[Pubblico su NI un saggio che è scomparso sul numero d’esordio di una rivista specialistica, “Trivio”. Avrei dovuto scrivere “apparso”, ma così non è. Tale rivista è rimasta un’entità fantomatica, di cui né io né altri collaboratori al numero zero hanno mai avuto esperienza tangibile. Ora grazie alla rete, seppur inadatto per lunghezza alla lettura a schermo, questo lavoro può fare una sua breve (ri)apparizione. a i ]
di Andrea Inglese
1. Un fenomeno lievemente aberrante
La critica italiana pare intenta a interrogarsi con sempre maggiore costanza su di un fenomeno lievemente aberrante: la poesia in prosa. In qualche modo, si è ormai giunti a prendere atto che nella poesia, come genere letterario specifico, sono rintracciabili dosi massicce di prosa. Tale fenomeno, ovviamente, non può che destare una certa inquietudine in un’attività seconda, come quella del critico, che nella partizione prosa-poesia ha uno dei suoi presupposti fondamentali. Ma è anche vero che i critici più temerari, forse spinti sanamente da un principio difensivo, si sono decisi a mettere le mani in tale spinosa vicenda. Risulta comunque chiaro che se la poesia ha già perso di prestigio durante la fine del secolo scorso, almeno secondo i criteri oggi dominanti del mercato editoriale, essa tende almeno a garantirsi una sua posizione incrollabile, in termini di identità di genere. La poesia sarà di pochi e per pochi, ma esiste indubitabilmente, ha una fisionomia di genere inconfondibile, mantiene una sua identità forte. Fino a che, almeno, non cominci a divenire indistinguibile dalla prosa.











