di Giacomo Sartori
[ritaglio i paragrafi che seguono da un testo più lungo; il titolo è posticcio]
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Il problema dei castelli, specie in caso di guerra, o anche solo appunto di notte, è entrarci. C’era sì un grande portale al termine di una salitina, che si intuiva essere stata un ponte levatoio, ma era drasticamente sbarrato. E a parte quell’entrata impenetrabile sembrava che ci fossero solo alte mura da tutte le parti. Ci sarebbero volute lunghissime scale di corda o di legno, una macchina da guerra, una catapulta, uno di quei marchingegni con i quali si assaltano i castelli. Ma noi non avevamo quel genere di attrezzatura. Avevamo solo il telefono di Marinella, che non prendeva. Cercando però nella penombra siamo incappati in un altro varco, e perfino una porticina che portava a un cortile adibito a parcheggio. Ma anche dopo quello spiazzo venuto a patti con la modernità le mura restavano pur sempre verticali e altissime. Poi per fortuna nella notte medioevale sono spuntate delle voci. E una delle voci era quella franca e decisa ma anche affabile del castellano. Insomma, il figlio del. Si muoveva nella notte con disinvolta agilità: si vedeva che era abituato da sempre a quel genere di penombre.
A forza di porticine e scale di pietra e corti interne è apparsa qualche fioca luce elettrica. Le facce si sono allora rivelate per le facce che erano. Come c’era da aspettarsi il giovane castellano aveva un nobile naso arcuato e due patrizi occhietti che sembravano guardar fuori da un quadro del rinascimento.












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