa penso di te, animale da palco. Ti trasformi. Bella. devo proprio vedermi il video…
trovo un po’ bolso l’uso di lessico matematico in generale e di teoria dei gruppi in particolare nelle immagini, spesso giocate su una omonimia (“misurare la torsione del corpo”, si conclude dentro un termine noto, posso ballare nel campo finito del sonno, un cappio di foglie da sollevarle). in ossequio a una corrente abbastanza precisa della poesia italiana, che trova tanto significative le proprietà materiali del linguaggio, o pure che trova inevitabile andare oltre le stesse. diciamo che è quello che ci si può aspettare, dato il tema. lo stesso si può dire delle altre scelte: monologo interiore, logica onirica, commistione e mescolamento di elementi sentimentali e scientifici. il che rende il componimento in qualche modo un esercizio ridondante. specie se è vera – come mi sembra – l’ultima frase della nota esplicativa premessa al testo (a parte l’inspiegabile famigliarità con Galois – “Évariste” – che vi si trova espressa): <> una certa maggiore tensione si riscontra nel terzo componimento, un bagliore che manca negli altri: il coraggio della metafora (?).
saluti,
lorenzo carlucci
Straordinario
Carissima!
Danke für Deine schönen Texte, Elisa. Mi ha fatto tanto piacere leggere le tue poesie! … Una vera sfida per une lettrice tedesca!
Baci da Angela