di Marco Rovelli
Io, Marilyn Monroe, Shakespeare, Francis Bacon e la bellezza, dopo l’annuncio del grande onanista
di Massimo Rizzante
Vorrei sapere chi è stato a un certo punto della Storia, sul finire del XX secolo, a decretare che “Happy days”, la serie televisiva americana degli anni Settanta, ci abbia formato nella nostra adolescenza più della lettura, a volte faticosa, a volte verticale, dei romanzi di Dostoevskij, o a stabilire che una ballad dei Pink Floyd, grazie alla quale i nostri desideri immaturi si accendevano per qualche minuto come falò benigni in mezzo alle sparatorie del Belpaese della Politica, abbia avuto allora lo stesso peso della nostra lettura di una tragedia di Shakespeare…
Nessuna pietà per i corpi
Fra il 16 e il 22 ottobre scorsi, il corpo di Stefano Cucchi scompare. La sua identità è sempre intatta — 31 anni, arrestato la notte del 15 ottobre per possesso di stupefacenti — ma la vista del suo corpo è negata alla famiglia e a chiunque altro. Il padre, la madre e la sorella lo vedono per l’ultima volta in Tribunale, il 16 ottobre, alle nove di mattina. Notano già le ecchimosi sul volto. Di lì in poi, scompare. Il 22 ottobre viene recapitata ai parenti la notizia da parte dell’ospedale Regina Coeli: Stefano Cucchi è morto.
Lui diceva di essere “caduto dalle scale”. La procura di Roma indaga per omicidio preterintenzionale da parte di chi l’ha avuto in custodia e, verosimilmente, l’ha ammazzato di botte.
Le foto — e ha ragione Adriano Sofri quando dice che nessuno può permettersi di parlare di Cucchi senza averle viste — sono qui. E sono agghiaccianti.
Quanto alla verità sull’accaduto, non resta che attendere l’esito delle indagini. Ma sull’implausibilità di tesi insabbiatrici, basta già leggere questo articolo.
Tutto getta una luce orribile sulla presunta sicurezza in cui siamo avvolti, sul presunto grado di garanzia di una fetta delle forze dell’ordine, sulla cultura che ha informato tale fetta — e vi invito a leggere il bel pezzo di Marco Mancassola al riguardo.
Ma c’è dell’altro.
Quanto costano le fotografie di Stefano Cucchi
di Piero Sorrentino

Può darsi che le foto di Stefano Cucchi da morto servano a dare a quel giovane la giustizia che non ha avuto da vivo. Quegli scatti atroci che annodano le viscere in un pugno stretto sotto la pelle dello stomaco hanno fatto il giro della Rete, dei quotidiani e delle televisioni. Come per l’omicidio di Neda, la giovane iraniana uccisa nel corso di una manifestazione contro il regime, quelle immagini hanno smosso sentimenti e coscienze, facendo alzare alte le grida di chi non riesce a guardarle senza un moto di pietà, o un sussulto di umanità, di dolore, un brivido di fronte a quelle ossa rotte, quella carne tumefatta.
Ma quelle foto (la loro diffusione pubblica) sono un errore, oltre che un orrore. E non è tanto il contenuto delle immagini a caricare di pericolo la pubblicazione di quegli scatti. Non siamo solamente al cospetto di una fotografia terribile che fa deviare gli occhi dallo schermo, o fa coprire gli occhi dei nostri figli qualora si trovassero a transitare nei dintorni mentre le stiamo guardando. Siamo in presenza di una modalità comunicativa che fa del “vedere tutto” un pericoloso precedente.
La poesia nera di Alan D. Altieri

di Mauro Baldrati
Per parlare dell’ultimo libro di Alan D. Altieri, Hellgate (Tea, 2009), bisogna fare una riflessione sulla violenza e la sua rappresentazione. La violenza è ormai parte del nostro quotidiano, esce con enfasi e autocompiacimento dai telegiornali, che sono zeppi di cronaca nera che viaggia sui particolari macabri, sulla violenza verbale degli aggettivi (massacro, strage, sgozzato, ecc), e si basa su un presunto voyeurismo dark del pubblico al quale fornisce nutrimento. La violenza rappresentata dalla televisione, e con altri stili dai giornali, è brutta, volgare, perché deriva dal tentativo di spettacolarizzare il dolore che sta dietro gli atti criminali, spesso causati da un livello intollerabile di aggressività. Cerca di spettacolarizzarlo attraverso la sua riproduzione, la moltiplicazione, restando così dentro la violenza, senza neutralizzarla né superarla.
Riccardo non piange più
[ Balthus – pseudonimo di Balthasar Kłossowski de Rola, 1908 – 2001 ]
di Paolo Rou
Non c’era da aver paura, hai visto, Riccardo? Mamma Adele è gentile, ci ha fatto entrare anche se pareva sorpresa. Le imposte erano oscurate, certo per via del sole, te l’ho spiegato che rovina i mobili. Mamma Adele ha molta cura della casa.
Abbiamo sentito spegnersi la radio, entrando, quella radiolina in cui Mikula si perde, ci sta attaccata su e ci si dondola. Sono i momenti in cui è più calma. Hai cominciato a tremare, perché il silenzio della casa significava che Mikula sarebbe venuta, o che era acquattata dietro qualche credenza a osservarci. “Non ti preoccupare, Riccardo” ti ho tranquillizzato, “Ora chiamiamo Mikula e vedrai che non ti fa niente”. Ci avevo messo tanto a convincerti, non si poteva rovinare tutto.
Autismi 14 – Il mio migliore amico (2a parte)
di Giacomo Sartori

Poi i nostri incontri hanno cominciato a rarefarsi. Io lavoravo all’estero, e lui frequentava persone che manco conoscevo: molti dei suoi nuovi amici erano bevitori professionisti come lui. Remava di lena verso il traguardo delle trecentoundicimila lattine di birra e delle centoquarantasettemila e cinquecento sigarette. Lo cercavo, ma lui rinviava, si presentava agli appuntamenti in compagnia di altri tizi, mi tirava dei bidoni. Qualche volta mi chiedeva dei soldi, e poi si dimenticava di restituirmeli. Non ero più in una posizione privilegiata, mi accorgevo. Ma non demordevo. Spesso tornavo nella nostra città solo per vedere lui, e aspettavo invano. Avevo fatto migliaia di chilometri per niente. Più spesso mi dedicava i dieci minuti prima che partissi, nel suo stile più economico, più sbrigativo. Dieci minuti molto intensi, quel tanto da tenermi al guinzaglio, da avere l’impressione di essere lui a gestire la cosa.
CONFRONTI A DISTANZA
di Franco Buffoni
Mentre in Italia un Parlamento di nominati boccia la proposta di legge presentata da Paola Concia, divenendo così oggettivamente complice di chi istiga odio e violenza nei confronti degli omosessuali (violenza fisica e violenza morale sono strettamente connesse: non si può pensare di condannare l’una e giustificare allo stesso tempo l’altra), negli Stati Uniti in data odierna Barack Obama ha firmato una legge specifica contro le violenze nei confronti dei gay.
Il testo prende il nome da Matthew Shepard, studente di college torturato e ucciso da due bulli nel 1998, e da James Byrd, un uomo di colore che nello stesso anno fu legato a un’auto e trascinato per diversi chilometri a Jasper, in Texas.
Con la nuova legge le violenze contro i gay vengono accomunate a quelle scatenate da motivi razziali, religiosi e etnici. Ogni anno sono oltre mille negli Stati Uniti i crimini commessi sulla base della discriminazione sessuale.
La firma di Obama conclude una lunga battaglia da parte delle associazioni per i diritti dei gay, da ultima la Human Right Campaign, l’organizzazione davanti alla quale il presidente ha parlato poche settimane fa.
Come vendicarsi di Villa Gadda
di Marco Belpoliti
Piffete e puffete e “tu ne giungi felicemente a Breanza”. Sul treno, “ferrocarril” delle Ferrovie Nord, ci s’imbarca a Piazzale Cadorna, in Milano, direzione Asso, fermata Erba. Qui si scende per risalire su un autobus – allora non c’era – destinazione Longone al Segrino. Pochi minuti ancora, e si sbarca davanti alla più famosa casa della letteratura italiana del Novecento: Villa Gadda. Un casone squadrato, appoggiato appena alla collina, con archi sul davanti, due grandi e due piccoli. Niente di particolare, anzi piuttosto ordinario, molto meno elegante dei villini, ville rustiche, chalets svizzeri e delle residenze liberty che nel medesimo periodo avevano invaso la zona, in cui veniva su la Villa in Brianza edificata da Francesco Gadda, con l’intento esplicito che i ragazzi “crescessero sani, vigorosi, allegri, sotto il portico; le logge fatte per aerare la casa, la terrazza per il fresco di sera, dopo il lavoro”.
100 Locandine d’artista alla Camera Verde
Il Centro Culturale LA CAMERA VERDE
presenta
JEU D’ŒUF: Pour violer les solutions régulières il faudrait bien naître
a cura di
Giovanni Andrea Semerano
Sabato 31 ottobre 2009 – Roma
dalle ore 18.00 alle ore 21.00
nell’ambito del decennale del Centro Culturale La Camera Verde
vengono presentate le prime cento Locandine d’Artista
Gli artisti:
TransAvanguardia

Barbie Amanda Lepore (la muse transexuelle de David Lachapelle)
“La transavanguardia ha risposto in termini contestuali alla catastrofe generalizzata della storia e della cultura, aprendosi verso una posizione di superamento del puro materialismo di tecniche e nuovi materiali e approdando al recupero dell’inattualità della pittura, intesa come capacità di restituire al processo creativo il carattere di un intenso erotismo, lo spessore di un’immagine che non si priva del piacere della rappresentazione e della narrazione” (Achille Bonito Oliva, Artisti italiani contemporanei, Electa, Milano 1983).
Autismi 14 – Il mio migliore amico (1a parte)
di Giacomo Sartori
Il mio migliore amico nel corso della sua esistenza ha fumato trecentoundicimila sigarette e s’è bevuto centoquarantasettemila e cinquecento lattine di birra. Naturalmente non ha bevuto solo birra in lattine, perché s’è scolato anche un’infinità di birre in bottiglia, e soprattutto alla spina, e poi vino bianco e rosso, whisky, grappa, bourbon, slivowitza, vodka, sakè, martini, vermut, e vari altri alcolici puri o mescolati tra loro. Ma tradotti in lattine di birra il totale fa pur sempre centoquarantasettemila e cinquecento: i miei calcoli sono piuttosto precisi. Un po’ meno di cinquemila ettolitri di birra, pari a duecentocinquanta ettolitri di alcol puro.
Il mio migliore amico era fin dall’inizio quello molto brillante, io quello un po’ tarato. Capiva in qualche giorno le cose che io ci mettevo dei mesi, se non addirittura – potrei fare degli esempi precisi – degli anni.
Poesia ermetica

di Gianni Biondillo
Io ne’ anni danzai
Ahi! Col variare
marinavate usuali
(ah – le tre sirene –
le sole ingannavate!).
Allagata mi pentî,
andai anni ne’ ozi
– uff! Non fo’ braci –
in danze annoiai.
Calca non soffrire,
arena sorda
(salda, in genere,
immane si strozza)…
arbitra ove sono:
aromatico sorgi;
doni inni globali.
Andai in nazione,
non mi fece castrata,
non dico impeto
che lo perora: “Su!
macelli vorrò!”
Spio zona tiranna,
ritorno pensiero:
iena danza in noi!
Enrico Filippini, sintesi di movimento
di Michele Sisto
Nei primi anni sessanta Enrico Filippini è tra i protagonisti di un nuovo “decennio delle traduzioni”. Facendo squadra con la giovane casa editrice Feltrinelli e con il Gruppo 63 porta in Italia una schiera di nuovi autori di lingua tedesca non riconducibili all’idea di letteratura allora dominante, quella affermatasi col neorealismo. Tra questi soprattutto Uwe Johnson e Günter Grass (ma anche Enzensberger, Bachmann, Handke), che Filippini in qualità di editor per la narrativa pubblica nelle collane di Feltrinelli e spesso traduce personalmente, arrivando in alcuni casi a farne di persona la recensione sulle riviste della neoavanguardia. La sua è un’idea più larga del tradurre, che non si limita alla trasposizione di un testo da una lingua all’altra ma include anche l’intervento sul contesto, volto a creare le condizioni e le categorie interpretative indispensabili perché un testo che non risponde alle attese dei lettori e dei critici venga efficacemente recepito, attecchisca. Un libro, teorizza Filippini, conta e ha successo solo se ha un “prima” e un “dopo”, se è parte di un evento, di una “grande sintesi di movimento”. Una lezione dalla quale l’editoria può imparare molto ancora oggi. (M.S.)
[Cliccando sull’immagine si apre la modalità ‘schermo intero’, in alto appariranno le frecce per scorrere il testo.]
Lasagne al forno surgelate Findus e tutto l’amore
[ VideoVoce prodotto&confezionato dall’autore medesimo ]
di Paolo Sciola
stiamo insieme da 27 anni io
e dany ci vogliamo molto bene credo
con i soliti alti e bassi lei ha avuto
piccoli problemi di pressione e parentesi
localizzate d’alcolismo (le piacciono le cose
fatte bene quando riesce a farle taglia
le verdure a dadini perfetti per il minestrone)
ha avuto tre accidenti di figli nel frattempo
oltre me e una casa cui badare
sono stato abbastanza bene nella solitudine
abbastanza condivisa abbastanza insopportabile
ieri però stranamente ho dato via di testa
(mi capita sì e no otto nove volte l’anno
sono un tipo altrimenti equilibrato)
pop polar #1 – Giampaolo Simi
di
Giampaolo Simi
Mai stato uno di quelli che muove le dita nelle scarpe quando gli danno del noirista o del giallista. Non l’ho fatto quando pareva di ammettere uno stato di minorità culturale, né quando poi faceva figo dirlo, non lo faccio ora che viene avvertito di nuovo come riduttivo (questa volta non dai critici, nel frattempo estintisi, ma dagli scrittori stessi).
Ho anche partecipato a delle tavole rotonde sulla differenza fra il noir e il giallo che non sono terminate in suicidi collettivi per torpore comatoso.
Piuttosto, mi opprime l’idea di essere sempre in un dopo. È troppo tempo che stiamo tutti in un dopo qualcosa, come se non riuscissimo a pensare di essere prima di qualcosa e a guardare avanti.
Se parliamo di post-noir saremmo inoltre di fronte al post di qualcosa che a malapena c’è stato. Nessuno dichiara mai di credere alle etichette, forse per timore di somigliare a un farmacista pignolo. Io comunque credo alle parole, specie quando sono parole vive. E noir è una parola che avendo vissuto per più della metà del Novecento, ha conosciuto una certa stratificazione di significati. Ma mi sento di dire che quanto si è visto nel panorama italiano degli ultimi dieci anni, con questa parola, anche nel suo significato più estensivo, ha poco a che vedere.
La camorra alla conquista dei partiti in Campania
di Roberto Saviano

Quando un’organizzazione può decidere del destino di un partito controllandone le tessere, quando può pesare sulla presidenza di una Regione, quando può infiltrarsi con assoluta dimestichezza e altrettanta noncuranza in opposizione e maggioranza, quando può decidere le sorti di quasi sei milioni di cittadini, non ci troviamo di fronte a un’emergenza, a un’anomalia, a un “caso Campania”. Ma al cospetto di una presa di potere già avvenuta della quale ora riusciamo semplicemente a mettere insieme alcuni segni e sintomi palesi
Dalla A allo Zammù
Alfabeto Letterario
Lavieri edizioni e Gherardo Bortolotti
martedi 27 ottobre 2009, ore 19.30
Zammù
Via Saragozza 32/a – Bologna





