di Francesca Matteoni
Una volta un vecchio della mia città mi disse che ero aria infiammabile, tanto più pericolosa perché volatile e incostante – non si poteva distinguere il nucleo da cui si sarebbe originato l’incendio e poi l’esplosione. Me lo disse con una sorta di rancore, ed ero molto giovane, ma non ho mai dimenticato le parole, il loro scandirsi vagamente profetico nella mia mente. Questo fuoco corrosivo e letale è sempre apparso, proiettato alle spalle degli uomini che chiamavo amore, che pure lo sapevo venivano a rapinarmi della mia solitudine, quello stato invincibile in cui non avevo paura ed ero sfrontata e inafferrabile, proprio ciò che loro volevano, sbriciolandolo come un volto di creta. Non ho mai redento nessuno, pur pensando di poterlo fare, di poter essere attraversata come si fa con foreste primordiali che conducono alla salvezza e non capivo di essere io ad attraversare, mentre le lingue bruciavano pezzi di me e mi rialzavo di cenere, compattata sul terreno morto, ma non sono che i morti, infine, a suggerire le storie.















