le uniche parole per dire cosa sia stato Enzo Jannacci per le passate generazioni sono le sue.
Ciao, Enzo!
Cavallo di Troia
di
Andrea Liberati
Fatti #4 27 febbraio 1952 sui prati di Newmarket la fattrice Romanella diede alla luce un piccolo cavallino … troppo veloce per essere dipinto, padre della creatura era un campione rinomato Tenerani 1947 Derby italiano di galoppo Gran Premio di Milano St.Leger italiano, Queen Elizabeth Stakes Goodwood Cup. il piccolo Ribot il suo allevatore Federico Tesio fondatore della Razza Dormello già allevatore di Nearco 4 luglio 1949 Premio Tramuschio 1000 metri. Ribot distaccò i suoi coetanei (vinse perché gli fu “data strada” dalla compagna di scuderia Donata Veneziana, nonché sorellastra di Ribot, che però in allenamento Ribot regolarmente “strapazzava”, soltanto che essendo la prima corsa di Ribot, il cavallo, dal non facile temperamento, doveva ancora adattarsi completamente alla nuova, per lui, realtà delle corse). 4 settembre Criterium nazionale Gran Criterium: il fantino Enrico Camici per contenere la rimonta finale di Gail. 1500 metri Premio Pisa 2000 metri premio Emanuele Filiberto 10 lunghezze su Gail. 10 lunghezze su Botticelli, 1954, futuro vincitore di una Gold Cup ad Ascot. Prix de l’Arc de Triomphe, la classica francese Premio Brembo 2200 metri Besana 2400 metri. L’8 ottobre 1955: 3 anni: 10 a 1 e Ribot e Ribot e Ribot e Ribot e Ribot e Ribot e Ribot e Ribot e Ribot e Ribot e Ribot e Ribot e Ribot e Ribot e Ribot e Ribot e Ribot e Ribot e Ribot…VINCE VINCE 10 a 1 10 a 1 solitario sul traguardo con tre lunghezze di vantaggio! sul resto del gruppo! IL MIGLIOR CAVALLO D’EUROPA L'”anziano” Ribot Milano, Gran Premio della città. Batte sulla lunga dirittura milanese Barba Toni Vittor Pisani Tissot (il fratellastro) (8 lunghezze). « It is exciting to see a good horse winning; Ribot greatly amazed me. » Elisabetta II, la Regina 1957, Ribot, entrato in razza funzionò come stallone in Italia, Inghilterra e Stati Uniti. 28 aprile 1972, 20 anni emorragia interna. Théodule Ribot, pittore francese di non grande rilievo, deve la sua fama ad un cavallo.
Documentire #7 Ma perché poi mai fare questo questo e questo o questo a che pro non credo in un pro se mai in un pre anche se l’ho dimenticato. La ragazza impegnava molto del suo tempo a telefonare, scoprendo in quei piccoli geroglifici sospettabili sequenze già viste. Un cavallo o un cane. Tutto il cinema è fuoricampo. In una prima semplice inquadratura un piano di un uomo andato-ritornato, oramai, in un totale di elica, nel cervello. Come se nulla fosse accaduto.
Documentire #9
Non parliamo di morti convenitene né tantomeno di vivi ci sarà una qualche alterazione mediana più che soddisfacente Lui, avendo sgozzato l’intera famiglia, si lavò le mani, prese il calice non spezzò il pane e andò al cinema.
All’andare in analisi preferì sempre l’andare a puttane stesso onorario poche parole solo sogni ad occhi sbarrati. A scuola dissero di non dare del tu ad un animale ma di dare a esso dell’esso gli essi. Per fortuna non ho la memoria di un flipper.
Vado al cinema perché non ho molta immaginazione e nemmeno molta vita.
Documentire #10 Ma appena parte, il gioco ricomincia. Ti ricordi di me? Sei ragazza dai capelli verdi. Le immagini avrebbero potuto sovrapporsi. Una tragedia sfiorata. Come una carezza. Si può fare l’amore più volte al giorno non si può amare tutti i giorni che Iddio c’ha dato. Ti penso tra l’altro nelle mie repliche ossessive.
Documentire #16 Tutta l’ansia che dentro non riesce ad evacuare nemmeno dall’ultimo buco di culo della finestra che è poi quella dell’arte? Che lavoro fai? Niente rispondo a queste domande cercandone sempre di belle non sono per le novità è Bresson e i suoi rumori che mi hanno affezionato all’immagine al colore a quello che ci potrebbe essere fuori dal quadro ritorna la finestra? no no no no è una porta non la vedi è di legno convesso di mogano no ogni verifica che fai seppur incerta è arte.
Documentire #25 Eh sì si trattava di essere anime prima e poi gemelle prima o poi. con tutto il suo corpo malgrado tutto il suo corpo era il più spirituale credeva nei volti nella tragicità dei volti e dei tic. Fare dei primi piani a dei volti compressi nei tic! che delizia sarebbe. preparava delle linee mica faceva progetti non scalava nelll’amore lo faceva: come quel pazzo che costruì, facendolo, un impero di sassi nascosto e nascosti nelle tasche. Cazzo.
Documentire #29 Invidio le persone che dicono di aver perso una giornata. C’era un vecchio alcolizzato, bello, che, dopo aver bevuto l’aceto dal fondo di un resto, minacciava chiunque tentasse di regalargli una giornata. L’accusa di inconcludenza si giustifica con una ellissi temporale. Gli altri son tutti cerchi perfetti: Giotto e la purezza del suo tondo, una balla inventata da una ditta di compassi fallita.
MA IL VERO E PROPRIO MOVIMENTO DEL GIOCO D’ AZZARDO SUI CAVALLI AVVIENE NELLE CORSE TRUCCATE NEI CAVALLI IMPASTICCATI NEI FANTINI COMPRATI - registrazione simultaneamente delle pressioni nelle cavità cardiache (atri e ventricoli, nell’aorta, nell’arteria polmonare, nella vena cava superiore e nell’inferiore. Le registrazioni vennero effettuate per mezzo di un microcatetere in vivo nel cavallo, assieme ad Auguste Chaveau (1827-1917), professore di Fisiologia veterinaria all’Università di Lione; Marey e Chaveau fornirono notevoli interpretazioni dei dati dal punto di vista emodinamico - scoperta del periodo refrattario del muscolo cardiaco nel 1875; - la prima registrazione intracardiaca grafica dell’attività elettrica del cuore, in animale, per mezzo di un elettrometro capillare (1876); si osservi che il primo elettrocardiogramma in un essere umano, con elettrodi posti sulla superficie corporea, fu registrato solo nel 1887 ad opera di Augustus Desiré Waller; - la prima registrazione dei movimenti della parete toracica in corrispondenza dell’apice cardiaco, determinati dai movimenti sisto-diastolici del cuore (Apicocardiogramma)
Note-book: La lucina di Antonio Moresco
Nota di lettura
di
Silvana Farina
È come se a Moresco non interessasse la letteratura in sé ma riflettesse sul perché fare letteratura, sul perché scrivere e su che cosa questo significhi per lui. Spesso, anche se gli scrittori amano molto la letteratura, la scrittura stessa, non riflettono su di essa, né sul rapporto tra la letteratura e se stessi. Al contrario, Moresco ha pensato molto alla relazione tra la sua persona e la scrittura, intridendola della sua fatica, della sua vita, delle sue visioni. Così, La lucina, breve romanzo pubblicato da Mondadori nella collana Libellule, è il piccolo embrione che ha scavato e lavorato in segreto dentro l’autore, pretendendo alla fine una sua vita autonoma. Nella Lettera all’editore, Moresco spiega che questo piccolo romanzo nasce proprio come «una piccola luna che si è staccata dalla massa ancora in fusione» del suo nuovo romanzo Gli increati, a saldare quel percorso iniziato con Gli esordi e i Canti del caos.
La lucina «è una storia scaturita da una zona molto profonda della mia vita, è come una piccola scatola nera.» Una storia che come Gli Incendiati è «un’irruzione incalcolata e improvvisa» che urgeva dentro di lui e che Moresco stesso dichiara essere testamentaria proprio per la sua particolare natura intima e segreta. Così, per il valore che ha per l’autore e per la lettura intensa che se ne fa, risulta davvero difficile eppure fondamentale parlarne.
Moresco ci fa un dono, scopre quella zona profonda della sua vita, apre quella scatola nera, offrendoci una vera e propria operetta filosofica. Della filosofia c’è, infatti, una riflessione, un rovello che pone al centro gli interrogativi disincantati di un uomo attraverso una fenomenologia della natura. Una natura che si fa organismo vivente e pulsante, pronta a prorompere e inglobare il segmento umano, sconvolgendolo. L’uomo è immerso nel silenzioso e sismatico cosmo naturale popolato da libellule e lucine (che abitano da sempre il suo mondo, fin da Gli esordi: «Altri stavano conversando vicino alla pila dei mattoni forati, che erano attraversati da parte a parte dalle lucciole»).
La sua contemplazione di fronte alla natura «Chissà se la luce non è anche lei dentro un’altra luce? E che luce sarà, se è una luce che non si può vedere? Se neanche la luce si può vedere, che cos’altro si può vedere?» può richiamare gli interrogativi di un pastore alla luna. Il Canto Notturno di un pastore errante dell’Asia si apre proprio con una domanda alla luna: «Che fai, luna, in ciel? Dimmi, che fai, /silenziosa luna?» Tuttavia, se Leopardi non riceveva risposta, il protagonista de La lucina riceve delle risposte dalla vegetazione, dalle rondini, dagli insetti che lo circondano, indice forse del fatto che l’uomo forza la sfera dell’universo per poter accedere ai suoi più profondi significati.
Cosa sarà quella lucina? Il narratore se lo chiederà spesso, e ci descriverà meticolosamente tutte le sue azioni nella sequenza ciclica delle stagioni, in quel brulicare di vita e morte. Fino a quando quest’uomo solo incontra un bambino evanescente (quasi un alter ego del piccolo Moresco) che lo accompagnerà nel suo percorso finalizzato alla scomparsa di sé, allo svanire di un’essenza fuori dal tempo. Allora la solitudine («sono venuto qui per sparire, in questo borgo antico abbandonato e deserto di cui sono l’unico abitante») diventa la necessaria condizione per un percorso catartico che si fa esperienza etica nella consapevolezza che quella dolorosa fisicità è vita e morte in un flusso vitalistico continuo. In questa sorta di diario del pensiero, di Zibaldone, morte e (ri)nascita, infanzia e maturità non sono mai stati così vicini, poli necessari di un cerchio eterno del divenire, di un imprescindibile ritorno alle origini.
Antonio Moresco si conferma un autore insurrezionale, nel senso lato della parola, perché capace di incendiare le camere d’aria interiori di ogni singolo lettore, capace di sconfinare, di rovesciare piani precostituiti. Attraverso questo testo necessario, Moresco spalanca le percezioni di un uomo che vive il disagio di stare dentro un microcosmo a sua volta accartocciato in un macrocosmo e con un disincantato lirismo leopardiano spacca la vita in mezzo, mette in crisi la percezione dell’universo. La lucina è quindi un’altra fessura, accanto ai Canti del Caos, che squarcia la zona ignota, come se la letteratura fosse una cruna, come lui la definisce, che ci conduce verso di essa.
Travestita estate
di Franz Krauspenhaar
Ci si avvicina alla fine del viaggio. Ma la fine è un traguardo, non una catastrofe. [George Sand.]Questo caldo infernale mi spinge lentamente alle corde, una volta tanto vorrei camminare nella neve, nel nord della Svezia, e rischiare l’assideramento dentro una Volvo senza benzina… prima che arrivi una troupe di Discovery Channel a cercarmi con le prove di un tentato suicidio… ma no, tu dov’eri? Dov’eri quando cercavo di finire le mie pene il mio supplizio col tuo aiuto? Ti chiesi l’offerta della tua mano per tagliarmi le vene, che io non riuscivo a farlo nella solitudine delle ore ultime, e tu mi parlasti del bene della vita. Il perché, il percome, il persopraesotto. La statua di sale quanto basta, pepe macinato al momento. Ho deciso di raccontarti questa estate piena di vuoto, questo calvario sudato, come un sudario senza croci, ma spasmi di vuoto orticario… come? Credi che io stia poetando, con la ferocia dolce dei falliti che s’impennano come motociclette adolescenziali? No, l’ora della poesia l’ho trascorsa. Tornato alle più miti intenzioni della prosa, all’espressione giudiziosa delle frasi che proseguono con una certa libertà sul foglio, più piane, meno sinistre e gocciolanti e spasmodiche, m’inclino come un bombardiere di idee torride, e ti chiamo, ad ascoltare il mio racconto d’un’estate, quella appena svanita, nel vento della fine stagione, come svendita.
Il romanzo e la strategia dell’inventario
Di Andrea Inglese
Spunti kunderiani
Nel 2010, il Seminario Internazionale del Romanzo ci ha offerto uno spunto di riflessione, mettendo a confronto in maniera polemica due principi che, di per sé, dovrebbero garantire al genere romanzesco la sua vitalità: il principio architettonico, che organizza ed esplora il materiale narrativo, e il principio – come io lo definirei – della peripezia, che costituisce il materiale narrativo allo stato per così dire “grezzo”. In realtà, come Massimo Rizzante ha sottolineato, l’odierna produzione editoriale, che fa del romanzo il suo genere letterario privilegiato, contribuisce ad enfatizzare il principio della peripezia a scapito di quello compositivo, privando così il genere delle sue potenzialità conoscitive.
Figli della bolla formativa: laureati, precari e al nero
di Roberto Ciccarelli
A un anno dalla laurea lavora solo un laureato su tre. E chi lavora è sempre più precario, viene pagato in nero. Dopo cinque anni la situazione tende a migliorare: lavorano stabilmente 7 laureati su 10, tra i triennali quasi 8 su 10. Sono i dati del XV rapporto Almalaurea che colgono il drastico aumento della disoccupazione dei «colletti bianchi» che tra il 2010 e il 2011 è aumentata del 4% passando dal 19 al 23%. Una tendenza cresciuta del 5% negli ultimi 5 anni. Il precariato cresce tra i laureati triennali, +10% dal 2008 e +6% tra gli specialisti. Ma la laurea resta sempre un titolo da prendere perché garantisce un tasso di occupazione più elevato rispetto al diploma (+12%). Le prospettive non sono però rassicuranti.
La bolla formativa è esplosa
Nei prossimi anni la componente maggioritaria dell’offerta di lavoro sarà costituita da individui in possesso della scuola dell’obbligo o di un diploma secondario. Nel 2010 il 37% dei manager aveva completato tutt’al più la scuola dell’obbligo, contro il 19% della media europea a 15 paesi e il 7% della Germania. Su 407 mila assunzioni previste, il 14,5% ha coinvolto i laureati e il 32,3% i lavoratori senza formazione specifica. Insomma per dirigere un’azienda – medio-piccola – non c’è bisogno di una specializzazione e per essere assunti non occorre la laurea.
Una volta di più Almalaurea conferma che la maggior responsabile dello scacco dell’istruzione pubblica italiana non è la scuola, o l’università, bensì il ridotto interesse del tessuto imprenditoriale (costituito per la maggioranza da Pmi) ad assumere personale qualificato, a partire dai livelli più alti. Se i vertici di un’azienda non sono laureati, perchè dovrebbero assumere dipendenti più qualificati di loro?
Dicerie dei piccoli imprenditori
La controprova è stata fornita da un’indagine commissionata al Censis dalla Cna dove questa realtà viene rovesciata e la responsabilità viene addebitata agli under 25 ai quali i piccoli imprenditori attribuiscono la scarsa, o inesistente, volontà delle aziende di fare nuove assunzioni.
La Cna stigmatizza l’approssimativa preparazione tecnica del 39,5% dei giovani, lamenta la loro scarsa attitudine del 26,6% al lavoro artigiano e la scarsa propensione a sostenere la fatica fisica (nel 25,1% dei casi). Uno slancio di realismo impedisce all’indagine di addebitare la stagnazione delle Pmi solo al morbo del «lazzaronismo» che avrebbe colpito i giovani dall’inizio della crisi. La Cna sposta il mirino sul bersaglio grosso. La colpa della crisi è della scuola. Gli imprenditori denunciano il suo forte scollamento dal mondo dell’impresa.
Tre aziende su 4 giudicano la scuola inadatta ai propri bisogni (76,6%), per una su 4 è del tutto inadeguata (24,2%). Si lamenta inoltre il poco tempo dedicato alla formazione pratica (39,7%) e la carenza di occasioni di tirocinio (27,7%). Per il 23,2% degli imprenditori la scuola non è in grado di trasmettere i valori del mondo del lavoro. Non si dice quali, forse sono quelli della massima flessibilizzazione e dei salari ridotti? Non importa, perché sul banco degli accusati c’è l’intero sistema educativo che non risponde ai bisogni delle aziende, figlio di un’impostazione teorica e generalista, frammentato in una miriade di percorsi formativi che non permettono uno sbocco occupazionale.
L’indagine sottolinea inoltre che il 33% delle imprese è riuscita ad assumere nuovo personale, il più delle volte in sostituzione di altre figure. Più di un’impresa su 4 (26,4%) ha fatto ricorso alla cassa integrazione, il 17,1% delle imprese ha ridotto l’orario di lavoro dei propri dipendenti, il 16,6% riorganizzato i processi di lavoro, il 13,6% riconvertito professionalità già presenti all’interno dell’azienda. Un’impresa su 10 ha ridotto lo stipendio dei dipendenti (10,7%), mentre sono poche di meno quelle che non hanno rinnovato contratti a termine o di collaborazione (7,9%). Può stupire fino a un certo punto che la rude razza pagana delle piccole imprese consideri la formazione scolastica con un’alzata di ciglio. In fondo questa è la tradizionale rappresentazione del piccolo imprenditore italiano interessato più al «fare» che agli inutili discorsi «intellettuali».
La campagna contro la “licealizzazione” della società
Questa campagna contro la scuola, come istituzione e come luogo della formazione di saperi “non utili” alle aziende e quindi alla società è il fattore che ha fatto esplodere la bolla formativa. Dieci anni fa, lo ricorderete, non passava settimana in cui tutti enfatizzavano il ruolo dei master o della laurea per favorire l’ascensore sociale. Da quando, invece, ci si è resi conto che le aziende non assumono, lo Stato ha bloccato il turn-over e moltiplica a dismisura i precari nella pubblica amministrazione (secondo la Cgia di Mestre sono 3,3 milioni di persone) è partita la caccia alla “laurea inutile”. E poi si è arrivati a sostenere che è ormai “inutile” laurearsi per trovare un posto di lavoro stabile. E ben retribuito.
Feroce è stata la campagna contro la “licealizzazione” della società. Tutti che volevano la laurea, nessuno che accettava i lavori “umili”. Esemplare è stato, ad esempio, Giorgio Guerrini, presidente di Confartigianato: nel 2011, 45 mila posti tra i mestieri artigiani “ad alta intensità manuale” sono rimasti scoperti per mancanza di candidati. Stesso discorso quando, sempre nel 2011, si è scoperto che i profili più ricercati tra i “giovani” nel 2011 sono i cuochi, camerieri e altre professioni dei servizi turistici (+23,4%).
Curiosa espressione “licealizzazione”. Perché a licealizzare la società è stata innanzitutto la riforma Berlinguer-Zecchino del 2000, il famoso “3+2″, che ha organizzato i corsi di laurea con i moduli di insegnamento, spezzettando gli esami secondo un commercio di debiti e crediti. Una laurea è la somma di questo smercio quotidiano, non l’accumulazione e la differenziazione di saperi in base ad un’esperienza, un dialogo. In compenso si fanno tanti stage. Gratuiti. Questa riforma è stata un fallimento, più volte sottolineato in questi anni dai rapporti Almalaurea. La campagna contro l’istruzione pubblica, e il ruolo della scuola, lo ha rimosso. Con un duplice risultato: si delegittima il sistema della formazione fallito per incapacità dei governi e si sposta la responsabilità sui soggetti che non accettano le possibilità offerte dalla società.
Le prove del fallimento? Le ha date il governo Monti quando ha ammesso che l’obiettivo fissato dalla Commissione Europea per il 2020 è irraggiungibile: il 40% di laureati nella popolazione di età tra i 30-34 anni. Oggi siamo fermi al 26-27%. Insieme alla Romania, l’Italia è il paese più arretrato d’Europa.
Compressione dei redditi
L’indagine Almalaurea ha coinvolto oltre 400 mila laureati in 64 atenei e registra una contrazione delle retribuzione dei laureati tra il 16 e il 18%, di poco superiore ai mille euro, 1.400 dopo cinque anni. Gli ingegneri guadagnano di più (1.748 euro al mese), gli insegnanti sono i più poveri (1.122 euro). Questa situazione è stata provocata da due fattori: l’Italia si trova agli ultimi posti per la quota di laureati sia per la fascia di età 55-64 anni sia per quella 25-34 anni. E i laureati non guadagnano abbastanza, e in maniera duratura. Quindi non pagano le tasse, non versano i contributi, non finanziano le prestazioni del Welfare e quindi, in cambio, non riceveranno una pensione, un sussidio di disoccupazione, un reddito di base, prestazioni dignitose nel sistema sanitario nazionale. E’ una delle catene prodotte dall’esplosione della bolla formativa. La recessione dei lavori della conoscenza colpisce al cuore le nuove generazioni e lo Stato sociale.
(Im)mobilità sociale
In questa condizione, la mobilità sociale è un bene residuale riservato a coloro che possiedono più risorse familiari per sostenere la povertà dilagante. Le indagini Almalaurea hanno messo in evidenza che una parte rilevante dei laureati proviene da famiglie i cui genitori sono privi di titolo di studio universitario. Fra i laureati di primo livello del 2011 la percentuale di laureati con genitori non laureati raggiunge il 75 per cento. La selezione sociale inizia quando si passa alla laurea di secondo livello. Fra i laureati specialistici la quota di chi proviene da famiglie con genitori non laureati scende al 70 per cento. Un’ulteriore conferma la si ottiene esaminando l’origine sociale di provenienza dei laureati specialistici a ciclo unico (medicina e chirurgia, giurisprudenza, ecc.): le famiglie con i genitori non laureati calano al 54 per cento. Una giustizia sociale di classe.
[“the p(recarious) s(cholar)”, da dance scriber]
L’importanza di una laurea in lettere
C’è anche un altro luogo comune confutato dal XV rapporto Almalaurea: visto che i laureati non trovano lavoro, e quelli che lo trovano svolgono ruoli non «allineati» alla loro formazione, è inevitabile restringere l’accesso alla formazione terziaria e a quella specialistica, al fine di garantire a pochi «eccellenti» l’ingresso sul mercato. Un luogo comune che dovrebbe permettere, ad esempio, agli ingegneri informatici – che sono pochi e molto richiesti – di percepire un buon reddito.
Almalaurea dimostra che tra il 2008 e il 2012 è accaduto esattamente l’opposto: le loro retribuzioni si sono ridotte del 9% (il 17% nel caso dei laureati specialistici). Non resiste nemmeno l’ultimo tabù dell’ignoranza dettata per legge. Quante volte è stato ripetuto che «non conviene» prendere una laurea umanistica, perché di letterati o avvocati ce ne sono a bizzeffe, e «sono tutti disoccupati»?
Dati alla mano, AlmaLaurea dimostra che rispetto alla Germania, in italia ci sono pochi laureati in queste discipline. Sembra assurdo, ma è proprio così: nel 2010 in Italia erano il 19%, mentre in Germania il 23%. La ragione per aumentare il numero di questi laureati viene spiegata con Martha Nussbaum: «le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica» e anche con l’idea che gli «umanisti» siano più sensibili rispetto a «lavori che non sono stati ancora creati, per tecnologie che non sono ancora state inventate».
Troppe cose per un governo inesistente
Almalaurea insiste: bisogna rifinanziare scuola e università, premiare il “capitale umano”, accrescere il “valore aggiunto” della formazione delle persone. Un giorno, tutto questo, arriverà, forse. Ma non conviene, prima di tutto, affrontare la volontà delle imprese di non assumere, sbloccare il turn over nella scuola e nell’università, modificare le riforme Gelmini che impediscono un serio reclutamento, modificare nella sostanza la formazione professionale al di là degli equivoci della riforma Fornero e dell’apprendistato?
Troppe cose per una legislatura troppo breve. E per un governo che, se mai vedrà la luce, dovrà pensare a tagliare i rimborsi ai partiti e cambiare la legge elettorale.
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Articolo già apparso in La furia dei cervelli, 11 marzo 2013.
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[La prima immagine è una scultura di Paolo Fumagalli, Precarious thought (2008)]
Apollonio Rodio – Argonautiche IV 891-919 – Le Sirene
trad. isometra di Daniele Ventre
νῆα δ᾽ ἐυκραὴς ἄνεμος φέρεν. αἶψα δὲ νῆσον
καλήν, Ἀνθεμόεσσαν ἐσέδρακον, ἔνθα λίγειαι
Σειρῆνες σίνοντ᾽ Ἀχελωίδες ἡδείῃσιν
θέλγουσαι μολπῇσιν, ὅτις παρὰ πεῖσμα βάλοιτο.
Francesca Canobbio – Poesie inedite
CONCERTO AL MINIMO
hai scavalcato il pianoforte fino alla sua coda- fino a tastare le corde che tese a capestro con un pizzico o più di follia davano la morte sospesa nel nastro fatto scorrere al collo che pendendo una nota sul petto fanno il cuore maiuscolo più dello spazio- stella nana- stellina di ottave in colonne di marmo sonoro- e cerchi- dall’alto scorgo e cerco dalla cupola quanto di celeste ormai giunto- quanto dista l’oscuro nell’ordine spartito da dio- se ha un suono il suo passo sulla scala o porta- un profilo di mani giunte fanno un coro su questo pavimento che hai ormai tentato capovolto quando con tutta la voce- tutte le voci sono uno schianto?
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Le BLOG est mort, vive le BLOB?!
The Blob [1958] “Non riusciremo a fermarla!”
di Orsola Puecher
La data simbolica di nascita dei blog [web+log *diario in pubblico] è il 18 luglio 1997
Una serata su Pagliarani e una nuova collana di poesia
Nell’anniversario della scomparsa di Elio Pagliarani, in occasione dell’uscita dell’omaggio Ma dobbiamo continuare. 73 per Elio Pagliarani a un anno dalla morte
a cura di Andrea Cortellessa, e della nuova collana poetica i domani di Nino Aragno Editore con I funerali di Corrao di Emilio Isgrò
Fondazione Mudima e alfabeta2
invitano all’incontro
che si terrà
lunedì 25 marzo alle ore 18:00
presso la Fondazione Mudima
in via Tadino, 26 – Milano
Ma dobbiamo continuare
(Per Elio Pagliarani)
interverranno
Cetta Petrollo Pagliarani, Nanni Balestrini, Franco Buffoni, Maria Grazia Calandrone, Biagio Cepollaro, Carla Chiarelli, Michelangelo Coviello, Maurizio Cucchi, Enzo Di Mauro, Giorgio Falco, Vincenzo Frungillo, Aldo Nove, Laura Pugno,
Francesco Targhetta, Ade Zeno e tanti altri
Gian Maria Annovi
collegato da Denver (Colorado) presenterà il suo Italics
Andrea Cortellessa e Maria Teresa Giaveri presenteranno
Emilio Isgrò, I funerali di Corrao
e l’autore ne darà lettura
Una nuova collana di poesia di Nino Aragno Editore: i domani
Secondo un grande maestro da poco scomparso, Andrea Zanzotto, la poesia è legata a quello che lui chiamava (parafrasando e capovolgendo un assai noto concetto freudiano) piacere del principio. Ogni volta la parola interrompendo il silenzio – non importa se con un grido o con un bisbiglio – stimola i nostri sensi. Sia che ci tocchi ascoltare, o prendere la parola. I tempi dell’editoria confliggono da sempre con questa urgenza bruciante e, specie in un contesto fuori dal mercato com’è quello della poesia, costringono gli autori a lunghe attese: a volte interminabili, geologiche. Percorrendo strettoie, produttive e distributive, che le nuove tecnologie al momento si limitano a promettere di allargare.
Il progetto dei domani, la nuova collana progettata da Maria Grazia Calandrone, Andrea Cortellessa e Laura Pugno per Nino Aragno Editore, e che s’inaugura in occasione della giornata mondiale della Poesia il 21 marzo 2013, intende conciliare queste diverse temporalità per produrne, chissà, una tutta nuova. Libri compatti, nell’impaginazione e nella struttura: destinati a fotografare, flash e dediche, opere circoscritte ma in sé compiute di autori “nuovi”, per anagrafe o per una marginalità sinora più sofferta che goduta; oppure, al contrario, works in progress di autori più affermati. Andando a cercare gli orientamenti, i generi, i temperamenti più diversi – ma accomunati da una vitalità, da un piacere del principio che è un piacere, appunto, condividere con i lettori. Quasi anticipando i tempi di autori e opere che domani, appunto, si scommette siano destinati a restare. Fermoimmagine di un movimento per sua natura imprevedibile, qual è quello della parola nel vivo del suo farsi.
I primi tre titoli: il numero zero è un a parte, anche tipograficamente parlando, in quanto raccoglie 73 omaggi in versi e in prosa giunti alla redazione della rivista alfabeta2 da colleghi, amici e compagni di strada all’indomani della notizia, giusto un anno fa (8 marzo 2012), della scomparsa di un altro grande maestro, Elio Pagliarani. Il libro reca un titolo tratto dal suo poema La ballata di Rudi, un titolo che – è il caso di dire – è tutto un programma: Ma dobbiamo continuare. Il libro a venire di Emilio Isgrò, protagonista delle arti visive oltre che della nostra letteratura, è il poemetto I funerali di Corrao, dedicato all’assassinio – nell’estate del 2011 – di un autentico personaggio della politica e della cultura siciliane, Ludovico Corrao (e che preannuncia una nuova raccolta poetica sull’ambivalente rapporto di Isgrò con la propria incancellabile terra d’origine). Mentre Gian Maria Annovi, un giovane intellettuale trasferito oltreoceano e che è fra i più brillanti della sua generazione (è nato nel 1978), illustra la sua vita “americana” nei versi acuminati e iridescenti di Italics.
Perché domani, sempre, è il tempo della poesia.
post in translation : Pere Calders
L’albero domestico*
di Pere Calders
traduzione dal catalano a cura di Alessio Arena
In questa vita ho avuto molti segreti. Ma uno dei più grossi, forse quello che era maggiormente in conflitto con la verità ufficiale, è il segreto che adesso trovo opportuno confessare.
Una mattina, quando mi alzai, vidi che nella sala da pranzo di casa mia era nato un albero. Ma non vi fate illusioni: si trattava di un albero vero, con radici infilzate nelle mattonelle e dei rami che si piegavano sotto al soffitto.
Pensai subito che quella cosa lì non poteva essere lo scherzo di nessuno, e, non avendo persone care alle quali raccontare certe cose, decisi di andare dalla polizia.
Mi introdusse il capitano, con dei grandi baffi, come sempre, e un vestito la cui eleganza non sarei in grado di spiegare, perché era coperto dai distintivi. Dissi:
– Vengo per farvi sapere che nella sala da pranzo di casa mia è nato un albero vero, al margine della mia volontà.
L’uomo, penserete, si sorprese. Stette un po’ di tempo a guardarmi e poi disse:
– Non può essere.
– Ma certo. Queste cose uno non sa mai come accadono. Ma l’albero è lì, a prendersi la luce e a darmi fastidio.
Queste mie parole irritarono il capitano. Diede un colpo sulla tavola con la mano aperta, si alzò e mi prese per il colletto. (Quel gesto che dà tanta rabbia.)
– Ho detto che non può essere – fece di nuovo -. Se questo fosse possibile, sarebbe possibile qualsiasi cosa. Lo capite? Dovremmo correggere tutto ciò che hanno detto i nostri saggi e perderemmo molto più tempo di quanto uno si immagina a prima vista. Saremmo ben conciati se nelle sale da pranzo di un cittadino qualsiasi accadessero cose tanto straordinarie! I rivoluzionari alzerebbero la testa, tornerebbero alla discussione della divinità del re, e chissà se qualche potenza, incuriosita, non ci dichiarerebbe guerra. Lo capite?
– Sì. Ma, nonostante tutto, ho toccato l’albero con le mie mani.
– Andiamo, forza, dimenticate questa faccenda. Condividiate solo con me questo segreto, e lo Stato pagherà bene il vostro silenzio.
Io stavo per considerare la possibilità di un assegno quando la mia coscienza ebbe una scossa. Chiesi:
– Ma è una cosa d’interessa nazionale, questa qui?
– Ovviamente!
– Allora non voglio nemmeno un centesimo. Io per la patria faccio qualsiasi cosa, sapete? A disposizione vostra.
Dopo quattro giorni mi arrivò una lettera del re, nella quale mi ringraziava. E con questo chi non si sarebbe sentito ben pagato?
Nota del traduttore
Pere Calders, vero maestro nel genere della narrativa breve in lingua catalana, si esiliò in Messico, dopo un’attiva partecipazione alla guerra spagnola scoppiata nel ’36, come tecnico cartografo dell’esercito repubblicano.
Per un catalano di forti radici come lui è duro adattarsi alla vita messicana degli anni cinquanta, ma è proprio qui che l’autore viene a contatto con il nascente realismo magico della letteratura hispano-americana che trasferirà alla sua opera, anche dopo il ritorno a Barcellona.
Ossessionato da quella “verità occulta” sulla cui base si appoggiano le schizofrenie della società attuale, anche nella letteratura di Calders l’uomo è considerato un mistero immerso in una serie di dati realistici. Per usare le parole del venezuelano Arturo Úslar Pietri egli è “Una divinazione poetica o una negazione poetica della realtà”.
In principio non era il Logos
di Daniele Ventre
Mulieri autem docere non permitto (Paolo Tim. I 2.1)
1. Metacondizioni del discorso e comunità argomentativa ideale
Risale al 1981 la Teoria dell’agire comunicativo in cui Jürgen Habermas codifica le basi della cosiddetta etica del discorso. Sottesa alla visione del filosofo è la semplice ed elementare constatazione secondo cui, al di là delle divergenze di opinione sui fatti o sulle soluzioni ai problemi, nessun discorso, normativo o descrittivo che sia, possa evitare di riconoscere implicitamente e di presupporre di principio i criteri di giustezza, verità (o verosimiglianza), veridicità e comprensibilità.
Nazione Indiana, i blog letterari, la cultura italiana
di Giacomo Sartori
GS Si dice che i blog letterari siano in crisi, e per certi versi superati, sei d’accordo?
GS Non mi sembra che si possa parlare di crisi dei blog letterari: Nazione Indiana e Carmilla mantengono la loro posizione preminente, e negli ultimi anni sono nati molti altri blog di peso e qualità, ognuno dei quali ha un numero più o meno grande di lettori. In qualche caso, come per esempio Minima Moralia e La poesia e lo spirito, il seguito comincia a essere (stando a blogbabel) quasi dello stesso ordine di grandezza di quello di Nazione Indiana e Carmilla. Senza contare che certi temi meno strettamente letterari adesso sono trattati anche da blog più “specialistici”, a cominciare da quello di Alfabeta2. Quindi mi sembra innegabile che il bacino totale si è allargato, e probabilmente continua a crescere, anche se purtroppo non ci sono dati certi, perché i parametri disponibili non sono facili da interpretare in modo immediato. E soprattutto nessuno si è preso o si prende la briga di fare un’analisi seria, che io sappia.
GS Quindi ti sembra che godano di buona salute, e che continueranno a esistere nei prossimi anni?
GS D’altra parte i motivi che hanno portato alla nascita di questi blog sono tutti lì, o forse sono ancora più invasivi rispetto a dieci anni fa, quando è nata Nazione Indiana: lo stato di abbandono in cui versa la nostra cultura, il conformismo della narrativa mainstream e delle grandi case editrici, la cieca e probabilmente autolesionistica dittatura di queste ultime sulla distribuzione, la loro completa chiusura nei confronti della poesia più interessante e innovativa, l’impaludamento e il nepotismo e la gerontocrazia della maggior parte delle pagine culturali, le meschinità e le relazioni incestuose nei premi, l’asma provinciale di molta critica letteraria, la mancanza di originalità e la sottomissione alle leggi della notorietà della maggior parte dei festival letterari etc. È un fenomeno molto italiano questo dei blog letterati collettivi di scrittori, o comunque con molti scrittori: in molti altri paesi ci sono blog di singoli autori, anche molto seguiti, e soprattutto blog che segnalano e commentano testi, non blog collettivi dove gli scrittori sono dominanti o comunque molto presenti. E non mi sembra un caso che proprio in Italia molti scrittori giovani e non, e alcuni dei quali con un successo di vendite, altri novizi o non ancora pubblicati, sentano il bisogno di associarsi per formare e portare avanti delle esperienze collettive. Io la vedo come una forma di difesa, di resistenza, di fronte a uno stato delle cose nel quale appunto il nuovo, il dibattito aperto, la critica radicale, o più semplicemente l’intelligenza e la qualità, sono repressi e non trovano il loro spazio. Avendo scelto di non farne parte io conosco poco i social network, ma non credo, proprio per il loro funzionamento effimero, che possano svolgere il ruolo di approfondimento e di trattazione sistematica di certe tematiche, e di segnalazione delle opere di valore, che portano avanti i blog letterari. Semmai possono integrarsi molto bene con questi.
GS Però ora i commenti ai post sono meno numerosi di qualche anno fa, no?
GS Certo negli ultimi due o tre anni una buona fetta del dibattito si è trasferito dai thread sotto i pezzi dei blog letterari ai social network, ma non mi sembra che i commenti abbiano mai costituito il motivo principale di essere e l’aspetto più innovativo dei blog. Certo danno vitalità e apertura, attentando forse a quell’autorità fittizia della parola scritta della quale ci ha parlato Platone, e qualche volta sono davvero interessanti, e/o contengono delle perle, ma raramente la sostanza sta lì. Non dobbiamo dimenticare che in ogni caso le persone che commentano sono un’infinita minoranza rispetto ai lettori “silenziosi”. E questo ora come qualche anno fa, quando i dibattiti sotto i post erano più vivaci, e le tenzoni più frequenti. A fronte di qualche appassionante dibattito con belle idee e approfondite analisi, spesso frutto di qualche lucidissimo commentatore che poi ha finito per pubblicare le proprie cose, hanno spesso prevalso i deliri di ego frustrati e non di rado incattiviti, con quella mancanza di un galateo compartito che caratterizza i primi tempi di ogni nuovo medium.
GS Quindi quella dei blog letterari ti sembra una realtà con una sua vitalità?
GS Lasciando stare una valutazione sul preciso apporto che è venuto dai blog, anche per quanto riguarda l’emergenza o una più grande visibilità di nuovi autori o nuove forme di scrittura (ma come sappiamo la questione è ben più complicata, si vedano Raffaele Simone e altri), o nei confronti della critica letteraria, delle riviste letterarie, del giornalismo culturale etc., valutazione che secondo me richiederebbe un grosso lavoro di analisi e di riflessione, mi sembra che si può dire qualche cosa sulle dinamiche in generale. Da una parte i blog letterari sono ora più numerosi e più vari, e quindi sostanzialmente rappresentano un’offerta più ampia per il lettore/utente. Vengono tuttora snobbati da gran parte del giornalismo culturale (rarissimamente i giornali che pescano contenuti e notizie da Nazione Indiana si degnano di citare la fonte, tanto per fare un esempio) e dalle case editrici (che sostanzialmente li ignorano, o fingono di), la maggior parte dei critici letterari e dei ricercatori preferiscono attenersi a un ruolo voyeuristico, ma pesano di più. Qualsiasi approfondito intervento critico su Nazione Indiana ha un seguito ben superiore a quello che avrebbe sulle più conosciute riviste letterarie, mi stupisce sempre che molte persone attente a queste cose non se ne rendano conto e non ne approfittino, quasi avessero paura di sporcarsi le mani, o comunque necessitino ancora del sigillo della rivista cartacea. D’altra parte è evidente che si sono create tante parrocchiette indipendenti, per non dire impermeabili una all’altra. Quindi quell’esigenza di apertura e di condivisione che stava alla base della nascita di ogni realtà si è trasformata in molti casi in chiusura. Non riesco a non vederci quella solita incapacità tutta italiana, di cui hanno parlato tantissimi, anche prima di Leopardi, e su fino a Gervaso e Galli della Loggia, di uscire dall’orizzonte ristretto del proprio clan di amicizie e relazioni, una recalcitranza a creare connessioni ampie, a concepire dei fini meno immediati e per così dire più disinteressati, a mettere in sordina i particolarismi per costruire una sana e vasta opposizione a malfunzionamenti che non soddisfano nessuno. Io personalmente la considero una grossissima tara, e lo trovo spesso insopportabile, e triste. Il limite principale mi sembra questo, non certo la concorrenza dei social network.
GS E i frequentatori/lettori, in tutto ciò?
GS Per paradosso chi fa il legame tra i vari blog sono soprattutto i lettori, perché è evidente che molti di loro si spostano da un sito all’altro. Probabilmente ognuno di loro fa individualmente le sue valutazioni e i suoi confronti, le sue sintesi, ma manca appunto un dibattito diretto tra le varie realtà. Non riesco a non vederci uno specchio dello stato del paese, carico degli effetti della storia recente, perché la crisi non è solo crisi della rappresentanza, crisi della Politica, ma anche capillare incapacità di confrontarsi e di discutere, crisi del legame sociale a tutti i livelli, anche proprio nella cultura. Pur con le sue specificità la rete non è immune da quello che succede “fuori”, dai comportamenti diffusi. E chi paga in fondo è sempre l’ultimo anello della catena, il lettore, il cittadino, che si trova solo, e deve fare tutto senza nessun aiuto. In balia, se parliamo di libri, dell’affliggente offerta libraria delle librerie Feltrinelli, dell’ennesimo festival letterario con De Luca e Lucarelli, della recensione su Repubblica dell’amico del tale noto scrittore o della sconosciuta scamorza, che ne parla come se non fosse suo amico o sodale di gruppo editoriale, e appunto con la stampella dei blog, che sono certo più gagliardi e affidabili, ma il più delle volte si ignorano a vicenda, o sembrano occupati a perpetrare se stessi, rifuggendo come la peste il confronto e in definitiva la possibilità di contare di più.
GS E non potrebbe esserci qualche forma di apertura reciproca?
GS Forse si potrebbe pensare, almeno dove non prevale il settarismo (che a me fa pensare in qualche caso all’insofferenza reciproca tra i ”gruppi extraparlamentari” degli anni ’70, la violenza subliminale, che coagula i gorghi non sopiti della nostra società, sembrerebbe echeggiare quella) a delle iniziative in comune, quali per esempio delle riflessioni su determinati temi, o a delle collane in comune di e-book. O anche si potrebbero organizzare degli eventi fuori dalla rete (dibattiti …), ingaggiare delle battaglie (per esempio per un trattamento dignitoso dei traduttori, per dei finanziamenti alla cultura …). La vedo dura, perché appena si profila una possibilità in questo senso scattano le reazioni e le rigidità di parte, ma credo sarebbe molto bello, e permetterebbe di uscire dalla claustrofobia dei microhabitat di ogni blog, e forse appunto anche di avere più influenza.
GS Come vedi l’esperienza di Nazione Indiana, in questo panorama di cui parli, dopo dieci anni di esistenza?
GS Quello che caratterizza Nazione Indiana fin dalla sua nascita è l’estrema eterogeneità delle sue anime. I suoi componenti sono sempre stati e sono tuttora molto diversi per origine geografica, luogo di residenza, età, sensibilità, formazione, percorso, esperienze creative e lavorative, visione della letteratura, posizionamento nell’industria delle lettere. Senza alcuna forma di gerarchia esplicita o subliminale, senza legami di interessi materiali, senza settarismi di clan. Chi ci accusava di comportamenti interessati, in una polemica di qualche anno fa sulla “classifica Dedalus”, dimostrava di non cogliere la specificità di questa realtà. Io la considero un’enorme ricchezza, in un paese appunto dove le coesistenze e il confronto costruttivo sono molto difficili. La sua gran vitalità, e il fatto che rimanga il blog culturale più seguito e autorevole, o insomma uno dei, risiede lì. Beninteso è anche la sua debolezza, perché l’estrema diversità impedisce qualsiasi forma di sintesi o anche semplicemente di coerenza. Nazione Indiana è in fondo una grande macchina anarchica, che sposa e sfrutta l’orizzontalità della rete. Quando la riflessione per avanzare ha bisogno di solidi minimi comuni denominatori, di scelte compartite, di seppure indisciplinata disciplina. Io personalmente ogni tanto rimpiango un funzionamento più coerente e meno individualista, e credo che il motivo per cui nel corso degli anni tante persone sono uscite, rimpiazzate via via da altre, sia proprio questo. L’anarchia è bella ma faticosa, logorante, spessissimo inconcludente. Ma sarebbe possibile oggi in Italia far lavorare assieme anime tanto diverse, adottando per esempio un classico funzionamento di redazione, cercando di individuare una anche minima linea editoriale, senza scatenare ipso facto l’instaurarsi di gerarchie e chiusure, gregarismi e irrigidimenti, appiattimenti e esclusioni? A modo suo Nazione Indiana è riuscita a evitare queste piaghe, che mi sembra in misura diversa contaminino, e limitino, molti altri blog. Senza bisogno di nessun Grillo.
GS E la scissione che ha portato alla nascita del Primo Amore?
GS Io all’epoca non facevo parte del blog, ma avevo letto e condivido appieno l’analisi di fondo sul blog fatta da Moresco nella lettera di commiato quando ne è uscito: mi sembra che le sue parole restino validissime anche adesso. E pure a me piacerebbe una Nazione Indiana più combattiva e più coerente e più impegnata in progetti e posizionamenti radicali di lungo respiro, composta esclusivamente da coraggiosi paladini senza l’ombra di compromissione con il mondo editoriale e terreno. Ma il sentito richiamo alla radicalità e alla coerenza di Moresco, al quale sono molto sensibile, mi sembra rifletta una concezione della militanza superata, legata alla sua storia personale, e soprattutto velleitaria. Ci vedo una sottovalutazione degli effetti pervasivi del disastro capillare della cultura italiana nell’era della rivoluzione digitale, e degli stessi cambiamenti antropologici che questo connubio di arretratezza e di microelettronica ha indotto, e che la rete riflette in maniera cristallina. Io sono convinto che sia vano rincorrere una purezza che non esiste e non può esistere. E questo non vuole certo dire a rinunciare a checchessia. Il Primo amore è un bellissimo e molto coerente blog, ma non mi sembra che rappresenti un qualcosa di più radicale e incisivo di Nazione Indiana. Anzi. E non è un caso.
GS E il futuro?
GS Non dobbiamo dimenticare che i blog letterari sono mandati avanti da volontari. Ma per scrivere un buon post ci vuole tempo e fatica, esattamente come per partorire un buon pezzo per una rivista o una pagina culturale. Questo è un grosso limite. O meglio, il carattere “amatoriale” implica la più grande libertà, e quel confronto disinteressato con il testo che può permettere di cogliere la letteratura per quello che è, ma è anche un limite. La maggior parte delle persone che fanno parte dei blog collettivi sono giovani o non più tanto giovani intellettuali, che spesso hanno al loro attivo lavori importanti (di creazione, o di traduzione, di critica), ma hanno un enorme difficoltà a sbarcare il lunario, nell’indigenza in cui naviga la nostra cultura. È quel sottoproletariato culturale, sovente con delle enormi doti, che conosciamo tutti, e che non trova impieghi degni, che è bistrattato e umiliato, e in qualche caso riesce a tirare avanti solo con l’aiuto della famiglia. È una situazione che in altri paesi occidentali non è nemmeno immaginabile. Ognuno di noi potrebbe citare decine di casi. Queste persone, e ripeto, spesso hanno grandi capacità, e che sono affiancate da scrittori o professori o ricercatori che stanno un po’ meglio, spesso non possono permettersi di dedicare molto tempo al confezionamento di contributi originali. E nello stesso tempo sono proprio la loro indigenza e la loro esclusione che li spingono pur sempre a partecipare a un’impresa collettiva, a dedicare il loro tempo libero a un’attività di militanza, perché di questo si tratta. Mi sembra questa la contraddizione di fondo che sta dietro a questa realtà.
GS Quindi?
GS Forse in un futuro non immediato ci sarà una professionalizzazione, e continueranno solo i blog che sapranno organizzarsi, che sapranno fornire dei contenuti di qualità, trovandosi qualche sponda economica. Un po’ come è successo per le radio libere trent’anni fa: dopo un periodo di disordinato fermento, sono sopravvissute e sono andate avanti solo quelle che hanno saputo strutturarsi, e hanno preso, anche se c’è qualche bella eccezione, una piega commerciale. Riuscirà Nazione Indiana a mutare la sua anima, diventando appunto meno anarchica? Probabilmente no (e sarà una perdita). Mi sembra emblematico a questo proposito il caso di Minima Moralia, che è una costola e si appoggia a una casa editrice che ha avuto la lungimiranza di capire l’importanza e anche la convenienza di ospitare un blog letterario. Mi sembra incredibile che le grandi case editrici non imitino questa esperienza. Costerebbe una pipa di tabacco, davvero nulla, e porterebbe a dei risultati anche proprio in termine di immagine e di vendite, visto che sono così focalizzati sulle vendite. Ma appunto sarebbe forse troppo in contrasto con l’impaludamento generale, con le reti di regole silenziose, con tutto il non detto (non a caso la sezione “blog” della Feltrinelli è una ilarante soffitta polverosa). Mentre Minimum Fax, che è una bella e vitale casa editrice, può permetterselo. Ma è solo un’ipotesi, per carità. Per ora i blog sono mandati avanti da desesperados della cultura, affiancati da qualche nobile e generoso intellettuale e scrittore di successo o successino.
[ho realizzato quest’intervista a me stesso soprattutto nell’intento di mettere lì qualche spunto di discussione, anche in previsione dell’incontro di sabato prossimo a Milano; convinto peraltro, molto umilmente, che altri avrebbero forse potuto sviscerare meglio di me la questione; GS]












