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“L’amavo troppo la mia patria non la tradite…”

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prima facciata dell’ultima lettera scritta da Giancarlo Puecher

  di Orsola Puecher

   In questo tardo Novembre di governi e valori al tramonto, le sorprese non finiscono mai, ma l’ultima cosa che mi sarei aspettata era di trovare, citato su Il Fatto Quotidiano del 14 novembre scorso, il nome, per di più storpiato in Aldo Pucher, di Giancarlo Puecher, partigiano, Prima Medaglia d’Oro al Valor Militare della Resistenza, fucilato a vent’anni, il 23 dicembre 1943 dai miliziani della Repubblica di Salò, e non in un articolo sulla Resistenza, sul valore della memoria, ma, accusato di un omicidio che non ha mai commesso, in un’intervista di Luca Telese ad Alessandro Sallusti, direttore del Il giornale, sobriamente intitolata ⇨ I topi scappano. Per il dopo c’è solo Marina, in cui si promuove l’investitura di Marina Berlusconi a futuro premier del sultanato Italia, come se ormai anche il potere politico si potesse trasmettere per via dinastica.
   Lo scopo, il modo, la strumentalizzazione e le falsità storiche con cui Giancarlo Puecher viene chiamato in causa sono un vero e proprio vulnus alla sua memoria e alla sua figura luminosa. Bisogna in qualche modo rimediare. Ristabilire la verità.

MILTON – I PARTE

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di Franco Buffoni

Grazie alla ricca famiglia in cui nasce, e soprattutto alle cure del padre, uomo di lettere di vastissima cultura, John Milton si trova già nell’infanzia a possedere sofisticati strumenti intellettuali per analizzare il passato classico greco-latino e la grande produzione letteraria umanistica europea del Cinquecento. Non procede in modo altrettanto precoce la sua maturazione umana con l’acquisizione di un sano equilibrio tra mente e sensi. Il giovane letterato si diletta pertanto a teorizzare la purezza delle virtù e degli ideali cristiani, ma contemporaneamente si sente precoce preda di un temperamento sensuale e violento.
L’esperienza matrimoniale, con la fuga della moglie dopo sei settimane, anziché sedare, scatena ulteriormente il conflitto portando alla luce una profonda e radicata misoginia. Il libello che Milton compone a favore della libertà di divorzio ne è chiara testimonianza. Tale libertà, infatti, richiesta persino per “incompatibilità di carattere” (il poeta letteralmente parla di “antipatia”) è a senso unico: solo appannaggio dell’uomo. Per Milton non è nemmeno ipotizzabile che una donna possa avere dei desideri di qualsiasi tipo. Non a caso, certamente, nel suo capolavoro maturo, Paradiso perduto, sarà Eva ad essere pesantemente dipinta in modo negativo; Satana apparirà come un principe e un grande guerriero, pur se spietato e cinico.

l’adolescenza si addice ad Eleusi

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di Chiara Valerio

Diceva infatti che non sarebbe più ritornata all’Olimpo odoroso/ E non avrebbe consentito che crescessero i frutti sulla terra,/ prima Di aver veduto coi suoi occhi la figlia dal bel volto. (Homeri Hymnis in Cererem 331-333). Desideriamo ciò che abbiamo davanti agli occhi. Perciò l’abbrivo del mito e del mistero di Kore, la fanciulla rapita da Ade e in parte restituita a Demetra, è il desiderio. Tutto comincia con un rapimento che, subito, cambia natura, sfuma, diventa un mercanteggiamento, poi una transizione, poi ancora, qualcosa che tiene in sé una doppia natura, un ciclo, una stagione, un’indicibilità e, in questo senso, un mistero. La “ragazza indicibile” poteva essere nominata ma non detta. Nel mistero non vi era, cioè, spazio per il logos apophantikos, ma soltanto per l’onoma. E, nel nome, aveva luogo qualcosa come un “toccare” e un “vedere”. La ragazza indicibile (Electa, 2010) è un libro composito di un testo, luminoso e breve, di Giorgio Agamben e di trentanove riproduzioni dei pastelli di Monica Ferrando. Sono immagini di nature morte, nature vive, nature interrotte da un sogno, nature umane. La ragazza indicibile è un saggio, in parole e figure, sull’iniziazione, sul limine, sul connubio tra filosofia e pittura a partire dal punto – dal momento – in cui il contenuto e la forma diventano indecidibili. La “ragazza indicibile” è questa soglia. Così come confonde e in determina la cesura tra la donna e la bambina, la vergine e la madre, così anche tra l’animale e l’umano e fra questo e il divino. Tutto dunque comincia da un rapimento e dagli occhi, che guardando, si appropriano del mondo, lo tratteggiano, lo nominano.

Sono tornate le riviste? (23 novembre a Torino)

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23 novembre, PalazzoNuovo, via san Ottavio 20, Torino

ore 18 aula 6

Sono tornate le riviste letterarie.

Qual è il loro ruolo oggi, nel panorama culturale e sociale del nostro paese?
Quale sguardo o linguaggio proiettano nella e della realtà?

Un confronto aperto, una discussione animata e molto attuale con Tiziano Scarpa, Andrea Inglese e Sparajurij, redattori de “Il Primo Amore”, “Alfabeta2” e “Atti Impuri”.

Alfa Zeta per Alfa Beta: f come frustrazioni

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«Forare la pellicola del paesaggio» scriveva il poeta Biagio Cepollaro nel secolo scorso. Così tra noi e il mondo, tra noi e le esperienze del mondo sembra oggi più che mai ispessito – al punto di sembrarci indistruttibile- un velo che pare aver sottratto al mondo, alla realtà la sua porosità, la capacità di assorbire e rendere, in ogni forma di vita partecipata, uno dopo l’altro i linguaggi in grado di comunicare le storie. Persino la poesia sembra una cosa dell’altro mondo, e i poeti extraterrestri – così Nanni Balestrini rispondeva alle febbrili domande di un critico d’arte, addossato a pareti di carta. E ci aggiriamo tra continue barriere visive e fisiche, divieti continui, come in un labirinto di suoni e visioni che non hanno nemmeno la malinconica dolcezza dei miraggi. Eppure, ci giunge l’eco dei versi, effeffe

Appunti sul “Tiresia” di Giuliano Mesa

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[In occasione della pubblicazione di  POESIE 1973-2008 di Giuliano Mesa per la Camera Verde, pubblico qui un intervento già apparso sul numero 5 di Per una critica futura.]

Andrea Inglese

Sulla scrittura poetica di Giuliano Mesa sono intervenuto in tre occasioni, e ogni volta focalizzandomi su libri diversi. La prima volta, in un saggio apparso su Akusma e intitolato Mesa e Di Ruscio: dittico degli insubordinati consideravo Improvviso e dopo apparso nel 1997. Nel 2004, sulla rivista on line L’ulisse, parlavo ancora di Mesa in un saggio dal titolo Attraverso il manierismo. Annotazioni sulla poesia degli anni Novanta. Mostravo quanto fossero importanti la poesia di Mesa e quella di Cepollaro, per comprendere come andare oltre il manierismo anche più consapevole e sofisticato, quello che oggi va da Sanguineti a Frasca, per fare due dei nomi più illustri. Infine un lavoro più accurato e tecnico l’ho fatto sui Quattro quaderni nell’ottica del dialogo con l’opera di Beckett. Si tratta del saggio Semantica e sintassi beckettiana in Frasca e Mesa, apparso nel volume collettivo in Tegole dal cielo , vol. I, L’“effetto Beckett” nella cultura italiana. Oggi, in occasione di una presentazione del Tiresia, vorrei abbandonare lo sguardo analitico e di prossimità, per provare a porre qualche questione di estetica letteraria. Campo insidiosissimo certo, ma anche per questo molto poco frequentata dalla nostra critica che, nel migliore dei casi predilige un approccio filologico e semiotico. Ciò che vi propongo è un avvicinamento al Tiresia muovendo da uno scritto di carattere teorico di Giuliano Mesa pubblicato di recente in un volume della Metauro intitolato La scoperta della poesia, a cura di Massimo Rizzante. Il testo di apertura del volume è proprio di Giuliano e s’intitola Ad esempio. La scoperta della poesia.

LA LOBBY VATICANA

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di Franco Buffoni

Perché in Italia non si riesce a fare saltare il tappo dell’ipocrisia nei confronti dell’omosessualità? Perché l’Italia non può avvicinarsi legislativamente a Francia, Germania, Spagna e Gran Bretagna? Perché deve restare allineata a Cipro, Malta, Lituania e San Marino? Mi limito a ricordare la direttiva approvata dal parlamento europeo il 26 aprile 2007 che – riprendendo l’articolo 13 del trattato di Amsterdam, sempre disatteso dall’Italia – ribadisce l’invito agli stati membri “a proporre leggi che superino le discriminazioni subite da coppie dello stesso sesso”, e condanna “i commenti discriminatori formulati da dirigenti politici e religiosi nei confronti degli omosessuali”.
L’anomalia italiana è ormai luogo comune in Europa: chi ne frequenti le istituzioni sa bene quali sguardi e parole di accorata sympathy i rappresentanti italiani siano costretti a subire da parte dei colleghi: “… ma voi, in Italia…” è diventato un leitmotiv per chi si occupa di diritti civili e non solo. E non si capisce nemmeno più se l’interlocutore stia pensando a Berlusconi per arrivare a Ratzinger, o stia pensando a Ratzinger per arrivare a Berlusconi: per l’appunto Italy, Vatican State, come intitola il suo ultimo libro Michele Martelli (Fazi editore).

per una retorica in maniche di camicia [il sogno di Pierluigi B.]

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di Stefano Petrocchi

In varie trasmissioni televisive dell’ultimo periodo, abbiamo sentito Pier Luigi Bersani condensare il suo ben noto stile asciutto in una serie di espressioni fortemente cristallizzate, che tutti intendono. Se alcune di queste frasi mostrano un contenuto politico evidente (cito dall’intervista a Che tempo che fa: “se restiamo a pettinare le bambole, veniamo meno a un compito storico” e “dobbiamo fare una cosa come si deve”; leggi: bisogna cercare nuove alleanze in grado di farci vincere, ma non possiamo più fare pasticci come l’altra volta con l’Unione), altre sono più difficili da decifrare, per esempio: “quando piove, piove per tutti”.

E’ uscita alfabeta2 di novembre

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alfabeta2 numero 4 è in edicola e in libreria

«Per esempio – mi chiedo – quanti italiani sanno di vivere da tempo formalmente in uno stato di emergenza, proclamato per poter schierare l’esercito in aree civili?».Slavoj Žižek, intervistato da Antonio Gnoli, apre la discussione Anomalia Italia.

Le classi all’università

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Presentazione del libro

L’università struccata

Il movimento dell’Onda tra Marx, Toni Negri e il professor Perotti

di Raul Mordenti

Mercoledì 17 novembre, ore 15.30
Dipartimento di Lingue e Letterature straniere moderne – Aula VI, Via Cartoleria 5, Bologna
introducono Daniela GallinganiGiovanni Marchetti
ne discutono con l’autore Daniele Giglioli e Mario Lavagetto
coordina Rosa Pugliese

carta st[r]ampa[la]ta n. 36

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di Fabrizio Tonello

“Poi c’è il Direttore, alto calvo con gli occhiali d’oro, con la barba grigia che gli vien sul petto, tutto vestito di nero e sempre abbottonato fin sotto il mento”. Di fronte a lui i ragazzi “entrano tutti tremanti in Direzione” o “scappano da tutte le parti” quando “appare a una cantonata”: pressappoco così doveva sentirsi Vittorio Feltri l’11 novembre, quando è stato convocato a Roma dall’Ordine dei giornalisti per discutere del caso Boffo, anche se nessuno dei consiglieri dell’Ordine che discutevano i provvedimenti disciplinari contro di lui sembra la controfigura del direttore della scuola di De Amicis nel libro Cuore. Peraltro, non risulta che i dirigenti dell’Ordine abbiano mai sfoggiato il cipiglio di Beria, la ferocia di Torquemada o la propensione ai massacri di Pol Pot.

B-logos: ovvero discorso sopra la rete in cui si impigliano le parole

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A proposito del romanzo Dublinesque di Enrique Vila-Matas
di
Francesco Forlani

Qualche tempo fa, discutendo con una mia amica scrittrice e blogger, Loredana Lipperini, di rete e siti vari, tastandoci il polso per verificare lo stato della fiducia di entrambi nelle capacità del mezzo di produrre messaggi di una qualche importanza, mi manifestava, non senza rammarico, la sua difficoltà a venire sul sito Nazione Indiana. Quel che la tratteneva dal farlo non era affatto la qualità dei post, degli articoli pubblicati, ma il “commentarium”, spesso sul piede di guerra, e assai sovente, e nervosamente, incline a mandare in vacca ogni discussione, a soffiare sul fuoco delle polemiche facili, Saviano sì Saviano no, collaborazionisti o puriduristi, insomma, a sputare sul benché minimo focolare di discussione con l’intenzione chiara di estinguere insieme alla fiamma la sete della propria incazzatura. Perché una premessa del genere a proposito del bellissimo – bellissimo vi dirò perché – libro di Vila-Matas?

L’insostenibile del futile: una famiglia americana

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di Monica Mazzitelli

Non so se si possa definire una festa, questa. Ci sono degli ospiti ma soprattutto delle ospiti qui, donne perlopiù sposate con eventuale marito al seguito. Poi c’è da bere e da spiluccare, in cucina.

La cucina è grande come metà del mio appartamento, affaccia su un salone e un’area pranzo. Tutti insieme sono più grandi di casa mia, e si affacciano sulla pool area, che invece non è enorme: una piscina da telefilm middle-class. La proprietà non vale più di 800 mila dollari, col mercato immobiliare del momento.

Siamo nella zona della “Valley”, la vallata anonima a ridosso di Los Angeles regno diurno delle casalinghe, coi loro bambini e cani middle class. Ce n’è uno anche qui: un classico golden retriever che per la festa resta confinato in giardino; gigione, grasso, e molto carino. È tutto very nice, qui.

La cucina con i piatti dello spilucco arrangiati come un ristorante da 80 euro a coperto: formaggi con le loro posatine, marmellatine, crackerini di ogni foggia, mirtilli che non sono rotolati sul tagliere per caso, grappoli d’uva e vino italiano, birra, diet cola e qualsiasi altra cosa più potente, da bere liscia o scivolata on the rocks, sui cubetti di ghiaccio emanati direttamente dal frigo. Non possiedo un televisore ma questo telefilm l’ho già visto. Va in onda una famiglia molto carina, che si vuole bene. Madrepadreduefiglie.

Una piccola notizia diversa dalle altre

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di Leonardo Palmisano

La notizia è che una collaboratrice del Corriere della Sera, Paola Caruso, è in sciopero della fame da due giorni per ragioni che riguardano il suo rapporto di lavoro con la direzione del quotidiano.
A me pare che questa notizia sia un po’ diversa dalle altre e mi sforzerò di dimostrare perché.
Il Corriere della Sera è uno dei principali quotidiani italiani. Sulle sue colonne trovano posto articoli nei quali si discute di politica, di economia, di spettacolo e talvolta di etica del lavoro. Si parla, naturalmente, anche di precariato, evidenziando le ripercussioni sociali presenti e future di questo fenomeno contemporaneo.

Pasolini in salsa piccante

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[E’ uscito da pochi giorni per Guanda Pasolini in salsa piccante, libro nato anche qui, da alcune considerazioni di Marco Belpoliti, che ora ci regala, di seguito, l’introduzione al volume. G.B.]

di Marco Belpoliti

«Lo scandalo del contraddirmi, dell’essere / con te e contro di te; con te nel cuore, / in luce, contro di te nelle buie viscere.» Con questi versi si apre la quarta parte de Le ceneri di Gramsci, pubblicate nel 1957 da Pier Paolo Pasolini.
Versi che esprimono in forma efficace il suo atteggiamento, non solo di poeta, ma anche di uomo. Parole nette: lo scandalo, la contraddizione, l’essere con te e contro di te, il cuore e le viscere, la luce e il buio. Parole che commuovono e che chiedono, com’è stato detto, una fraterna e totale complicità. La complicità con chi ti sta dicendo che è con te e contro di te nel medesimo tempo. Una contraddizione, ma anche un’identificazione. Questo è Pasolini.
In questo atteggiamento Alfonso Berardinelli, nel suo saggio dedicato al poeta e al saggista degli Scritti corsari, ha perfettamente individuato una «sublime autocommiserazione» e un «orgoglio irremovibile della vittima» grazie al quale Pasolini ha potuto esprimere al meglio il suo messaggio. L’effetto è quello dell’emozione e della repulsa insieme: «I conflitti morali in cui Pasolini trascina il lettore sono conflitti che riguardano anzitutto lui: amarlo o respingerlo. Ma è lui stesso che sembra costretto, nello stesso tempo, ad accettarsi o a respingersi».
Che è quello che ci chiede con i suoi versi – sulla mia generazione, ma anche su quella dei miei fratelli maggiori, e anche dei padri, l’intellettuale corsaro e luterano ha avuto una influenza decisiva, sino al ricatto, o all’auto-ricatto morale –: essere con lui e contro di lui. Un esercizio difficile, ma necessario quasi non fosse possibile che l’aut aut, e non già l’et et. Tuttavia ora è venuto il momento dell’et et: possiamo accettarlo e respingerlo nel contempo.

la nascita della scrittura II

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l’invenzione della scrittura / michele zaffarano

13 analitical sought poems + 1

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con l’invenzione della scrittura inizia la comunicazione
sincronica e la comunicazione diacronica
della civiltà umana prima della scrittura
possiamo solo fare congetture
partire dai dati archeologici l’invenzione della scrittura
diede inizio alla storia l’invenzione della scrittura
è legata a esigenze di amministrazione è legata
a esigenze di contabilità l’invenzione della scrittura
è legata a esigenze di comunicazione
nel quarto millennio nacque la scrittura
nel quarto millennio presso un popolo di origine
sconosciuta immigrato nella bassa mesopotamia

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i primi esempi di scrittura sono stati rinvenuti
su tavolette di argilla e le tavolette appartengono
al livello archeologico di uruk quarto a
la datazione approssimativa è il tremila
tra il duemila e cento e il duemila si ebbe
una rinascita con la terza dinastia
di ur aveva oltre trecentomila abitanti
l’insufficienza del sistema era evidente
non occorreva più un simbolo per ogni idea
bastava un numero ristretto di caratteri fonetici
per esprimere l’ampia varietà delle idee questa
innovazione si ritrova nel periodo di uruk terzo
vennero inventati i sillabogrammi

Improvvisazioni

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di Silvia De March

8.6.10

«buongiorno, principessa!», le sussurrò il principe. ma le luci della sera avevano già abbassato serrande e saracinesche. intuì l’invito ad aprire un tempo desueto, in cui dare forma a ciò che non avrebbero mai potuto vedere; e partì senza occhiali. tornò arricchendo il giorno di sogni, più consapevole del reale.
come sempre, aveva parlato pochissimo, guardato molto e suonato forse le giuste note. la corda tesa che si era annodata allo stomaco si era allentata, meno forte batteva anche il metronomo e il tremolio delle mani era un riverbero più sfumato. aveva scavalcato la staccionata sull’impulso di un’altra musica [Paolo Angeli, Unravel]. e non era caduta malamente come temeva: stava ancora in piedi sulla sua ombra che sembrava – era – più densa: in questa si era accorpata la sua compagnia.

Per un’idea di impegno poetico

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Incontro coi poeti

Franco Buffoni e Fabio Pusterla

a cura di Roberto Galaverni

Lunedì 15 novembre 2010
ore 18.30

Istituto Svizzero di Roma
Via Ludovisi 48
00187 Roma
Tel. +39 06 420 42 620
arte@istitutosvizzero.it
www.istitutosvizzero.it

Il mulino di San Gregorio (600 giorni per dimenticare L’Aquila)

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di Maria Angela Spitella

Non ci sono ricorrenze particolari, ma crediamo che non ci sia bisogno di una ricorrenza per ricordare una tragedia come il terremoto d’Abruzzo che ha colpito L’Aquila ed alcuni piccoli centri. Il 6 aprile 2009 per molti è un ricordo lontano, per altri è un ricordo costante che preme nella testa e nel cuore. Per chi ha perso i propri cari, per chi ha perso la casa, per chi ha perso tutto. E’ un ricordo che accompagna come una spina nel fianco la vita di ogni giorno, un ricordo che non si può scrollare di dosso. L’Aquila è una città immobile. Non tutti i palazzi sono stati messi in sicurezza. Ci sono appartamenti sventrati con i loro interni esposti alla vista di chi passa, come corpi mutilati che giacciono sull’asfalto. Si cerca di non guardare, fa male quella nudità, i brandelli delle pareti con ancora appesi i quadri stanno in piedi per inerzia, quando ci si passa davanti si cerca di abbassare gli occhi, come a non voler violare un dolore scritto sulle mura.

LE RIVOLTE INESTIRPABILI

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[le foto e i due brani che seguono sono tratti dal libro di De Luca e De Marco Le rivolte inestirpabili, edizioni Forum, 2010]

di Danilo De Marco (foto) e Erri De Luca (testo)

Danilo è una di queste persone di quell’età che non ha smesso di ficcarsi nei malanni del mondo. È un giornalista speciale perché non l’ha inviato nessuno, nessuno lo spedisce, nessuno lo prega di recarsi, ci va da solo, si invia da sé. Va nei posti con un solo biglietto di andata, fa amicizia, perlustra, si aggira sul piano terra dei luoghi che possono essere dei contadini cinesi, degli sbandati del Kurdistan. Nomino questo paese che non esiste, il Kurdistan, non lo trovate sulle carte geografiche. È il posto dove abita il popolo dei Kurdi distribuiti in quattro nazioni differenti.