Sabato 6 novembre, alle ore 20:00
presso la Libreria Empirìa
(Roma, via Baccina 79)
[Questo articolo è apparso sul numero 3 di “alfabeta2”]
di Andrea Cortellessa
Note sul regime biospettacolare di Berlusconi
Nel paesaggio in rovine, nella facies hippocratica del presente che illustra – tormentoso prima che esilarante, come pure non riesce a non essere – La Suburra di Filippo Ceccarelli, una scena in apparenza meno torrida di altre colpisce, però, con una violenza speciale. Siamo ancora in una fase primordiale di quello che, per la famiglia Berlusconi, diverrà la primavera seguente uno psicodramma vissuto in diretta sulla ribalta mediatica, nazionale e non (dopo lo scoop di «Repubblica» sulla partecipazione del Presidente alla festa di compleanno d’una giovane campana; dopo una clamorosa intervista rilasciata allo stesso giornale da sua moglie; dopo che l’“amico di famiglia” Vittorio Feltri, sulla prima pagina del posato quotidiano «Libero», ripesca dal suo passato d’attrice delle foto a seno nudo col pacato commento Veronica velina ingrata); ma già successiva a una serie di servizi fotografici documentanti i passatempi del Presidente, dopo che è stata pubblicata coram populo un’intercettazione telefonica fra lui e un ossequioso dirigente RAI nella quale Berlusconi raccomanda attrici segnalate da certe persone «con cui sta trattando» perché «sta cercando… di avere la maggioranza in Senato» (siamo agli ultimi sussulti del secondo governo Prodi, col suo risicatissimo margine parlamentare), e dopo che a séguito delle trionfali elezioni dell’aprile 2008 s’è insediata in Parlamento «una folta schiera di belle ragazze» subito dai cronisti parlamentari simpaticamente definite «Forza Gnocca» (Filippo Ceccarelli, La Suburra. Sesso e potere: storia breve di due anni indecenti, Milano, Feltrinelli, 2010, p. 21).
di Giuseppe Zucco
Il dirmi che una scarica di mitra è realtà mi va bene, certo; ma io chiedo al romanzo che dietro questi due ettogrammi di piombo ci sia una tensione tragica, una consecuzione operante, un mistero, forse le ragioni o le irragioni del fatto. Carlo Emilio Gadda
Ma è così? In letteratura esiste una divisione così netta tra finzione e realtà? Le opere letterarie possono essere annoverate senza ombra di dubbio ora tra le schiere della realtà ora tra quelle della finzione? E questa distanza certificata aiuta la comprensione delle opere letterarie? Oppure il gioco è infinitamente più sfumato? E se così fosse, non vi è forse tra realtà e finzione un reciproco scambio, un’osmosi continua quasi impercettibile? Non è più corretto affermare che le particelle dell’illusione possono rendere più completo l’atomo della realtà, e viceversa?
di Maria Luisa Venuta
Da domenica scorsa mi sveglio al mattino con il suono di una vuvuzela che dalla gru nel cantiere che si trova dietro casa dà un segnale alla città. Dice che i ragazzi che sono sulla gru sono ancora lì, che hanno trascorso la notte e che stanno per iniziare una lunga giornata. Un’altra giornata lassù a 35 metri di altezza.
La gente che passa al mattino andando verso gli uffici verso le scuole, le università passa sotto la gru e con il naso in su guarda se sono ancora lì. Loro escono dalla cabina del manovratore, appendono uno striscione enorme con scritto “sanatoria” e poi parlano con il gruppo che accanto al cantiere si da il cambio a presidiare, a non lasciarli soli né di giorno né di notte. La gru non è più una L capovolta nel cielo che sovrasta l’entrata a nord nel centro storico di Brescia, è diventata un enorme punto di domanda.

sabato 6 novembre dalle 10 di mattina a mezzanotte
Salone d’Onore, Palazzo della Triennale – Viale Alemagna, 6 Milano
4 ensembles e un totale di 50 musicisti eseguiranno per 14 ore interpretazioni di “Vexations”, il brano di Erik Satie che ha inventato l’ambient music.
ingresso libero
Sincronie 2010: βὶος è realizzato con il patrocinio del Ministero degli Affari Esteri, di ENEA e del Comune di Milano e con il contributo e la collaborazione di:
Fondazione Banca del Monte di Lombardia, Banca Popolare di Milano, Survival International, O’, L.A.B. laboratorioartibovisa, Die Schachtel, Auditorium Edizioni/InSound, Sconfinarte, Associazione Neoma Milano, Casa Ricordi, Sugarmusic SuviniZerboni e con la partecipazione dell’ICS “L.Tolstoj” di Milano.
per maggiori informazioni e prenotazioni: www.sincronie.org | prenotazioni@sincronie.org | info@sincronie.org
ufficio stampa: info@o-artoteca.org
Gentili Autori e Lettori di Argo,
dopo Oscenità (Argo XV) e Id – La materia che amava chiamarsi umana (Argo XVI), il collettivo Argo si appresta a realizzare il suo terzo romanzo di esplorazione. E chiama a raccolta chiunque voglia partecipare.
Call for plot
di Marco Mantello
C’è qualcosa di grottesco nelle ultime rivelazioni giornalistiche targate Bunga Bunga ed è il “come”. Se cadrà qualcuno, sarà l’Icona, non certo il sistema di potere che c’è dietro all’Icona, il Vaticano, la Brianza e il Nord Est interiori, le mafie e i reality show. Mi disturbano, non poco, le modalità della caduta, l’idea che l’importante è farlo cadere, perché penso al ‘dopo’.
Certo poi l’icona si logora più facilmente per il Bunga Bunga, e non per le politiche di precarizzazione del lavoro (il libro bianco di Biagi, tanto comodo alle redazioni dei giornali generalisti), non per la partecipazione italiana a una guerra collegata ai soliti interessi economici che ruotano intorno al petrolio e alle nostre ‘macchine’ (del resto su Repubblica, nei primi anni ’90, si leggeva: che c’è di sbagliato?), non certo le politiche sull’immigrazione a punti. Lo scandalo del Bunga Bunga, cioè la pratica collettiva e al contempo concorrenziale del ficcarlo nel culo, regge sul presunto trattamento di favore riservato a una minorenne africana dalle forze dell’ordine e su modelli di famiglia del tutto cristiani. Perfino le proteste di piazza sulle ultime sparate dell’Icona vengono fotografate, oggi, su Repubblica online, da cartelli del tipo: ‘meglio omosessuale che pedofilo’, con firma sotto: ‘padre di famiglia’. Come se l’uomo comune di turno, la parte migliore del paese, appendendosi l’indignazione al collo per il mancato rispetto della gerarchia delle ‘colpe’, dovesse chiarire a se stessa e al mondo che indignati sì ma froci no.
Festival di letteratura e migrazione
Brescia, Borgosatollo, Castenedolo
11-14 novembre 2010
http://www.5e6.it/oltreilmargine
a cura di Simone Brioni
Il Festival ‘OLTREilMARginE’ nasce con l’intento di presentare a Brescia, una delle città e provincie italiane con la più alta popolazione di immigrati, i principali protagonisti di quella che è stata chiamata ‘scrittura migrante’.
La letteratura scritta da immigrati in Italia esiste da oltre vent’anni eppure ha ricevuto attenzione solo di recente nonostante l’evidente contributo dato da questi autori al panorama culturale contemporaneo italiano. Oggi molti di questi scrittori non sono più immigrati, ma risiedono da tempo nel nostro paese, occupandosi con impegno delle tematiche sociali e politiche più urgenti.
La prima edizione del Festival ‘OLTREilMARginE’ è dedicata al Corno d’Africa e precisamente a scrittori provenienti da ex-colonie italiane, quali Etiopia, Eritrea e Somalia. NeI corso dei quattro appuntamenti del Festival, che si svolgeranno dal 11 al 14 novembre tra Brescia, Castenedolo e Borgosatollo, si parlerà di letteratura, immigrazione e colonialismo attraverso incontri con scrittori e studiosi di questi temi, la proiezione di due documenti video e uno spettacolo teatrale.
Conosco Marion Piras e la sua agenzia Inclinaisons dalla nascita della mia rivista Sud. In occasione del numero zero organizzammo infatti dei concerti presentazioni con Louis Sclavis, e il suo Napoli’s walls, a Procida e a Napoli. in occasione della presentazione ai giardini di Elsa Morante, vedere Louis al clarinetto duettare prima con Giuliano Mesa e poi Biagio Cepollaro è stata una delle esperienze più intense che mi siano mai capitate. Le ho così chiesto di farci raccontare dal sassofonista Francesco Bearzatti questa nuova creazione. A voi. effeffe
Malcolm semper Malcolm. Così recita una composizione di Archie Sheep ed è con Archie Sheep che ho visto per la prima volta Malcolm X in foto. Non ricordo più in quale enciclopedia del jazz o altro ma ricordo di esserne rimasto terribilmente colpito. Correvano gli infuocati anni ’60 e quei due personaggi fotografati assieme rappresentavano il coraggio, l’intelligenza, la rabbia e la potenza di quel movimento che stava per incendiare i ghetti neri e le strade di un paese democratico solo in apparenza.
di Fabrizio Tonello
Il problema di Silvio non sono i nemici, ahimé spesso confusi e pasticcioni, bensì gli amici: l’avvocato Ghedinescu giova alla sua immagine pubblica? E, quando si presenta in tribunale con una goccia di sangue all’angolo della bocca, risolve i guai giudiziari del presidente del consiglio? C’è chi ne dubita (lo stesso Berlusconi, ultimamente).
Tuttavia Ghedinescu appare come un fiero paladino, Orlando a Roncisvalle, se messo a confronto con quelli di Libero che, nella loro difesa del Satiro-in-Chief, rischiano di farlo finire a presto presto a Rebibbia, con la chiave della cella buttata nel Tevere… Inizia Maria Giovanna Maglie, che domenica 31 ottobre si esercitava in svariate colonne di contorsionismi sotto il titolo: “Da moralista incallita vi dico: la sinistra sfrutta le donne del Cav”. E cosa diceva la Maglie? Il presidente del Consiglio “ascolta i problemi personali delle signorine che gli portano a casa e in villa, le sfama, spende quattrini, fa regali, spesso senza favori sessuali in cambio…”
“Spesso”. C’è scritto proprio così: “spesso senza favori sessuali in cambio”. Ora, se c’è uno “spesso” c’è anche un “qualche volta”, giusto? Se Ghedinescu va dal procuratore di Milano a dirgli “il mio cliente invita a cena (ecc. ecc.) delle signorine spesso senza favori sessuali in cambio” la domanda seguente è: “Scusi, avvocato, e le altre volte?”. Forse Ghedinescu dovrebbe spiegare alla Maglie che “favori sessuali in cambio di denaro o di altra utilità economica” (per esempio gioielli, auto e regalie varie) ricadono precisamente nell’ipotesi di reato di cui all’ art. 600 bis del Codice Penale, intitolato “Prostituzione minorile”.
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di Chiara Valerio
Di Vendola mi piacciono l’intelligenza e le parole. Pure i suoi capelli brizzolati. Mi piace perché ha capito, con Deleuze e Guattari che non ci manca la comunicazione, ne abbiamo anche troppa, ci manca la creatività. Ci manca la resistenza al presente. Mi piace, di Vendola e dei suoi, la fiducia nella lingua italiana, nella sua possibilità di dire le cose con un gergo che non sia né calcistico, né da talk show, né d’appendice e che, al contempo, tenga insieme il gioco, la fossa alle grida, i bisogni, gli affetti. Appartengo a una generazione che ha dovuto ingoiare l’intuizione dalemiana per la quale la politica è una questione da tecnici e che ha quindi visto le sezioni ex Pci scolorire per essere rimpiazzate dalle sezioni di partiti di centrosinistra, di “ma anche”, o da quelle della destra, più o meno sociale, più o meno nera.
Ho visto perciò le aspirazioni e le intenzioni e quindi le parole della politica diventare evanescenti in un mondo di cemento. Siccome sono nata alla fine degli anni Settanta e mi piace la fantascienza ho visto anche cose che voi umani non potete neppure immaginare, le porte di Tannhäuser, le lacrime nella pioggia… Mi fido di Vendola e dei suoi perché parlano e pensano con le subordinate restituendo così al linguaggio politico la possibilità dell’analisi del periodo. Perciò quando ho visto l’annuncio dei Comizi dell’Amore ho messo da parte il mio intransigente scetticismo e ho letto la declinazione dell’amore di Sinistra e Libertà. Questa Italia invece continua a vivere e credere che ci sia la possibilità di una nuova narrazione. Un comizio d’amore è la somma delle parole su cui si vuole costruire il nuovo vocabolario. E ci sto. Perché ha diritto a raccontare solo chi, se racconta, racconta meglio di chi ascolta. E perciò penso che una parte della nostra sinistra debba lasciare spazio a Vendola e ai suoi.
di Mario Fortunato
Paradossi di fine estate. I giornali italiani fanno a gara a pronosticare quale sarà il capolavoro letterario dei prossimi tempi. I più cosmopoliti puntano su Jonathan Franzen e il suo romanzo Freedom, appena uscito negli Usa e molto osannato dal «Time» che gli ha dedicato una copertina. Il guaio è che Einaudi – l’editore italiano di Franzen – lo pubblicherà solo nel febbraio 2011 e il lettore nostrano, che perlopiù non legge in lingua originale, per ora non può certo esprimersi. Sarà anche per questo motivo che un’altra frazione mediatica (per esempio il «Corriere della Sera») indulge al prodotto autoctono e così giura sul testo a cui sta lavorando Alessandro Piperno. Sarà lui l’autore del prossimo romanzo che metterà le braghe al mondo?
Stando a un vecchio mito circolante tra gli scrittori, ci sarebbero romanzi che reclamano d’essere scritti. Vale a dire, romanzi in cerca d’autore. Questo genere di romanzi, il cui grado di diffusione non è dato conoscere, risparmierebbe agli scrittori l’incombenza per nulla secondaria di trovare un buon argomento intorno al quale imbastire una storia. In pratica funzionerebbe così: lo scrittore se ne sta tranquillo per i fatti propri senza spremersi troppo le meningi, finché un bel giorno il romanzo bussa alla porta della scatola cranica esigendo d’essere scritto; a questo punto lo scrittore non ha che da mettersi all’opera, eseguendo le indicazioni impartite. Illusoria o veridica che sia, è una visita che qualunque scrittore almeno una volta nella vita ha ricevuto. Naturalmente sarebbe più giusto chiamarla sensazione. Volendo, si potrebbe arricchirla, questa sensazione, di un attributo, come ha fatto Javier Cercas, che ha giustappunto definito «sensazione presuntuosa» la visita da lui ricevuta il 23 febbraio 2006.
di Chiara Valerio
Niente mappa delle strade. Bussola da tasca. Un perfetto labirinto. Strette. Chiuse, serrate. Se uno almeno potesse salire in alto sarebbe facile capire come uscirne. Se uno potesse arrampicarsi su un albero. Sovrastare il labirinto. Ma no. Strade senza nome, non meno anonime dei sentieri naturali che attraversano i boschi. Niente numeri. Niente di niente. Herman Melville. Ho sempre avuto una grande passione per i libri di avventura. Come credo tutti i bambini. Sono stata a Tortuga, nella giungla indiana, ho viaggiato sul Generale Grant e su una zattera sul Mississippi, ho assistito al mio funerale, e sono stata il Signore delle Mosche, sono andata fino Al faro e cavalcato il Fortunadrago, ho rinunciato all’anello del potere, ho sposato Wilhelmina Harcker, in due età diverse, e anche Lestat. Ho avuto una bussola, una mappa, un bastone da passeggio, un vestito da principessa e uno da Piccolo Lord. Ho impugnato una spada. Mi sono svegliata scarafaggio. Nonostante da bambina avessi atlanti, libri ed enciclopedie a disposizione, un microscopio e un cannocchiale e mi servissi di tutto con frenesia per visualizzare particolari sociali, geografici, celesti o entomologici, c’era sempre qualcosa che, rimanendo indefinito, permetteva alle mie paure, alle mie esitazioni, alle mie emozioni e ai miei bardi abbrivi di fare eco nella testa, di replicarsi. C’è qualcosa nei libri di avventure che è sempre anche qualcos’altro. I sentimenti che uno prova, suo malgrado, in questa città, ne guastano la bellezza. Chateaubriand. Da quando ho in mano Il romanzo di Costantinopoli (Einaudi, 2010) di Silvia Ronchey e Tommaso Braccini sono tornata la bambina dei romanzi di avventure alla quale sfugge (assai più di) qualcosa.
[immagine tratta da qui]
Flusso n° 4 (o Il canto della disperazione quotidiana nel Reparto di Rianimazione-Terapia intensiva coronarica)
di Alberto Figliolia
la situazione deve precipitare perché si aggiusti
al cielo aperto e azzurro succedono le nubi e non c’è coerenza in quest’alternarsi
ogni giorno conto una serie di incidenti esistenziali
anche a me ne capitano di frequente
e non è meglio che uno scontro fra motorini con guidatori invisibili e feriti veri
so che mio padre non vivrà per sempre
e lo stesso accadrà a mia madre
Facciamo Poesia di strada dal 1998. Negli anni il premio si è arricchito di un albo di selezionati veramente significativo, vantando vincitori come Maria Grazia Calandrone, Italo Testa, Massimo Sannelli e Marco Giovenale. Per partecipare non occorre quota alcuna. Basta mandare 3 testi (non più lunghi di 30 versi) via email a poesiadistrada@email.it entro il 14 novembre, con i propri dati e l’autorizzazione al trattamento. I dieci autori che verranno selezionati concorderanno con la giuria un testo che verrà “trasportato” e interpretato su tela da un artista visivo (per questo il limite dei 30 versi); così le poesie scelte se ne andranno in giro a essere lette/viste in librerie e altri luoghi di cultura e durante eventi e manifestazioni. Per i dieci finalisti anche una bella festa a dicembre, a Macerata. Infine: la pubblicazione, con intro critica dei giurati (che quest’anno sono Cristina Babino, Maria Grazia Calandrone, Massimo Sannelli, Alessandro Seri, Marco di Pasquale e Renata Morresi).
Per saperne di più e scaricare il bando andate qui: www.licenzepoetiche.it
In Every Dream Home a Heartache / Roxy Music. 1973
di Franco Buffoni
Particolare il destino critico di E. E. Cummings. Sino all’inizio degli anni settanta per un critico letterario anglosassone era d’obbligo pronunciarsi su di lui. Con simpatia per i suoi funambolismi verbali e grafici, o con profondo disprezzo per la loro “futilità” o “inutilità”. Ma se ne parlava. La critica avversa cercava di dimostrare come nella sua opera non vi fosse evoluzione alcuna, o maturazione, progresso. Come, in sostanza, non vi fosse apporto degno di nota sul piano semantico alla lingua inglese, tale da giustificare l’oscurità delle trasgressioni sintattiche e grafiche.
I critici amici invece parlavano di effetto-jazz, di polilinguismo, di ricchezze vernacolari e di idioletto, configurandoli come l’espressione più coerente della sua ideologia anarchica.
Dalla seconda metà degli anni settanta in poi, su E. E. Cummings pare – in proporzione – essere calato il silenzio critico. Anche gli imitatori, i proseliti, i giovani che alla fine degli anni sessanta ancora istoriavano i loro quadernetti – e persino le pagine di qualche rivista – di poesie alla maniera di Cummings, sono completamente spariti. Può essere allora opportuno chiedersi: quando parliamo di sperimentalismo o di avanguardia in Europa – e, specificamente, in Italia – intendiamo la stessa cosa che intendono negli Stati Uniti?

di Franco Buffoni
Mentre da Corrado Benigni ricevo questa emblematica foto, da lui stesso scattata negli Stati Uniti qualche settimana fa a Nashville (!), Enzo Cucco mi invia questo agghiacciante documento sulla condizione degli omosessuali in Uganda:
di Davide Racca
endlich,
heftig,
längst.
P. Celan

È uscito di recente, nella collana Metra, il libro POESIE 1973-2008 di Giuliano Mesa (edizione LA CAMERA VERDE, Roma 2010, testo introduttivo di Alessandro Baldacci). In questo bellissimo manufatto (curato da Giovanni Andrea Semerano) sono raccolte Schedario, Poesie per un romanzo d’avventura, I loro scritti, Da recitare nei giorni di festa, Quattro quaderni, chissà, Tiresia, e nun (opera in corso, con alcune sezioni scritte dal 2002 al 2008).
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