di Franco Buffoni
Brodsky conclude con una preghiera al visitatore la sua introduzione al catalogo della mostra L’altra Ego tenutasi a Torino, presso la Mole Antonelliana, nell’ottobre dell’89. L’esposizione era principalmente dedicata ad illustrare le figure dei partner dei poeti da Baudelaire a Pasolini, e Brodsky – fresco premio Nobel – era stato invitato ad illustrarla come poeta strettamente legato all’arte della fotografia. Ebbene, Brodsky non imperniò – e soprattutto non concluse – il suo scritto facendo riferimento al dato tecnico: l’importanza della invenzione della fotografia per quanto attiene la costituzione e l’evoluzione dell’immaginario del poeta; bensì travolse il lettore-visitatore sul piano sentimentale: “Osservateli non tanto con curiosità quanto con gratitudine”.
Gratitudine per avere scritto quelle poesie. Poi, certamente – e Brodsky ne dava subito atto – era intrigante vagare sulla piega del mantello di Catherine accanto a Valéry a Vence nel 1922, o sul sorriso spavaldo-imbarazzato di Christopher accanto a Auden. Tuttavia ciò che contava erano i testi, soltanto i testi. Persino lì, dove si parlava di fotografia. E ai poeti si doveva gratitudine per averli scritti. Dopo, solo dopo, veniva tutto il resto.














