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I cento padroni di Palermo

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[Da un’idea di Gianluca Cataldo, uno scritto di Pippo Fava e la sua ultima intervista, rilasciata a Enzo Biagi, nell’anniversario del suo omicidio. a. r.]

Pippo Fava, nato 15 settembre 1925, ucciso il 5 gennaio 1984. Scrittore, saggista, drammaturgo, sceneggiatore, giornalista.

I cento padroni di Palermo
da I Siciliani, giugno 1983

Camminare a Palermo. Il viale bianco di sole. Le grandi nuvole che arrivano da Punta Raisi, la loro ombra corre sul viale più veloce delle auto. Il cielo sul mare è abbagliante, il cielo sulle montagne a sud, è nero di tempesta. Il gelato da Roney. Tre signore di mezza età stanno sulle poltroncine verdi, con le sopracciglia alte e le boccucce delle signore di Tolouse Lautrec, sedute al divano rosso. Fumano con boccate avide, l’una racconta e continuamente ride, scuote la cenere in aria, l’altra sorride melliflua, la terza annuisce. Sorbiscono granita di mandorla. Tre boccucce eguali come fossero state dipinte dalla stessa mano.  Camminare a Palermo. Il cuore del vecchio mercato a mezzogiorno. Almeno cinquemila persone in un groviglio di vicoli che affondano tutti verso la piazzetta. Cento bancarelle sormontate dai giganteschi ombrelloni rossi, pesce, verdura, carne, mele, noci, aragoste, i quarti insanguinati di vitello, i capretti sventrati che pendono dagli uncini, i banditori urlano tutti insieme, lottano così l’uno contro l’altro, in mezzo alla folla.
Camminare a Palermo. Il circolo della stampa, con i soffitti bassi, il sentore e l’odore della catacomba, il buio, la luce verde del biliardo senza giocatori, tre bizzarri individui che ti vengono incontro da tre direzioni diverse, si rassomigliano incredibilmente tutti e tre, saluti gentilmente e nello stesso momento tutti e tre ti salutano con l’identico sorriso, sono gli specchi che dagli angoli bui riflettono la tua immagine. Silenzio. Un aroma di caffè, un cameriere vecchissimo, allampanato che appare vacillando, da un angolo d’ombra all’altro, e scompare. Su un divano tre vecchi signori impassibili dinnanzi a un televisore in bianconero che pispiglia qualcosa. Uno dei signori ha il bastone col manico d’argento, le ghette, il panama bianco. Si alza levando dolcemente il bastone a mo’ di saluto: “Ho fatto tardi!”. Se ne va adagio, si volge solo un attimo con un mormorio. Non si capisce se abbia detto: “Debbo morire!”.

Highway (Caserta Nord) Revisited

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Felicità. Tra venti metri ha inizio.

di

Giovanni di Benedetto

« Ecco il Vesuvio, poc’anzi verdeggiante di vigneti ombrosi, qui un’uva pregiata faceva traboccare le tinozze; Bacco amò questi balzi più dei colli di Nisa, su questo monte i Satiri in passato sciolsero le lor danze; questa, di Sparta più gradita, era di Venere la sede, questo era il luogo rinomato per il nome di Ercole. Or tutto giace sommerso in fiamme ed in tristo lapillo: ora non vorrebbero gli dèi che fosse stato loro consentito d’esercitare qui tanto potere.»

(Marziale Lib. IV. Ep. 44)

Uscita. Uscita secondaria. Secondaria nel senso che c’è n’è una che la precede. Oppure. Meglio non prenderla. Vincere. Bisogna vincere. Dov’è il traguardo? No meglio non prenderla. Essere i primi. Dietro di me, please. Composti e ordinati. Le vedi le macchine? Come fossero vomitate. Immagina:  c’è una strada, sei in una macchina e la macchina è sulla strada. Ma è ferma immobile come una macchina. Respira? Defibrillatore, presto! Uno, due, tre, zzzzz. Così: fissi lo sguardo fuori dal finestrino: verdi colline d’Africa, profumo di ginestra riscaldata, mamma-guarda-ci-sono-le-mucche!, sterco n°5 eau de parfum. E invece no. Un lungo ampio denso conato di lamiera utilitaria. L’utilitaria è un particolare tipo di autovettura caratterizzata da dimensioni e dotazioni essenziali, progettato per assolvere le più correnti funzioni pratiche del trasporto promiscuo o alternato di persone e cose, a fronte di un prezzo di acquisto e di costi di gestione particolarmente contenuti (cit.). Cattiva digestione del cenone di capodanno. Ci sono

IL BARISTA DI MALAGROTTA

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di Yari Selvetella

Malagrotta regno animale, Malagrotta regno di zanzare, di topi e di gabbiani, di esseri umani. Malagrotta Via degli oleodotti e Via degli idrocarburi, Malagrotta Bosco di Massimina, Malagrotta Testa di Cane, Malagrotta gassificatore, Malagrotta pecore e vacche, Malagrotta raffineria, Malagrotta Ponte Galeria, Boccea. Malagrotta 1 e Malagrotta 2, Malagrotta lavoro, malattia. Malagrotta gola, sapore, odore, un uomo che guida e intanto si distrae, osserva chilometri di recinti, le palme appena piantate sulle colline, un pastore slavo ai piedi di un noce, una prostituta con minigonna di lamé, le cosce nude e tozze, le scarpe di vernice che toccano l’asfalto e fanno un ritmo quando il traffico è fermo per il semaforo provvisorio dei lavori in corso.
Poi scatta il verde e i rumori sono altri, più solidi scarti di ridotte dei camion all’ingresso della discarica di Roma e macchine cavacantiere inerpicate sui tornanti.

NON RICONCILIATI OVVERO LE VITE IM-POSSIBILI DEL CINEMA ITALIANO

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È disponibile, con un rocambolesco doppio omaggio a Straub-Huillet e a Corso Salani, l’ultimo numero di “Filmcritica“, fascicolo monografico sulla dislocazione del cosiddetto cinema italiano. La presente uscita – che contiene conversazioni con Mario Martone, Franco Maresco, Giuseppe Gaudino, Isabella Sandri e Dario Argento – si apre con questa sorta di mappa, o meglio geografia impazzita, curata da Lorenzo Esposito e Bruno Roberti e scritta insieme agli autori che lavorano, per scelta e per istinto, a tracciarne o a celarne le coordinate – e i cui interventi contrappuntano in corsivo il testo centrale (scarica mappa). Il tema è chiaramente quello dell’identità: antropologica e politica – tanto più se invece è tante identità, come in fondo è sempre l’immagine. Da un lato dunque un discorso fatto di torsioni che si arrischiano a segnalare una nuova generazione di registi che hanno meno visibilità, dall’altro un discorso sulla lingua (poetica cinematografica antropologica politica italiana): à rebours.

ἐκϕράζω e Michel Houellebecq

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di
Francesco Forlani

« What leaf-fringed legend haunts about thy shape
Of deities or mortals, or of both,
In Tempe or the dales of Arcady?
What men or gods are these? What maidens loth?
What mad pursuit? What struggle to escape?
What pipes and timbrels? What wild ecstasy? »
(John Keats, Ode on a Grecian Urn, vv.5-10)

Ed è in quell’istante, dispiegando la cartina, a un passo dai tramezzini incellofanati, che venne a conoscenza della seconda grande rivelazione estetica. Quella cartina era sublime (…)

Jed, il protagonista di La carte et le territoire di Michel Houellebecq, quasi colto da una sindrome di Stendhal tutta contemporanea, fino ad allora come incatenato al principio di realtà, delle realtà prime del suo tempo e di quelle seconde dei media del suo tempo, vede aprirsi un interstizio nel muro che lo circonda. La rappresentazione di una realtà così complessa, bio-politica come una regione della Francia Profonda, gli rivela la dimensione unica e singolare delle vite che quella cartina evoca. In altri termini, come scriverà poco oltre, rivelandoci il titolo della mostra che lo consacrerà Artista Contemporaneo, “ La carta è più interessante del territorio”.

chapbooks! chapbooks!

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Dopo quasi due anni dall’ultima uscita, sono arrivati alla stampa altri quattro titoli della piccola collana Chapbook, che curo insieme a Michele Zaffarano. Con l’anno nuovo sono disponibili:

  • Il canto secolare per un nomarca di Emmanuel Hocquard
  • Plasma di Barrett Watten
  • I cani dello Chott el-Jerid di Andrea Raos
  • Voci di seconda fase di Giulio Marzaioli

Sono felice di segnalare la cosa su Nazione Indiana, perché considero i Chapbook un’iniziativa molto vicina, per spirito di servizio e gratuita follia, alle Murene, la collana al 100% indiana alla quale invito tutti ad abbonarsi.

Con l’anno nuovo, quindi, non fate i taccagni e sganciate la lira sia per le Murene che per i Chapbook.

PS: chi vuole vedere un prospetto riassuntivo dei titoli pubblicati ad oggi, e avere indicazioni sulle modalità di acquisto, può cliccare qui.

CREDENZE E AGGRESSIONI

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di Franco Buffoni

Una grande città europea: uno studente ventiduenne molto carino e piuttosto effeminato conversa al tavolo di un bar con due ragazze. Il gruppetto non si avvede di essere diventato oggetto di attenzione da parte di tre coetanei “machi”. Cominciano a piovere insulti omofobi pesantissimi. Non reagiscono. I veri maschi si avvicinano facendosi più minacciosi. Il ragazzo si alza, seguito dalle amiche, e tenta di allontanarsi. Viene inseguito e di nuovo insultato. Si ferma, coraggiosamente cerca di reagire, e qui i veri maschi lo aggrediscono fisicamente, ferendolo al padiglione auricolare sinistro con un frammento di vetro. Se il taglio fosse stato inferto pochi centimetri più in basso, all’arteria, avrebbe rischiato la vita.
La città: Roma; il quartiere: Trastevere. La sera: il 28 dicembre scorso.
La stessa aggressione a Barcellona, Berlino o Parigi comporterebbe l’aggravante della motivazione omofoba. In Italia no. Perché il Parlamento italiano – sobillato da coloro che credono, o fingono di credere, nell’ordine del creato – nel 2009 ha bocciato la proposta di legge Concia.

BUON immagin ANNO

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di Antonio Sparzani

Imagine there’s no Heaven
It’s easy if you try
No hell below us
Above us only sky
Imagine all the people
Living for today

Imagine there’s no countries
It isn’t hard to do
Nothing to kill or die for
And no religion too
Imagine all the people
Living life in peace

You may say that I’m a dreamer
But I’m not the only one
I hope someday you’ll join us
And the world will be as one

Imagine no possessions
I wonder if you can
No need for greed or hunger
A brotherhood of man
Imagine all the people
Sharing all the world

You may say that I’m a dreamer
But I’m not the only one
I hope someday you’ll join us
And the world will live as one

pop muzik (everybody talk about) #6

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Fuck Me, Ray Bradbury / Rachel Bloom. 2010

Bancomat, via del Corso

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di Helena Janeczek

Due giorni dopo la manifestazione del 14 dicembre sono su via del Corso, poco oltre piazza del Popolo, e devo fare un bancomat. Il primo è bruciato. Le mani nelle tasche del cappotto, il berretto calato sulle orecchie per ripararle dalla neve annunciata, arrivo davanti a un vano con tre o quattro macchine, protetto da una porta vetro blindata che si apre inserendovi la tessera. Appartiene a una banca francese, cosa che mi fa pensare a Jerome Kerviel, il trader trentenne condannato a cinque anni di prigione e un risarcimento di 5 miliardi di euro a Societé Générale, corrispondente al buco nel bilancio di cui lui solo è stato ritenuto responsabile. “L’uomo più povero d’Europa”, qualcuno lo ha chiamato.

Al rovescio del sole

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di Mariasole Ariot

Ci sono
perchè tu non ci sia più.
Per respirare
i termini confusi
del tuo frastuono.

Quando le donne
versavano il latte dalle grondaie,
il mio seno era riverso.
E gelavo
a gambe serrate,
la finta di un suono più alto.

Ma ora il mio rumore
è un ago estratto e rovesciato,
il dolore convesso
di ciò che emerge
e ha finito di entrare.

Su Sangue di cane (ancora)

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di Marco Rovelli
Quando si assiste all’esordio di una casa editrice come Laurana, non si può che essere felici. Laurana infatti ha pubblicato un libro che è senza dubbio tra i più belli usciti di recente, un libro che il “consigliere” Giulio Mozzi aveva prima proposto a diverse grandi e medie casa editrici, ricevendo in cambio solo rifiuti. Poi è arrivato a Gabriele Dadati, che l’ha pubblicato. Si tratta di “Sangue di cane”, di Veronica Tomassini.
Una storia la cui verità, e il suo valore di verità, si sentono e si toccano di continuo, grazie a una lingua potente. Una lunga lettera d’amore, che racconta – labirinticamente così come labirintica fu la storia – un amore tra la “scrivente” e un polacco conosciuto a un semaforo, “visto e preso”, fatalmente. Un polacco bellissimo, alcolizzato, violento, “impossibile”. Ed è questa impossibilità – un’attrazione letale e pure girardianamente mimetica – che conduce la scrivente nel sottomondo di Siracusa, in quella Siracusa che era “cimitero di polacchi”.

Due anni con un ebook reader

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[Fabrizio ha pubblicato un bilancio della sua esperienza di lettore di ebook, sul suo blog e sul forum di Simplicissimus: lo riporto qui per i lettori che si chiedono se dotarsi di un ereader. Jan]

di Fabrizio Venerandi

Nel dicembre 2008 ho preso il mio primo ebook reader, che è poi quello che utilizzo quotidianamente. Nel frattempo sono cambiate tante cose, e avere un eReader ha cambiato anche il mio approccio alla lettura e all’informazione. Alcune note sparse di cosa significa usare oggi un eReader.

1) Leggo di più
La prima cosa è che leggo di più. Ma non ebook, leggo di più in generale. L’avere un device nato per leggere off-line, non solo mi ha permesso di infilarci dentro tutta una serie di non-libri presi da internet (documentazioni tecniche, sorgenti in latino, saggistica letteraria fuori catalogo) e di diventare un regolare lettore di quotidiani e periodici in formato ebook; ma anche di ravvivare la mia lettura tradizionale. Un device che nasce per farti leggere tiene vivo il tuo amore e la tua passione per ogni tipo di lettura, che sia un ebook o un testo settecentesco preso ad un mercatino dell’usato.

2) Uso meno il computer (per leggere e scrivere)

Libri ad alta voce: Toni Servillo legge Paolo Sorrentino

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Stamattina ho ricevuto una mail di Cristiana, del narratore audiolibri che annunciava l’uscita dell’audio libro, acquistable sul suo sito, Hanno tutti ragione,(Ed.Feltrinelli) romanzo di Paolo Sorrentino letto da Toni Servillo. Così le ho scritto a mia volta per avere una traccia audio da proporre su Nazione Indiana. Mi ha consigliato allora di entrare in contatto con Silvia della emonsaudiolibri ( l’audiolibro è pubblicato da loro) che mi ha gentilmente inviato la “pillola”. Su youtube è possibile, tra l’altro, vedere (et bien sûr ascoltare) alcuni passaggi della registrazione in un bel videoclip a cura di Joyce Hueting. Io ho pensato di “supportare” l’estratto con alcune video tracce filmate qualche anno fa alla stazione di Milano. Mi piaceva l’immagine riflessa, la lamiera che faceva da barriera e allo stesso tempo accoglieva il passante, quasi come un confessionale. Così inconfessabili erano i propositi del protagonista… Spero che altri oltre a me si rechino dal proprio libraio di quartiere per mettere mano, (et bien sûr l’orecchio) all’opera. effeffe

Quel che resta. Sparire in Irpinia a novembre.

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Per accedere al reportage fotografico di Riccardo Pensa sull’Irpinia, clicca sull’immagine o direttamente qui

di Riccardo Pensa

A ottobre 2010, a poco più di un mese dal trentennale del terremoto in Irpinia, credevo davvero di avere in mano gli elementi giusti per una mia inchiesta originale sull’argomento. Ero stato in Irpinia solo due volte, e per visite lampo di lavoro, durante le quali non avevo avuto il tempo sufficiente, né il modo di cogliere le suggestioni che quei luoghi potevano offrire e che pur mi interessavano. Tuttavia, con vera sorpresa, mi era parso che proprio i luoghi, con la complicità di alcune circostanze, in quella scarsità di tempo e attenzione, non avessero indugiato a sollecitarmi, per offrirmi una chiave di accesso parziale ma sicura alla loro essenza, una rivelazione tutta mia, pagata per niente cara.

Ora non dubito che tale trama si sia svolta, ma credo di riconoscere dov’è che ho sbagliato a interpretarne i segni e il tranello che celava.

Strade Bianche

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di Gianni Biondillo

Enrico Remmert, Strade Bianche, Marsilio, 2010, 221 pag.

Da qualche anno a questa parte gli scrittori italiani sono tornati “sulla strada”, abbandonando gli angusti appartamenti borghesi dove tutto quello che narravano era la loro poco interessante vita. Si sono rimessi in viaggio lungo lo stivale e ce lo vogliono raccontare, rivolgendo lo sguardo a scenari e paesaggi che sembrava non ci appartenessero più.

L’acqua non ha centro

6

di Mario De Santis

Tutto sembra calmo poi la sera,
io la conosco bene l’ora. Me ne vado
con il giorno che arriva a grattare via la luce.
Non è che sonno breve dentro vene
non c’è che questa prigionia dell’aria dentro il fumo.

C’è stato solo un attimo in cui s’era condivisa
con tutti una battaglia, il vuoto, anche le colpe
anche la vita, e mai però innocenza:
è quando le gocce sparse si annunciano tempesta.

Dopo, non c’è colpa in cui riflettere
visi tutti uguali, pasta di fumo e polvere
costretti dentro tutti i luoghi e senza alcuna prova
dell’esistenza nuda oppure della morte.
Del resto io non vorrei nemmeno la condanna
che abbiamo imposto a Dio cercandolo:
esistere per sempre, avere sempre su di noi
aperti gli occhi vigili, vedere tutto, l’ irreparabile,
il disastro che da qui arriva dentro, nel suo cielo.

(Genova, 20 luglio 2001 – Milano ottobre 2001)

***

Frase al suolo

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collage di effeffe

di
Livio Borriello

io sono un volume colmo di carne, ma un volume colmo di carne non sono io


potremmo essere meccanismi addestrati a eseguire un io

è strano: io sto fuori posto in un posto preciso


in un certo senso, dio comincia alla fine dell’orecchio

un uomo è l’oggetto a più alta densità d’ignoto

che significa sentirsi vicini all’anima di un altro?
noi siamo sempre vicini e compenetrati a ogni altra anima, quando ci baciamo o quando siamo imbarazzati dal salumiere

il corpo, fa spuma. vuoti d’aria, pneumi, bolle fra i filamenti, fra le bave sonore che protende, gonfiori, riflussi nelle posture, aloni e luminescenze delle carni che trasporta, fanno di noi corpi con un nome, un senso, un’identità. altri corpi, che vedo, ne sono irrimediabilmente privi, e perciò li amo
la letteratura è un dialogo fra cadaveri, alcuni effettivi, altri facenti funzione


nel mondo c’è un solo fiore, un solo cane, una sola camicia, un solo occhio, un solo secondo

sogno un mondo in cui buongiorno significhi veramente buongiorno, e in cui dunque sia perfettamente inutile dirlo
cavalcavia che racchiude un sole decombente – io sono stato questo, più di quanto sia stato la strada, prima e dopo

tutto aspira alla bellezza, perché solo alla bellezza è concessa l’inerzia
essere vivi è fuggire da un’inerzia all’altra, e in ciò produrre ignoto

doveva essere il 1970 circa quando ascoltai we shall dance di demis uscendo la mattina da un albergo a cefalù

la carne della nuvola: sfatta, acquea, parenchimatosa, come un midollo dello scenario

la guerra sottile

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di Antonio Sparzani

«Quis fuit, horrendos primus qui protulit enses?
Quam ferus et vere ferreus ille fuit!
»
(Albio Tibullo [I° sec. a. C.], Elegie, I, X, 1-2)

Forse lo fanno anche gli scienziati, che da nessun peccato sono, né mai furono, immuni, quello di piegare una teoria ‒ ancorché resistente alle pieghe ‒ fino a forzarla a coincidere con una realtà sperimentale ormai consolidata che non si vuol perdere e che soprattutto non si può perdere; perché madre natura non si cura delle leggi che gli uomini le affibbiano o le dicono di seguire, ella procede imperterrita per strade sue; e allora qualche volta, se si ha già lì pronta una teoria tanto bella che spiacerebbe abbandonarla, si cerca di adattarla in ogni modo e con ogni sforzo fino a farle dire esattamente quel che madre natura fa.

Persino Edgar Allan Poe, nella Lettera rubata, menziona una simile diffusa procedura, usando la metafora del letto di Procuste ‒ letteralmente «lo stiratore» ‒ colui che stira, o stiracchia, o taglia pur di adattare qualcosa a qualcos’altro.
Sì, forse l’adottano anche gli scienziati questa pratica che rientra nella grande favola tomistica della adaequatio rei et intellectus, la formula magica della verità, ma certo i politici vi sguazzano a piedi e mani unite. Sottili e non sottili. Uno straordinario esempio ci è stato offerto sul Sole24ore del 17 ottobre scorso da colui che venne spesso indicato come il dottor sottile, forse per la sottigliezza del suo profilo, o forse pensando all’etimologia di sottile, che deriva dall’arte dei tessitori, subtilis da sub-t(el)-ilis, i fili sotto la tela sono i più fini, perché è proprio una tela quella che tesse questo ex presidente del consiglio dei ministri della nostra sfortunata repubblica, voglio naturalmente dire l’onorevole professor Giuliano Amato, nomen non omen, si direbbe in questo caso. Purtroppo lo stesso discorso è stato concisamente ma chiaramente ripreso e con forza ribadito dal Capo dello Stato nel suo discorso commemorativo della vittoria nella prima guerra mondiale il 4 novembre scorso (ma per quanto ancora dovremo commemorare questa data di 92 anni fa?).

Strenne / Alessandro Broggi. 2010

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