Nota di lettura
di
Francesco Forlani
su La battuta perfetta di Carlo D’Amicis
C’è uno strano film, del 1966, Due marines e un generale, diretto dal regista Luigi Scattini e che vede, come protagonisti Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. Strano perché ad un certo punto, con una parte tutt’altro che secondaria, scopriamo Buster Keaton. Il quale, nei panni di un generale della Wehrmacht, da gigante del cinema muto, non dirà una parola. Solo una battuta, insieme sorprendente per i nostri comici, e terribile, nel finale della scena proposta qui in ouverture: Thank you. Dice.
Due anni prima, nel 1964, Buster Keaton aveva interpretato, O, il personaggio protagonista di Film, unica prova cinematografica di Samuel Beckett che ne aveva firmata la sceneggiatura. Film, privo di sonoro, e con un’unica battuta: «Shhh!» che nella parte iniziale l’autore fa dire a una signora appena travolta da Keaton, per zittire il compagno che vorrebbe reagire. La fortunata formula di Berkeley, “Esse est percipi” era stata la parola chiave dell’esperimento, certo poco capito all’epoca, del grande drammaturgo irlandese: “essere è essere percepito, sentito, visto. E allora perché rinunciare al silenzio se il silenzio può farci sentire quello che sta accadendo? Se può darci l’illusione di essere percepiti?
La battuta perfetta, di Carlo D’Amicis (1964) si apre sulla troupe di Pasolini che sta girando a Matera, terra d’origine del protagonista, Canio Spinato, in quello stesso anno, il 1964, il Vangelo secondo Matteo.
Il padre di Canio, Filippo, che sarà assunto alla RAI pochi anni dopo,” faccia da stronzo, da democristiano”, quando da Roma riesce a tornare in famiglia, se ne sta rinchiuso nel suo studio. Al figlio che vive quel mutismo come un lutto, si limita a spiegare:
il silenzio è ascolto. Dicevi. ma io non sentivo niente. Il silenzio è verità. ma a me sembrava chiaramente una bugia.









Corrado Benigni dialoga con Davide Ferrario

