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1872: un primo annus mirabilis

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di Antonio Sparzani

Vorrei raccontarvi la storia e soprattutto il contenuto del programma di Erlangen, che secondo me ha rappresentato una tappa fondamentale nello sviluppo della scienza di fine Ottocento, ma che al tempo stesso costituisce un grimaldello di pensiero che aiuta a capire e a mettere insieme tanti pensieri e tanti punti di vista in apparenza molto diversi e in realtà invece no. Questo cosiddetto programma è stato l’argomento centrale della prolusione accademica dell’illustre matematico Felix Klein quando, giovane ventitreenne, fu chiamato nel 1872 sulla cattedra di geometria dell’Università di Erlangen. Allora usava così: un professore veniva chiamato su una cattedra e il suo primo gesto ‒ di cortesia e di conoscenza reciproca ‒ nei confronti dell’università chiamante, era una lezione su un argomento che egli considerava particolarmente rappresentativo delle proprie ricerche e dei propri interessi.

Però per fare questo non riesco proprio a trattenermi dall’offrirvi un pur molto schematico panorama del contesto culturale dell’Europa di quegli anni, e della Germania in particolare.

VivaVoce#06: Elizabeth Bishop [ 1911 – 1979 ]

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[ lacerti dal documentario Voice&Vision: Elizabeth Bishop1999]


Elizabeth Bishop legge The Moose
Washington D. C. 1977

traduzioni di Orsola Puecher

The Moose

Dedicated to my aunt
Grace Bulmer Bowers

From narrow provinces
of fish and bread and tea,
home of the long tides
where the bay leaves the sea
twice a day and takes
the herrings long rides,

Da ristrette contee
di pesce e tè e pane,
dimora delle lunghe maree
dove la baia lascia il mare
due volte al giorno, deviando
le lunghe rotte delle aringhe,

where if the river
enters or retreats
in a wall of brown foam
depends on if it meets
the bay coming in,
the bay not at home;

dove se il fiume
si ritira o entra
in un muro di bruna bava
dipende da se incontra
la baia che monta,
la baia non a casa;

Stefano Gallerani e Franco Cordelli, un dialogo

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[Questa intervista di Stefano Gallerani a Franco Cordelli  appare in «Il Caffè Illustrato», nr. 55, agosto-settembre 2010.]

di Stefano Gallerani

La parola spetta ad un critico. Anzi, due. E se nel primo caso poco contano nomi e circostanze dell’intervento, nel secondo tanto gli uni che le altre sono di un’evidenza flagrante. Nell’ordine: «la descrizione degli oggetti non conduce a nulla, ma alla stessa conclusione conduce anche la descrizione degli ‘stati d’animo’. Che ci si rivolga all’oggetto o al soggetto, all’interiorità, che si faccia romanzo ‘nuovo’ o del romanzo tradizionale, secondo X si trova solo un’assenza»; e ancora: «prima della scrittura non esiste nulla, tutto è già ‘testo’, la stessa realtà è libresca, ‘le nostre vacanze un corpo a corpo così breve / o un cauto omaggio all’inizio di un quaderno’ (…) Che tipo di recupero del vissuto si presenta dunque in Cordelli?, ossessione – si direbbe – della memoria, prima che tutto si confonda in putrefazione, a parte il naturale fascino per la propria dissoluzione (romanzesca): impedire la morte: ma dove? e per chi? La memoria è dunque qui un curioso strumento: memorialismo certo antisentimentale e non proustiano: tutto è già trascorso ma – proprio perché di scrittura si tratta – tutto è ancora suscettibile di variazione e di manipolazione: non si tratta, cioè, di un’immodificabile colonna biografica-psicanalitica. Il testo diventa così il luogo dell’immaginario biografico».

Siti hall

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di Chiara Valerio

Senza metafisica, l’ossessione diventa stupido collezionismo, accumulazione robotizzata. L’ossessione (con la sua ansia di mito garantita dal desiderio di morte) è paradossalmente l’ultimo guizzo, l’estremo schermo prima della tautologia. Danilo Pulvirenti è un uomo senza perifrastiche emotive, è un uomo presente. Quello che vede è quello che desidera. Quello che desidera è quello che ha. Quello che ha è quello che gli viene tolto. Tutto accade nel momento stesso in cui Danilo Pulvirenti guarda. Prima né dopo. Sarà perché fa l’antiquario, sarà perché ha trasformato e trasforma le immagini di corpi maschili vivi, in fisse nature morte, sarà perché gli occhi di Danilo Pulvirenti sono l’organo con il quale conosce, gode e riproduce il mondo. Autopsia dell’ossessione (Mondadori, 2010) di Walter Siti è un romanzo potente e colto, manierista e geometrico, racconta di bellezza, di contemporaneità e di consumismo, sta acquattato nella differenza tra proprietà e possesso, è incentrato e concentrato sui corpi, anzi su un solo corpo, su un archetipo passionale, contro il quale ogni difesa è nulla. No, Angelo non è il miserabile che appare quando sta in borgata: ha la regalità androgina della grande soubretteLa negazione del reale è, per l’instaurarsi di un’ossessione, requisito necessario ma non sufficiente. Tale negazione deve accompagnarsi a un bisogno continuo di incrociare la realtà. La storia è quasi d’amore, anche se il protagonista non fa che rinnegare la parola, quasi di gelosia, anche se il protagonista non la rivolge al singolo ma al rito, quasi di salvazione, perché “non è più nemmeno una questione di desiderio, è una storia sepolta che chiede ancora vittime”. Ma è sepolta. È una storia devota per un vezzo di cinismo. O viceversa. Cinica per un vezzo di devozione. Comincia a Modena, prosegue a Roma, torna a Modena, con interruzioni viaggiate in un circolo sadomaso di Berlino o in mete plausibili anche per borghesi parvenus. Danilo ha due amici fidati e scazonti come lui, ha un’ossessione, sempre la stessa ma declinata e variata su corpi così belli che in fondo sono tutti uguali e indipendenti dal soggetto, un rivale, miserabile quanto basta a renderlo reale, una madre che perde senso di sé, del mondo e delle proporzioni almeno quanto lui è preda della sproporzione patologica del desiderio. L’ossessione di Walter Siti, in questo romanzo, è quella di scomporre, ripartire, dividere, di ricondurre la complessità del mondo a un corpo, la struttura è quasi spinoziana, l’ossessione è scandita in proposizioni, è more geometrico demonstrata. Quando nessuno mostra di esserne all’altezza, l’ossessione si auto esilia in attesa di tempi migliori. L’esattezza e l’esigenza estetica dello sguardo e, nel contempo, la struggente tenerezza per le imperfezioni – un pelo, un’ombra, un cenno di doppio mento – rendono evidente la natura di ossimoro di questo romanzo. Dove il voyeurismo è introspezione perché l’occhio di chi guarda è sempre, prima di tutto rivolto verso la voce narrante. Non esiste ossessione senza vergogna e l’ossessione altrui è sempre ridicola o grottesca. Walter Siti può contemporaneamente dividere, lasciare che il protagonista si spii e ricondurre a uno perché ha una lingua intransigente. Sceglie incisi dialogici invece che aggettivi, commenta le fotografie presenti nel testo con un italiano che, giocando con le didascalie, costruisce gallerie di riproduzioni verbali e grammaticali. Autopsia dell’ossessione che chiude la trilogia ossessiva di Troppi Paradisi e de Il contagio, e che va letto in un senso trittico, è un romanzo di emozione e congedo. Alla mia età i personaggi di Shakespeare erano già re.
W. Siti, Autopsia dell’ossessione, Mondadori (2010), pp. 302.

CALPESTARE L’OBLIO

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di Valerio Cuccaroni
Calpestare l’oblio. Cento poeti italiani contro la minaccia incostituzionale: una grande opera di poesia civile.
Dopo due versioni elettroniche, domenica 14 novembre verrà presentata ad Ancona l’edizione integrale (Collana Argo, ed. Cattedrale).
Mostra | Reading | OpenMic-Microfono aperto
a partire dalle ore 17, nell’ambito della rassegna di arte e impegno civile “Linee di resistenza”, organizzata Casa delle Culture, con il contributo di: Provincia di Ancona | Comune di Ancona, in collaborazione con: Istituto Storia Marche | Anpi, con il Patrocinio di: I Circoscrizione – Comune di Ancona, verrà presentata l’edizione cartacea integrale dell’e-book “Calpestare l’oblio. Cento poeti contro la minaccia incostituzionale, per la resistenza della memoria repubblicana” [ http://www.lagru.org/media/oblio.pdf ], antologia di poesia civile che nel novembre 2009 e nei mesi seguenti ha scatenato un acceso dibattito sui principali media (L’Unità, MicroMega, Corriere della Sera, Radio 24, Reset, Gli altri, Il Giornale, Libero, Il Foglio, Il manifesto, Le Monde diplomatique).

Poesia e Prosa : Petr Král

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immagine di effeffe

Crepuscolo, respirare
di

Petr Král

(traduzione dal francese di Paola De Luca)

Fuori dal nostro abbraccio, tu ti dici vuota –

anche la città, malgrado la calca nelle stradine – farragine di

moto e di bimbe scure,  dei panni sventolanti ai balconi e

lo sguardo fisso delle vecchie

sull’uscio, davanti alla grotta con l’ammiccare dello schermo –

anche lei respira più in là, da una piazza deserta.

Far scorrere lo sguardo avido in mezzo ai fiati della folla

spargerlo poi nello scintillio delle posate sulla

bancarella d’un mercante

vicino al lungofiume, sul ciglio del parco ;

distrattamente asciugare con una manica il lustro della ringhiera

prima che una stella, alta sulla scalinata, buchi il cielo grigio.

La divisione della gioia

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di Italo Testa

I. UN LUOGO QUALUNQUE

o sulle poltrone in prima fila,
davanti a un sipario grigio
segui in allerta la scena vuota,
come una macchia nera in un quadro
lo spazio deserto ti incornicia:

è stato sulle scale, il gradino
lucidato dai passi anonimi,
l’ombra obliqua che taglia lo stipite:

la nascita della scrittura I

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(come) nasce la scrittura / marco giovenale

I. conclusione in forma di introduzione

a Uruk, circa cinquemila anni fa, la scrittura nasce da un appiattimento del segno sul segno. da una semplificazione che in effetti è una irrorazione di complessità.

nasce cioè da un’adesione del segno esterno di un contenitore al segno interno tridimensionale, che significa(va) gli oggetti della transazione.

II. storia

0 _ le fasi, in sintesi:

A _ merci di scambio nel mondo reale: commercio

B _ tokens [ = oggettini, segnacoli] che li rappresentano: contabilità

C _ tokens inseriti nella bulla: registrazione e conservazione

D _ segnature scritte sulla bulla, a significare i tokens: “semplificazione”

E _ schiacciamento/fine della bulla: nasce la scrittura bidimensionale, su tavoletta di creta

SPAZIO LIB(e)RO a Bolzano

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sabato 13 novembre

nell’ambito della manifestazione “SPAZIO LIB(e)RO“, presso il “Centro Trevi” di Bolzano:

Ore 11.00 (sala piano interrato): “Letteratura e sovraterritorialità” con Marianne Schneider, Evelina Santangelo, Giacomo Sartori. Moderatore: Stefano Zangrando

Ore 18.00: “Letteratura e fantasticazione” con Gianni Celati, Ermanno Cavazzoni e Enrico De Vivo. Moderatore: M. Rizzante


L’esplorazione della vicinanza – Majorino & Inglese

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Milano sabato 13 novembre

ore 17

Libreria Feltrinelli di via Manzoni

Giancarlo Majorino

presenta:

Poesia come esplorazione della vicinanza

Letture di Andrea Inglese

°

carta st[r]ampa[la]ta n.35

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di Fabrizio Tonello

Elezioni del Congresso negli Stati Uniti: trionfa il partito del tè. Netta sconfitta del partito del caffè, mentre alcuni risultati interessanti hanno ottenuto il partito della camomilla e quello della tisana al finocchio. Il partito della verbena e quella della rosa canina non hanno raccolto consensi fra gli elettori.

Martedì 2 e mercoledì 3 novembre sono state giornate faticose nelle redazioni, costrette a produrre pagine su pagine su un argomento –l’America- che confonde le idee anche ai più diligenti. Più o meno tutti i giornali si riferiscono alla galassia di gruppi sotto l’etichetta “Tea Party” come al “partito del tè”. Naturalmente, “party” significa anche “partito” ma, nel caso specifico, ha invece lo stesso significato che nello spot televisivo con George Clooney: “No Martini, no party”. Il riferimento è proprio a una festa, un party, come fu ironicamente battezzata l’incursione dei coloni americani nel porto di Boston il 16 dicembre 1773, quando i rivoluzionari gettarono in mare un carico di tè per protestare contro le tasse imposte dal parlamento inglese. I gruppi nati l’anno scorso per protestare contro gli aumenti delle tasse e l’aumento del deficit che attribuiscono ad Obama hanno scelto questo riferimento alla prima rivolta antifiscale della storia americana, un party che diede il via alla lotta per l’indipendenza.

La letteratura sperata

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di Emanuele Trevi

Già il fatto che David Shields definisca «un manifesto» il suo Fame di realtà (Fazi, prefazione di Stefano Salis, trad.di Marco Rossari, pp.264, euro 18,50) ci parla di uno stile di pensiero decisamente inconsueto, per non dire inattuale. A chi può mai rivolgersi, nel 2010, un manifesto? Il fatto è che la teoria letteraria di Shields chiama in causa i suoi lettori, li seleziona mentre procede. Dai manifesti delle vecchie avanguardie lo scrittore californiano, nato nel 1956, ha imparato a rivolgersi a una minoranza come se si trattasse, contro tutte le apparenze, di una moltitudine. Spazzando via d’un colpo, grazie alla sola energia del desiderio, il più triste dei prodotti dell’industria culturale: la rigida separazione dei ruoli, il Muro di Berlino che separa i produttori dai consumatori. «Non credo di essere l’unico», si legge per esempio a un certo punto, «che trova sempre più difficile leggere o scrivere romanzi».

Il precario con la febbre

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[Questo articolo compare nello speciale de il manifesto in edicola oggi dedicato alla scuola, Sbancati. Compratelo. Primo, per sostenere il manifesto. Secondo, perché è proprio un bello speciale.]

di Marco Rovelli

Dalle mie parti quando un oggetto è in bilico e rischia di cadere si dice che ha la febbre. Quando si ha la febbre si è in condizione di debolezza, e tendenzialmente assai più dipendenti dagli altri. Un precario è un oggetto con la febbre: subisce una reificazione anno dopo anno, che sconta sulla pelle, e il sistema che lo spreme e lo getta via all’occorrenza usa anche il rischio a cui è costantemente esposto, che lo mette in condizione di dipendere da qualcuno, senza potersi aiutare da sé, e senza poter fare rete con qualcuno nella sua condizione.
Io sono precario nelle scuole superiori da dieci anni, senza mai vedere la luce della fantasmatica immissione in ruolo.

Dopo un dottorato di ricerca all’università, avevo valutato che non ero in grado di reggere le trafile che vedevo fare a una serie di persone che mi avevano preceduto, tra attese di postdottorati, borse varie, rapporti da tessere, persone da ingraziarsi. Mi pareva invece che, volendo “lavorare con il sapere”, avrei potuto insegnare storia e filosofia nei licei, sarebbe stata più pulita. Erano i tempi delle orrende Ssis, scuole di specializzazione per l’insegnamento che però a nulla specializzavano. Era solo una gran bella tangente pagata allo Stato per avere l’abilitazione, con un consistente punteggio in graduatoria. Le réclame informali dell’epoca ci garantivano che nel giro di pochi anni saremmo entrati in ruolo. Il sistema aveva bisogno di polli da spennare, da una parte, e di creare un bell’esercito di riserva che si adattasse ad ogni richiesta, col vantaggio di costare meno allo Stato: ché questo è uno dei punti fondamentali, i precari non si pagano d’estate.

Controparole

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[Le pagine che seguono costituiscono l’apertura del saggio Controparole, Atelier, 2010. Chi voglia acquistare il libro può scrivere a: ladolfi_at_alice.it]

di Alessandro Baldacci

Speranza e frammenti

È ancora possibile cercare un’esperienza di verità nella scrittura? Continua a interrogare il presente, ad alimentare le potenzialità del futuro, la “domanda totale” dell’arte? La dominante ironica della letteratura contemporanea, con la sua prassi inerme e la sua incapacità di filtrare la grande lezione dell’ironia primo-novecentesca, il gioco che sempre più sfuma in ammicco, la deresponsabilizzazione del linguaggio, degli autori, dei critici di fronte alle ferite della realtà, la convinzione che la poesia possa accomodarsi docilmente nel suicidio in sordina delle logiche di potere che la governano, sono segni di un’amputazione del pensiero che pervade le più disparate esperienze del presente. Sono i sintomi di un mondo che ha smarrito le emozioni e le passioni del tragico, convinto che l’impossibilità del sublime possa essere ragione bastante per non lasciarsene ancora e nonostante tutto ustionare. Questo tipo di nichilismo, che non riconosce il negativo, che non soffre la negazione, governa la mentalità contemporanea, finge che tutto sia illusorio, fantasma, perché sa che la luce drammatica della realtà basta a denunciarne l’ipocrisia, l’interesse, il vantaggio o la complicità.

Un libro e una mostra fotografica per capire la Milano Downtown

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Massimo Bricocoli e Paola Savoldi

Milano Downtown. Azione pubblica e luoghi dell’abitare

et. al /Edizioni, 2010, pp. 280

Contributi di: Giovanni Hänninen, Massimo Bricocoli, Paola Savoldi, Alessandro Coppola, Lidia K. Manzo, Raffaele Monteleone, Paola Arrigoni, Ota de Leonardis, Pier Carlo Palermo.

O ti adatti o sogni

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di Ida Travi

(Il campo si stendeva)

Il campo si stendeva molto stanco e sopra
navigavano gli uccelli. Il mondo non diceva una parola

Noi dormivamo lì prima di chiudere gli occhi
il nome era sveglio sotto il camicino

C’è qualcosa sulla guancia del bambino, hai visto?
È una mosca. C’è una mosca sulla guancia del bambino
hai visto? Il velo non è servito a niente! Il velo
non ha fatto barriera.

Leggerezze ( a reti leggere )

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Due carissimi e talentuosi amici, Fernando Coratelli e Luigi Carrozzo si sono inventati ‘sta cosa. Una bella cosa che mi ha dato l’occasione di ritrovare vecchi compagni di rete come Franz Krauspenhaar e Sergio Garufi. Io a ‘sta cosa. partecipo con una rubrica dedicata a un libro, un luogo un musicista…

Un libro vi trasporterà è una video rubrica  dedicata, ogni volta, a un libro, alla musica, a una città.Si tratta di vere e proprie esplorazioni attraverso pagine di vita, città, riflessioni, volti, personaggi con lo scopo di tracciare una cartografia delle esperienze artistiche, letterarie e musicali, che attraversano l’Italia dei nostri giorni. Girate con camera digitale e destinate alla rete, le videointerviste si propongono come una filosofia della leggerezza del leggere.

Prima puntata – “Strade bianche” di Enrico Remmert

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Una poesia
di
Gabriella Garofalo

a S.P.


Immaginavi, con l’invidia
di chi trasloca dai margini al retro,
luci notturne grembi al neon dove gettarsi-
non hanno età certi giochi, ti esortava,
non crimine la resa ad altre tavole di legge,
giostra la mente tra autoscontri, girandole, aquiloni,
bravo a depistarti quel cielo sfinito di stelle-
solo, ti scopri a fissare tazzine in smalto blu
insofferente che la sera parta,
prenda la sera e si allontani
lei e dilapidata fortuna nel tuo cielo.

Felicità

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di Graziano Dell’Anna

Da quando l’anno prima si era trapiantato dal suo paesino del sud a Padova, non gli sembrava di ricordare un mattino così. Il sole batteva alla finestra proiettando un rettangolo sbilenco sul pavimento della stanza; un cinguettio indistinto – una taccola? una ghiandaia? – veniva dall’esterno. Forse era per questo che Tobi, lo spaniel color terra che aveva preso con sé per le battute di caccia (la sua più grande passione dopo formule e provette), era particolarmente su di giri. O che in qualche modo le narici del suo amico avvertissero l’odore del sole, l’imminenza della bella giornata?

Radioactivity

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Martedì 9 novembre alle 21 in diretta dalla Sala A di via Asiago, Roma

RAI RADIO3

presenta

RADIODRAMMI IN DIRETTA

Spazio Lumière
di Nicola Lagioia

con
Peppino Mazzotta (Roberto Canali), Valentina Carnelutti (Sonia),
Claudio Botosso (Aristide Novelli), Salvatore D’Onofrio (tecnico radiofonico)
e
Custodi alla memoria
di Carlo D’Amicis

con
Ninetto Davoli ( Ninetto), Peppe Servillo ( Sor Maestro)
i personaggi di Sor Maestro e di Ninetto sono ispirati a Totò e a Ninetto Davoli,
con particolare riferimento a Uccellacci e Uccellini e Cosa sono le nuvole.

Inaudita a Roma

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Sabato 6 novembre, alle ore 20:00

presso la Libreria Empirìa
(Roma, via Baccina 79)