di
Giampaolo Simi
Mai stato uno di quelli che muove le dita nelle scarpe quando gli danno del noirista o del giallista. Non l’ho fatto quando pareva di ammettere uno stato di minorità culturale, né quando poi faceva figo dirlo, non lo faccio ora che viene avvertito di nuovo come riduttivo (questa volta non dai critici, nel frattempo estintisi, ma dagli scrittori stessi).
Ho anche partecipato a delle tavole rotonde sulla differenza fra il noir e il giallo che non sono terminate in suicidi collettivi per torpore comatoso.
Piuttosto, mi opprime l’idea di essere sempre in un dopo. È troppo tempo che stiamo tutti in un dopo qualcosa, come se non riuscissimo a pensare di essere prima di qualcosa e a guardare avanti.
Se parliamo di post-noir saremmo inoltre di fronte al post di qualcosa che a malapena c’è stato. Nessuno dichiara mai di credere alle etichette, forse per timore di somigliare a un farmacista pignolo. Io comunque credo alle parole, specie quando sono parole vive. E noir è una parola che avendo vissuto per più della metà del Novecento, ha conosciuto una certa stratificazione di significati. Ma mi sento di dire che quanto si è visto nel panorama italiano degli ultimi dieci anni, con questa parola, anche nel suo significato più estensivo, ha poco a che vedere.







Sabato 24 Ottobre 2009 


