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Messico e nuvole

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di Gianni Biondillo

A Città del Messico vivono gli angeli. È quello che penso quando guardo Ana Maria, che è venuta a prendermi all’aeroporto. Ana Maria è una scrittrice messicana, l’ho conosciuta a Gijon, durante la Semana Negra, ed è subito nata fra noi quella curiosa solidarietà fra scrittori errabondi. Lei ora mi fa salire su un taxi e mi racconta della sua città, che ama appassionatamente, dello stesso amore che ritrovo nelle parole che spendo per la mia città, così tanto bistrattata dall’immaginario collettivo, Milano.
Non che Città del Messico sia da meno. A chiunque dicessi qual era la meta del mio viaggio vedevo gli occhi sbarrarsi: non prendere i taxi per strada, mi dicevano, non bere nulla col ghiaccio, vai in giro con una mascherina, non prendere la metropolitana, non mangiare nulla dalle bancarelle improvvisate per strada, muoviti circospetto, attento alle rapine. La cosa più inverosimile che mi è stata detta sembra persino divertente tanto è assurda: Città del Messico è così inquinata che gli uccelli di passo cadono a terra tramortiti! Racconto alla spicciolata queste cose a Ana Maria che sorride, anche se vedo un velo di amarezza nei suoi occhi. Ovviamente io non credo a nulla di tutto ciò. È semplicemente una questione di buon senso: chi di noi prenderebbe un taxi abusivo a Milano? Chi salirebbe su un mezzo pubblico con un fascio di cartamoneta che gli spunta dalla tasca della camicia? Chi si aggirerebbe di notte nei vicoli bui della città?
Sono un animale metropolitano, le città non mi spaventano, basta entrare in risonanza col battito del cuore urbano e il resto viene a solo. In fondo viaggiare è anche questo: fare a pezzi i luoghi comuni che ci portiamo dentro, smantellare i pregiudizi. Dunque nei pochi giorni che ho vissuto a Città del Messico (perché sì, io vivo le città, non le visito e basta) ho cercato di fare tutto quello che mi era stato sconsigliato. Grazia anche ad Ana Maria, che, depositati i bagagli in albergo, mi porta subito verso lo Zocalo, l’enorme piazza prospiciente la Cattedrale cittadina. Enorme anch’essa. Tutto è enorme a Città del Messico. Tutto ha una dimensione quasi favolistica: Avenida des Insurgentes, per capirci, la strada che taglia da sottinsù la città, è lunga 42 chilometri. È come partire da Milano e arrivare a Como e restare sempre nella stessa città. Neppure sanno quanti abitanti faccia, Città del Messico. C’è chi dice venti milioni, chi trenta. Metà della popolazione italiana concentrata in un unico agglomerato urbano. Sono le persone, il numero sterminato di persone, ovunque, che mi colpisce di più: per strada, nei bar, in metropolitana, nei parchi. Sembrano scaturire dalla terra, piovere dal cielo. Sono dappertutto. Nel frattempo saltiamo sopra un pesero, uno dei trabiccoli che portano verso il centro (“non prendere i mezzi pubblici!”). Sono sul Paseo de la Reforma, attraversiamo la Zona Rosa – un quartiere inizio Novecento, dal gusto europeo – fermandoci ogni tanto al richiamo di chi vuole salire. Non ci sono fermate stabilite, il mezzo non ha neppure un numero di riconoscimento. Si sale e si scende quando si vuole, o quando si può. Io butto gli occhi fuori dal finestrino e mi faccio puro sguardo. I palazzi crescono di altezza, diventano grattacieli. La città pulsa di vita, sembra un misto fra Berlino e Napoli. Ma è una semplificazione del mio cervello. Sto cercando, con i modelli urbani che conosco, quelli europei, un senso a questa città, ma comprendo che Città del Messico è qualcos’altro. È un po’ come il figlio di due genitori, che per quanto ci si ossessioni a ritrovare il sorriso del padre europeo o il taglio d’occhi della madre india, lui, di suo, il bambino cresciuto, la città enorme, è qualcos’altro di autonomo e indipendente.
Ci fermiamo all’Alameda Central – lo storico parco del centro città, quello dipinto dal meraviglioso murales di Diego Rivera – a comprare un po’ di chicharones da una bancarella abusiva (“non comprare nulla per strada!”), li mangio goloso, come un bimbo ad una fiera. Poi, più avanti è la volta di un tacos alla carne. Ana Maria ci aggiunge un po’ di guacamole, una salsa piccante all’avocado. In prossimità della cattedrale è la volta del dolce: polpa di platano glassata. Bene, se la maledizione di Montezuma non mi colpisce ora, penso, non mi colpirà mai più.

La voce del povero Montezuma, invece, la sento soffrire nelle pietre degli scavi archeologici a due passi dalla cattedrale. L’ultimo regnante atzeco accolse con tutti gli onori Cortés, mostrando la sua città con orgoglio, pochi anni dopo non ne rimase più nulla. O quasi. Ché la storia non si può cancellare mai per davvero. Soprattutto quando ha saputo dare luce a civiltà così complesse. È quello che penso andando con Jorge, il mio nuovo angelo custode, il giorno appresso, verso Teotihuacàn. Mi mostra una foto, Jorge: è gualcita, in bianco e nero, mostra una valle con dei curiosi montarozzi erbosi, alcuni bassi, altri più prominenti, alle loro spalle le vette dei vulcani innevati. Ecco com’era Teotihuacàn un secolo fa. Nessuno sapeva che là sotto, ricoperta dalla polvere della storia, dormivano la Piràmide de la Luna, la Piràmide del Sol, la Calle de los Muertos. Ci arriviamo in macchina e ad ogni rilievo vagamente conico penso che là sotto potrebbe assopirsi chissà quale altro gioiello millenario. Ma prima beviamo un tequila (“un”, non “una”. Il tequila è maschile in Messico) da Jesus. Niente sale nell’incavo fra pollice e indice, mi dicono, è roba da gringos. Poi Jesus mi mostra tutta la procedura: dopo aver riempito alcuni bicchierini, taglia in spicchi alcuni frutti di lime, e li spolvera di sale. Infine addenta lo spicchio salato e risparmiandone la buccia, a bocca piena, ingolla il tequila, d’un fiato. Io, di mio, avevo già assaggiato il liquore e mi sembrava abbastanza forte, ma non oso contraddirlo. Ripeto l’intera operazione, da buon scolaretto che vuole la lode dal suo maestro. Strappo la polpa dell’agrume salato e la faccio seguire dal bicchierino di tequila, che in bocca cambia radicalmente sapore. Il mio palato assiste a una reazione chimica misteriosa, mi sento come una ampolla di un alchimista che mescola gli ingredienti alla ricerca di una pozione magica. Al terzo tequila Jorge mi rammenta le ragioni del mio viaggio. Lascio dispiaciuto Jesus per inerpicarmi verso la cima della Piràmide del Sol. E finalmente in cima, mentre attendo che il battito del cuore rallenti dopo la fatica della salita, sotto un sole caldo e asciutto, una brezza lieve che raffresca le membra, lì, mentre osservo la valle come sul precipizio di un burrone, nella mia perfetta solitudine, mi rendo conto di essere davvero felice.
Nei giorni a seguire girerò spesso da solo la città, e spesso incontrerò persone che portano con sé una storia, un mondo da raccontare: come Rafael, artigiano dell’argento, che sotto i miei occhi ha inciso il volto di un guerriero atzeco con una precisione degna dei monili che ho ammirato al meraviglioso museo Antropologico, come la piccola india che mi ha venduto i due ponchos che ho acquistato per le mie bambine in uno degli infiniti mercati abusivi della città, come Clara della Libreria Morgana, che vende solo libri in italiano (che cosa curiosa ritrovarsi dall’altra parte dell’oceano), come Leonardo, che nel parco di Chapultepec – enorme e bellissimo – mi ha raccontato del suo amore per l’Italia, cercando però poi di vendermi un trattamento per lucidare le scarpe (e inutile è stato mostrargli le scarpe da ginnastica ai piedi. “Possibile che un uomo non abbia delle scarpe di cuoio a casa?” sembrava pensare…). Ho girato per le 11 linee metropolitane (“non prendere la metro!”), mangiando quello che capitava (“non entrare in locali sconosciuti”) e soprattutto ho camminato continuamente, per chilometri e chilometri – San Angel, Coyacàn, Tacubaya, Polanco – come un folle, quasi cercassi di misurarla tutta, conscio che era come cercare di contenere in un bicchiere l’oceano. Ci vorrebbe un’intera esistenza per raccontarla tutta questa città. Ché ovunque fossi c’erano persone, facce, corpi, vita che brulicava. Ovunque fossi ciò che vedevo, ciò che non vedo più da anni in Italia, era il popolo. Da noi, ormai, c’è solo “la gente”, qui, il popolo gremisce ancora le piazze, riempie i parchi, scambia, lavora, corre, sosta, ride, canta, soffre; si distende nelle strade della città, se ne impossessa, la ammanta come fosse un unico drappo multicolore cucito con pazienza dalle sapienti mani artigiane delle donne di questo paese. Questo penso mentre sotto di me scorre la città che si perde a vista d’occhio. Ho visto il popolo, penso, mentre l’aereo mi riporta verso casa. Anche se mi sembra, con una punta di tristezza, che in realtà la stia lasciando, casa mia.

[pubblicato sul n. 2, febbraio 2012, della rivista on line Pretesti, che trovate qui. Le insulse fotografie sono del sottoscritto.]

Quel che penso di Groupon

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Visto che negli ultimi tempi sembra che tutti i miei amici comprino buoni Groupon o li usino per la loro attività, segnalo un ottimo articolo di Gianluca Diegoli:

In pratica, Groupon sfrutta l’enorme inefficienza che esiste nel mercato da entrambi i lati: sia dal lato dell’aggregazione della domanda in modo più etico per l’esercente e interessante per l’utente, sia (ora soprattutto) dal lato della presenza digitale degli esercenti. Groupon non è scienza missilistica, come si dice, ha fatto solo quello che serviva: portare sul marketing digitale quelli che non riescono ad andarci da soli, e a caro prezzo.

In 10 punti, quel che penso di Groupon (e del ristorante intelligente)

Alle otto e trentacinque circa

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Da giovedì primo marzo l’associazione culturale Ufficio Soggetti Smarriti inaugura la rassegna teatrale Alle otto e trentacinque circa. I quattro spettacoli si terranno al Teatro Comunale di Mesagne (BR). Per leggere il programma ingrandisci l’immagine.

Tour del commiato

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di Valerio Cuccaroni

In occasione dell’uscita del numero monografico intitolato VIXI e dedicato al tema della Morte, la rivista Argo (ed. Nie Wiem/Cattedrale, con il Patrocinio dell’Università di Bologna – FLF), in collaborazione con Uaar, intende promuovere la conoscenza delle Sale del Commiato per i funerali laici.

Il papa e la storia italiana

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di Elio Rindone

Chi detiene il potere ha la possibilità di riscrivere la storia secondo i propri interessi, e a tal fine non è necessario mentire: basta evidenziare una parte della verità e nascondere accuratamente l’altra. Potrebbe sembrare questa la via scelta da Benedetto XVI nel Messaggio indirizzato il 17 marzo 2011 al Presidente Napolitano in occasione del 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia: ben pochi studiosi, infatti, si riconoscerebbero nella ricostruzione della storia italiana operata dal pontefice.


Persefone (poesie inedite 2010-2012)

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di Federico Italiano

PULENDO LE SARDINE CON MATHILDA

Le avevamo adagiate
nell’acqua della tazza

per farle scongelare, per scioglierle
dalla gelata corazza

della loro ultima acrobazia acquatica.
Scivola sulle vertebre

il pollice, spalando
con l’unghia le interiora.

Love Out

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di Pierfrancesco Pacoda

C’è una doppia, possibile interpretazione del titolo della raccolta che Mauro Baldrati ha curato per Transeuropa, Love out. Potrebbe essere, la frase, un riferimento alla ‘banalità’ del bene, alla sua assordante normalità, quasi che potessimo ragionare di sentimenti adattando a essi la forza ‘fredda’ delle emoticons. Potrebbe però essere, Love out, un invito a fare outing, a rompere l’isolamento della passione, a riappropriarsi, togliendone il predominio alle boutique del centro, della sconcertante carica in movimento del cuore.
Mi viene in mente, leggendo i bei racconti che sfilano nelle pagine eleganti di Love Out il più retorico e sofisticato ‘esercizio di stile’ che la cultura pop ha espresso sull’amore negli ultimi decenni, la canzone dei Frankie Goes to Hollywood, The Power of Love, una struggente ballata dai toni epici talmente incisiva ed evocativa da mettere insieme l’amore di Betlemme, quello sacro, e quello ‘maledetto’ dei bassifondi così amati dalla gay oriented band della new wave inglese.
Così fa Baldrati nelle pagine di Love Out, mette insieme racconti e poesie, rime e storie perché
scalfito dall’idea che lo slogan (come proprio la ‘popular music’ ci ha insegnato) passa indenne attraverso i tempi instabili che viviamo e ci racconta molto di più di un corposo saggio di filosofia.
Soprattutto, ci racconta chi siamo quando viviamo. E quando amiamo. Proponendoci un bel catalogo di ambientazioni che noi lettori possiamo, nella grande diversità delle nostre esperienze, trovare utili per ricostruire la nostra personale trama amorosa.
Voglio dire che Love Out è utile. Aiuta. Risponde a una funzione didattica della letteratura. Troveremo sicuramente la pagina (o la rima) che sembra scritta su misura per noi. Come se l’autore sapesse perfettamente chi siamo. E ha scritto il suo racconto osservandoci, analizzandoci, per offrirci tante possibili soluzioni ai nostri dilemmi amorosi. Che è un po’ la funzione che avevano i fotoromanzi. O le più riuscite canzoni pop. Le ballate come The Power fo Love. Il Potere dell’Amore.
Difficile (e forse nemmeno giusto) raccontare in poco spazio tutti i temi affrontati dal gruppo variegato e nobile di scrittori e poeti che Mauro Baldrati, uomo che ama le trame nervose ai confini della fiction di crime stories, quelle che incredibilmente quando tutto sembra perduto indicano invece una via d’uscita, ha messo insieme e ha diretto.
Hanno risposto all’appello celebrità come Tiziano Scarpa, Raul Montanari, Alan Altieri, Gianluca Morozzi e giovani promesse che, stimolate dal fascino ammaliatore di un argomento così terribilmente ‘fuori moda’, hanno giocato le loro carte più ambiziose, consapevoli di essere ai confini di quel baratro chiamato luogo comune. E, ognuno con il proprio fluire linguistico, ha riportato l’amore a casa.
Perché, come dice Nanni Moretti, ‘Le parole sono importanti’, ed è di questo che deve parlare la letteratura oggi, di un senso che va esaltato e divulgato, di una semplicità gioiosa, che è propria di una parola come ‘amore’. Una parola che ripetuta all’infinito, descritta e resa protagonista della vita, come fanno gli autori di Love Out, impareremo a pronunciare, dopo aver letto questo libro, con frequenza maggiore di quanto facevamo prima.
Il merito è di tutti quelli che hanno accettato di essere parte di Love Out (molto efficace la copertina con il cuore in rilievo) anche un po’ del curatore al quale gli ‘happy end’ piacciono molto.
I fondi ricavati dalla vendita di questo libro vengono devoluti all’Associazione Volontaria di Assistenza Socio-Sanitaria e per i Diritti di Cittadini Stranieri, Rom e Sinti.

Informazione e censura sul web cinese

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Internet in Cina è una grande forza di cambiamento dell’intera società fin dalla sua nascita nel 1994. Nonostante sia nota all’estero soprattutto per la censura operata dallo stato (il Great Firewall of China), la rete cinese rispecchia la frammentazione e la ricchezza della società cinese e non è interpretabile fruttuosamente con categorie rigide come democrazia/dittatura o libertà/oppressione.

China Files, agenzia italiana operante da anni in Cina, ha raccolto e tradotto le voci di intellettuali, scrittori, artirsi e semplici cittadini blogger su grandi e piccoli temi sociali, politici e culturali cinesi.

L’analisi del web è il capitolo di inquadramento del web cinese, dove viene descritta la strategia tecnologica e sociale della censura e come l’attivismo online sia non solo nato e cresciuto potentemente, ma addirittura incoraggiato in alcune circostanze. Dalle campagne anticorruzione alla selezione oculata dell’informazione, si delinea una situazione informativa estremamente sofisticata, vivace e partecipata.

Le voci del web traduce direttamente numerosi brani di alcuni dei blogger più rappresentativi dell’attivismo cinese e cerca di inquadrare le spinte di rinnovamento sociale all’interno del più ampio movimento internazionale di rivolta nel 2011.

Identità e conflitti affronta infine il tema centrale di cosa costituisca l’identità cinese, negli aspetti nazionali e culturali (essere cinese è qualcosa di definibile?), etnici (Han e minoranze nazionali, tibetani in primis) e sessuali (sessualità, genere e orientamento in una società con forti tensioni demografiche).

Una lettura veloce, stimolante e ricca di riferimenti e collegamenti in rete.Il sito degli autori è continuamente aggiornato e traduce regolarmente le voci di artisti, intellettuali e scrittori cinesi.

www.china-files.com

carattericinesi.china-files.com/

La danza del drago digitale. Informazione e censura: voci del web cinese
China Files, 2011 quintadicopertina – Fabrizio Venerandi Editore
28.208 parole,  183.842 battute
ISBN: 9788896922545 Collana Ping The World
ebook con licenza CC BY-NC-SA 3.0
http://www.pingtheworld.it/?page_id=192

Acquistabile su Quintadicopertina o scaricabile direttamente qui su Nazione Indiana in formato epub. Se dopo averlo letto vi è piaciuto, sostenete il progetto Ping The World ed acquistate l’intera collana di ebook a soli 10 euro.

 

pop muzik (everybody talk about) #14

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plyPhon / Autechre. 2008

i vecchi invisibili

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[Oggi sono venti anni dalla morte di Valentino Bompiani (Ascoli Piceno, 27 settembre 1898 – Milano, 23 febbraio 1992), editore, drammaturgo e scrittore italiano che nel 1929 ha fondato la casa editrice che porta il suo nome. Le righe che seguono sono state pubblicate sul quotidiano La stampa il 5 Marzo 1982]

di Valentino Bompiani

Oh, se tu sapessi, se tu sapessi, la terra eccessiva- mente vecchia e cosí giovane,
il gusto amaro e dolce, il gusto delizioso che ha la vita cosí breve dell’uomo.

A. Gide, I nutrimenti terrestri

Passati gli ottant’anni, ti dicono: “Come li porti bene, sembri un giovanotto”. Parole dolci per chi le dice ma a chi le ascolta aprono la voragine del tempo in cui si affonda come nelle sabbie mobili. La vecchiaia avanza al buio col passo felpato dei sintomi, squadre di guastatori addestrati che aprono l’inattesa, inaccettabile e crescente somiglianza con gli estranei. Su una fitta ai reni o per l’udito ridotto, anche il nemico diventa parente. Lo spazio e le cose si riducono: la vecchiaia è zingaresca, vive di elemosine.

carta st[r]ampa[la]ta n.46

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di Fabrizio Tonello

Carissimi amici italiani, vi mando il più affettuoso saluto dalla Nuova Caledonia, dove sto sorseggiando un long drink al latte di cocco mentre aspetto di tuffarmi tra i coralli e i pesci tropicali. Mi dispiace che voi siate bloccati sotto la neve in compagnia di Alemanno: io ho appena concluso un accordo miliardario con FaceGooglAmazon per un nuovo software e penso di starmene qui per qualche annetto. L’idea del mio rivoluzionario software, Plural, è venuta leggendo “Nòva”, il supplemento tecnologie del “Sole 24 Ore” del 5 febbraio, tutto dedicato al ruolo che avrà la Rete nel rivoluzionare l’insegnamento. Basta con le aule! Abbasso le spiegazioni! Stop ai metodi autoritari e cattedratici!  D’ora in poi, La didattica va a lezione di tablet  (p. 51). L’articolo spiegava che all’università di Padova hanno creato Wecampus, “uno spazio dove sono gli allievi delle università a segnalare i documenti che trovano interessanti e possono aggiungere commenti”.

Il libro dei sussurri

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di Gianni Biondillo

Varujan Vosganian, Il libro dei sussurri, Keller editore, 470 pagine, traduzione di Anita Natascia Bernacchia

Impresa titanica quella di Varujan Vosganian: raccontare la diaspora armena – dopo i genocidi ottomani – vista da una piccola città della Romania, Focşani. Storia che noi, colpevolmente, non conosciamo affatto e che eppure si intreccia a doppio filo con quella del Novecento europeo.

La peculiarità dell’opera di Vosganian sta nell’aver deciso di non ci restituirci il racconto di quegli avvenimenti attraverso una cronologia: non fa Storia, ma narrazione. Non racconta per grandi eventi, ma per piccoli episodi, per storie minime e allo stesso tempo straordinarie. I protagonisti de Il libro dei sussurri sono contadini, artigiani, soldati, patrioti, sacerdoti, vecchi, bambini. Non ostante sia profondamente autobiografico, non è la voce della memoria infantile di Varujan a parlare in questo libro. È la memoria dell’intero popolo di rifugiati che parla attraverso di lui. Varujan è l’aedo, il cantore di questa resistenza alle avversità della Storia politica europea che ha frantumato e disperso un popolo senza riuscire in ogni caso ad estirpargli l’identità.

Il popolo della diaspora – errante come quello ebraico – sussurra per evitare la repressione del regime di Ceauşescu. Sussurra per non perdere le tradizioni, per tenerle salde. Sussurra per riuscire a parlare liberamente, quando si nasconde nelle cripte dei cimiteri, sognando una nuova fuga. Tutti questi sussurri, sono storie di uomini e di donne, racconti di sofferenze, gioie, nascite, morti. Tutti questi sussurri sono la memoria orale di un’umanità dolente e vitale, sono una voce sola, potente, restituita a noi da uno scrittore straordinario.

Il libro dei sussurri è un’epopea scritta con una lingua densa, intensa, nobile, pervasa di un realismo magico che me la fa affiancare ad altre, alte, esperienze narrative internazionali. Le storie di migliaia di vivi e di morti risuonano nelle pagine di questo libro unico, che non ho vergogna di dire sia, per me, uno dei grandi romanzi della letteratura europea contemporanea.

[pubblicato su Cooperazione, n.51 del 19 dicembre 2011]

Matrimonio greco

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I miei amici, Lakis e Doris, Lakis Proguidis è il direttore dell’Atelier du Roman, una delle più belle riviste letterarie europee, mi hanno scritto la seguente mail: Chers amis, à notre humble avis, la vérité concernant la situation en Grèce, ce qui se passe là, est dans cet appel de Mikis Théodorakis et pas dans la presse officielle. Amicales salutations. Lakis+Doris Io sposo la loro causa, così. effeffe

Un appello di Mikis Théodorakis (traduzione dal francese di Francesco Forlani)
Un complotto internazionale è in corso e mira a portare a termine la distruzione del mio paese. Gli assalitori hanno incominciato nel 1975 con, come bersaglio, la cultura greca moderna, poi hanno perseguito la decomposizione della storia recente e della nostra identità nazionale e oggi tentano di sterminarci fisicamente con la disoccupazione, la fame e la miseria.

Crescita del mercato ebook italiano 2012

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il mercato sta (più o meno) quadruplicando, e Kindle si sta avvicinando al 50% del mercato totale. Detto in altre parole ancora: quello che l’anno scorso (ebook a.K.) era 100 diventa 200, a cui si aggiungono altri 200 rappresentati da Kindle, sicché il mercato totale che l’anno scorso (a.K.) era 100 quest’anno (d.K.) è 400.

Antonio Tombolini sul suo blog: Gli ebook in Italia avanti-Kindle e dopo-Kindle

Cioé da 500.000 ebook venduti nel 2011 a 2.000.000 nel 2012, basandosi sui dati in proiezione della sua piattaforma di distribuzione, Stealth. E’ l’effetto dell’arrivo di Amazon Kindle.

Ma io, veramente, dov’ero, dove mi trovavo? / Sono semplicissimo a segnalarmi

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di Daniele Poletti

L’ultimo numero (7) della rivista indipendente di arti e letteratura dia•foria è dedicato al poeta torinese Augusto Blotto.

Su Milan Kundera

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di Massimo Rizzante

Qualche tempo fa una studentessa mi pose qualche domanda su Milan Kundera. Pubblico le mie risposte e allo stesso tempo colgo l’occasione per onorare la memoria di due grandi amici e compatrioti di Kundera, Josef Škvorecký (1924-2012) e Květoslav Chvatík (1930-2012), entrambi scomparsi nel mese di gennaio.

Non fate come me

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di Enrico Donaggio

Incrocio sotto casa corpi e volti appena scorti di là dal mare, al telegiornale. Pugni al cielo, sventagliate di mitra, grida di vittoria o paura tra bandiere che bruciano e piedi in fuga. Sono proprio loro: giacche di pelle come guappi anni Sessanta, tute da ginnastica degne di arresti domiciliari, qualcosa di sgualcito per sempre nel viso e nelle mani. Parlano e fumano attorno a un carrello della spesa zeppo di volantini pubblicitari, gli stessi che maledicono ogni giorno la buca delle lettere.

Kobiety Rubensa ― Le donne di Rubens «il Seicento non ha nulla per chi è piatto»

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di Wisława Szymborska

(non resisto al fascino, pieno e debordante, pur in traduzione, di questa poesia della poetessa polacca di recente scomparsa, e ve la offro insieme con qualche immagine, molto in tema. Qui, per chi può fruirne, il testo originale a.s.)

Ercolesse, fauna femminile,
nude come il fragore di botti.
Fanno il nido in letti calpestati,
nel sonno la bocca si apre al chicchirichì.
Le pupille rovesciate all’indietro
Penetrano dentro le ghiandole da cui i lieviti stillano nel sangue.

Un pallido inverno, omaggio a Wallace

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L’Archivio DFW Italia, lancia l’iniziativa ‘Pale Winter’: lettura collettiva de “Il Re Pallido” di David Foster Wallace.

Il 21 Febbrario del 1962 nasceva lo scrittore americano David Foster Wallace e in occasione del suo 50simo compleanno un gruppo di affezionati lettori darà il via ad una lettura ragionata del suo romanzo postumo, “Il Re Pallido”, pubblicato lo scorso anno, tradotto in Italia dalla casa editrice Einaudi.

La lettura comincerà a partire da oggi, 21 febbraio, e dal 3 Marzo, ogni sabato, per 12 settimane, ognuno dei partecipanti pubblichera’ un intervento sul sito dell’Archivio DFW Italia. Naturalmente commenti e interventi saranno aperti a tutti i lettori italiani di Wallace che sono invitati ad unirsi all’iniziativa: una pagina Facebook e un Google Group verranno aperti per l’occasione, dando altre possibilità di interagire a chiunque lo volesse.

GLI HIPSTER E LA MORTE

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di Giacomo Bottà

No ai cappellani militari

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di Cipax, Cdb San Paolo Pax Christi

Nel momento in cui l’Italia attraversa un’aspra crisi economica e sociale e chiama tutti a fare sacrifici e a rinunciare a diritti pur legittimamente acquisiti anche la Chiesa cattolica romana deve fare la sua parte.
Riteniamo perciò doveroso che le autorità cattoliche dimostrino la disponibilità a ridiscutere alcuni dei privilegi ottenuti con il nuovo Concordato, stipulato il 18 febbraio 1984, e con successivi accordi economici e normativi direttamente o indirettamente derivanti da quel patto. Sarebbe infatti scandaloso se la gerarchia cattolica non rinunciasse ora ai privilegi concordatari, così come auspicava il Concilio Vaticano II.