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Napoli (on the road again)

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Napoli’s Walls, musiche di Louis Sclavis ispirate all’opera di Ernest Pignon Ernest

Ho partecipato in questi mesi a un bel progetto messo su da Massimiliano Palmese e che si intitola Napoli per le strade.
Il libro sarà presentato domani a Caserta. I lettori di NI conoscono molti degli autori presenti in questo progetto: Marco Palasciano, Peppe Fiore, Luigi Romolo Carrino, Angelo Petrella, Davide Morganti , Paolo Mastroianni ,Alessio Arena. Se siete nei paraggi fateci un salto.

9 GIUGNO 2009
ore 18.30
Officina Cutillo Architetti
via Cesare Battisti, 76 – Caserta

Presentano Adriana Merola e Massimiliano Palmese
Intervengono Raffaele Cutillo e Eugenio Tescione
Partecipano gli autori
Musiche Alessandro De Carolis e Pino De Martino

SONETTI DEL BADALUCCO

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Umbrarum fluctu terras mergente
Giordano Bruno, De la causa, principio e uno

di Gianni Celati e Enrico De Vivo

Io abito ad Angri, in provincia di Salerno, a una trentina di chilometri da Napoli. Ricorderò sempre una sera d’inverno, quando udii bussare al portone del nostro cortile, con forti colpi, come di chi avesse un’estrema necessità d’aiuto o uno stato di nervosismo incontenibile. Mi affacciai tenendo il portone socchiuso, e prima che potessi vedere chi bussava, mi trovai tra le mani un opuscolo dattiloscritto, dove lessi a malapena queste parole: “SONETTI DEL BADALUCCO NELL’ITALIA ODIERNA”.

Poco dopo, i due personaggi che avevano bussato al nostro portone, seduti in cucina, divoravano tutto ciò che mia moglie si affrettava a mettere in tavola. Si capiva che non avevano mangiato da  giorni. Io e mia moglie li avevamo sentiti mormorare con un filo di voce: “Siamo attori, veniamo da lontano. Non sappiamo più a chi rivolgerci. Scusateci. Potreste darci qualcosa da mangiare?”. Così diceva la delicata voce della signora Carlotta, moglie di Attilio Vecchiatto. E lui, anziano, emaciato, vacillante, con un cappello a larga tesa e un consunto mantello d’altri tempi, si fece avanti così: “Io sono l’attore Attilio Vecchiatto. Lei avrà sentito parlare di me, vero?”. Al che dovetti mentire in tutta fretta, dichiarandomi un suo appassionato ammiratore: “Chi non ha sentito parlare dell’attore Vecchiatto?”. Per fortuna non mi fece domande d’accertamento, dato che  non sapevo chi fosse, né che avesse conquistato la sua fama nel Sud America, poi a New York e infine a Parigi – ma mai in Italia, dove di fatto era sconosciutissimo.

Antichrist

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di Mauro Baldrati

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Sembra di essere tornati negli anni Settanta con l’ultimo film di Lars von Triers, quando filmakers e gruppi teatrali d’avanguardia proponevano performances che venivano accolte con fischi, insulti, contestazioni. Queste reazioni, talvolta anche cruente, erano parte della performance stessa, costituivano un modus comunicativo tra artista e pubblico, benché polemico e conflittuale.

Narra in quanto non può spiegare

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caos di Jacopo Guerriero

Di lui si potrebbe dire quello che di Federigo Tozzi scriveva Giacomo Debenedetti: «Narra in quanto non può spiegare». E certo questa poetica in negativo è già all’origine degli equivoci. La dichiarazione per il mistero e l’oltranza di ogni realtà che la scrittura non può mettere in fila ma che deve comunque inseguire. Immaginazione dinamica dei misteriosi atti nostri, la sola estetica che lo può riguardare.
Antonio Moresco raccoglie per Mondadori l’edizione integrale di Canti del caos (pp. 1072, 25 euro). E dopo quindici anni di lavoro -la prima sezione dell’opera era stata pubblicata da Feltrinelli nel 2001, la seconda da Rizzoli nel 2003- al termine della nuova, terza parte di questo romanzo mondo, smisurato e ambizioso, ci si accorge che un tentativo d’interpretazione ancora manca.
Motivazioni?

Messa Impiega

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di
Roberto Bugliani

talvolta sogna, ma di ville al mare,
veline compiacenti, ferrari sottocasa?
di certo no, che anche nei suoi sogni
è cauto e senza eccessi l’impiegato

e aver per sé non osa ciò che spetta ai capi

di timbri e bolli, di faldoni e carte
sogna nel sogno l’involarsi a schiere
così di colpo, assieme a mutuo e fitto
e l’assillo d’arrivare indenne a fine mese

La storia siete voi

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di Francesco Pecoraro

Possibile che io, che da quindici anni a questa parte non sarei più andato a votare, mi sia poi sempre sentito in dovere di andarci per votare contro quello lì?
Veltroni, l’ultimo che ho votato alle politiche, non l’avrei votato se non perché si «opponeva» a Berlusconi Silvio.
Anche quando ho capito che la differenza tra i due era minima, l’ho votato lo stesso, contro ogni mio istinto e contro ogni mia ragione.
Da quando ho avuto l’età per votare l’ho sempre fatto, tranne le penultime elezioni comunali di Roma che non ce la facevo a votare per Veltroni.
Però alle ultime, quelle vinte da Alemanno ci sono ri-cascato e ho fatto questo ragionamento: io voto Grillini, perché è gay e ateo, se per caso si va al ballottaggio voto Rutelli.

Articolo Tre comma P.- I comunisti dandy e le elezioni timide

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Dopo il post moderno ci rimaneva soltanto il post coitum
anonimo napoletano del ventesimo secolo

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Articolo suscitato da Andrea Inglese e dai CCCP

di
Francesco Forlani

Un’elezione timida si presenta all’elettore, immediatamente come Giano bifronte, autoreverse del pensiero, double face della nuova maglieria contemporanea. Della profonda umanità sembra infatti trasparire come punte di seni tra le maglie, attraverso il rossore provocato dall’imbarazzo del pensiero di fronte alla scelta di scegliere di fare, cosa che per delle ragioni storiche appare difficile realizzare. Eppure a quella timidezza, quasi sintomo di vergogna, sana, si accompagna rigidità di pensiero dell’inappetenza, impotente disincanto che ti obbliga a tenere la testa bassa e a cercare un segno, seppure timido di reazione. Le reazioni timide comportano allora una manifesta lucidità di pensiero e l’attraversamento in un balzo della lunga sequenza di immagini di altri tempi, quelli degli elettori forti e dei paesaggi da testa alta e petto in fuori. La consapevolezza infatti di “non è sempre stato così” irrora d’un colpo ogni singola venatura di linfa vitale che perfino quella che ci sembrava pietra marmorea e sepolcrale si adorna di muschio e cervello, fino ad apparirci cosa viva. Ecco allora che per il comunista dandy un’elezione timida oltre ad essere un sintomo della defaillance dell’idea e della politica, debolezza da pensiero moscio come i sorrisi dei faccioni sui manifesti della propaganda di stato, costituisce seppure timidamente un segno di rinascita, di speranza in un futuro radioso ancor più che televisivo, in cui riporre ogni segreta speranza. Timidamente rosso diventerà allora di fuoco, e dalle fiamme, lingue di baci e di carezze, risorgerà di nuovo, forte, tra i bagliori, l’inesorabile vigore del desiderio di amare il mondo.

à suivre I comunisti dandy e le elezioni anticipate (dette anche dei preliminari)

Diario dell’angoscia elettorale

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di Andrea Inglese

Ho notato che in periodi di miseria politica, come questo, coloro che hanno una vita sentimentale scadente, esibiscono atteggiamenti di scoramento violento, di condanna onnicomprensiva e totale. Riescono così bene a spiegarti l’orrore in cui viviamo, che l’autoimpiccagione domestica pare un’alternativa più degna della semplice astensione. Chi gode di una decente vita familiare, o addirittura di un’amore passionale, per non parlare di chi scopa scientemente per alleggerirsi la coscienza, dandoci dentro apposta nei periodi elettorali, ebbene costoro hanno una percezione del disastro più sfumata.

Ora che devo votare, e addirittura per l’Europa, io mi sento dentro un gran turbine di sentimenti; a volte, però, anche solo un gran vuoto. Potrà l’Europa salvarmi? Allungare un braccio legislativo, e imporre sobrietà e ragione, rendendo gli italiani moderni, capaci di tenere assieme le molte dimensioni del mondo attuale? O dai suoi palazzoni alti, con tutte le bandiere ammucchiate, spunteranno gli insidiosi gemelli polacchi, i Kaczynski temibili, inventando un modo ancora più efficace di rendermi superfluo, di mortificarmi, sotto parole d’ordine irresistibilmente schifose?

Il primo amore non si scorda mai

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Scurati, una teoria per ogni stagione
di
Carla Benedetti
da primo amore

Tre anni fa Antonio Scurati, autore di un romanzo storico, sosteneva che l’unica cosa che oggi uno scrittore può fare è scrivere romanzi storici. Oggi, autore di un romanzo su un fatto di cronaca, sostiene che l’unica cosa che uno scrittore può fare è misurarsi col tempo della cronaca.

È una mania tutta italiana quella di fabbricarsi dei piccoli teoremi storico-epocali per magnificare ciò che si fa. Teoremi di impostazione storicista, che pongono sempre la letteratura al traino dei tempi e della società, come se non fosse possibile scrivere in contrasto con lo spirito dell’epoca, e inventare vie diverse, impensate. Teoremi superficiali, che cancellano fette lancinanti di mondo, di energie insubordinate, di esperienze e di spinte altre che coesistono in uno stesso tempo .

20 anni dopo Tiananmen

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di Jan Reister

Vent’anni fa un ampio movimento della società civile cinese fu annientato duramente dalle autorità della Repubblica Popolare Cinese. Studenti, insegnanti, intellettuali e lavoratori di molte città cinesi presero a cuore le sorti del loro paese e rivendicarono il diritto dei cittadini a partecipare alle scelte politiche, sociali ed economiche. La classe dirigente cinese rispose con l’esercito, timorosa di subire la sorte dei paesi dell’Europa orientale che nel 1989 si stavano sgretolando uno dopo l’altro. Furono ammazzate centinaia di persone, incarcerate ed esiliate migliaia d’altre, le aspirazioni di un’intera generazione (della sua parte migliore) furono stroncate e deviate altrove con la forza.

Se qualcosa è accaduto….

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(incontro con i ragazzi dell’istituto di detenzione minorile di Palermo «Malaspina»)

di Evelina Santangelo

Scrivo queste riflessioni, qualche ora dopo l’incontro, con una stanchezza addosso che non avevo sentito mentre mi trovavo lì, davanti a quei venti ragazzi circa, seduti nel laboratorio.

Torno con il pensiero oltre i cancelli, oltre le serrature a doppia mandata. Alcuni ragazzi se ne stanno muti, immobili, in fondo alla stanza, altri, i più vicini, hanno le facce atteggiate a una proterva spavalderia. Alle pareti, le domande e le riflessioni emerse durante la lettura di alcuni brani del mio ultimo romanzo, Senzaterra.

Non so bene da dove cominciare, adesso che mi trovo lì dentro (mai ho percepito la preposizione dentro con una tale evidenza, e concretezza) con quei ragazzi che non lasciano trapelare granché.
«Incontri ravvicinati tra extraterrestri», mi viene da pensare, mentre fatico alla ricerca delle parole che possano intanto colmare la distanza che all’improvviso sento crescere tra me e loro.

Attaccali anche tu!

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Eroico campano
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Oggi dalle 10,30 Rosaria Capacchione scenderà in strada con un gruppo di sostenitori per affiggere i manifesti elettorali in seguito alle ripetute minacce subite dagli attacchini (appuntamento ore 10.30 a piazza Vanvitelli – Caserta)
Evvai Rosaria!
effeffe

A babbomorto

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di Anonimo Transiberiano

La connivenza a tanto ci ha ridotto
che ci manca un paese sotto i piedi:
vagoliamo nel vuoto pneumatico

dell’etere: il brianzolo imbonitore
e i suoi satelliti hanno fatto strame
e lupanare. Sul giubbotto anti-

proiettile ad personam veste solo
decreti d’alta sartoria: sotto
il reo è nudo e dà di sé spettacolo.

Piccolo padre di anime morte
(babbino nelle vecchie traduzioni)
oggi intronato papi della patria

– la connivenza a questo ci ha ridotto.

da “Le qualità”

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nuova-immagine

di Biagio Cepollaro

(work in progress, 2007- )

8.

talvolta nella doccia l’acqua
scorre con una piccola
promessa di rinnovamento.
l’occhiata verso il corpo
in verticale
a scorgere il trattamento
del tempo sui muscoli sulle giunture
in verticale
una veloce ricognizione
dell’usura

La punta della lingua 2009 (festival di poesia)

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[Editoriale + Programma Ancona 4-14 giugno]

di Luigi Socci (direttore artistico)

Poesia sì, poesia no, poesia nì, poesia boh. In un servizio del tg3, dedicato a Enzo Biagi all’indomani della sua scomparsa, il grande giornalista, in un’intervista di repertorio, rispondendo a una precisa domanda sulla libertà, così si esprimeva: “La libertà è come la poesia: non deve avere aggettivi, è libertà”. Parole importanti, parole sante, parole grosse. Ma anche parole giuste? Intendiamoci, vada per la libertà, specialmente per quella di stampa, valore universalmente condiviso oltre che garantito dalla nostra Costituzione. Ma per quanto riguarda la poesia, siamo proprio sicuri che il divieto di aggettivarla, con la conseguente sacralizzazione che ne deriva siano un valore in assoluto? Incorreremmo in deprecabile relativismo se ci dovesse capitare di utilizzare espressioni come poesia lirica o poesia epica, pura o comico-realistica, poesia su commissione o d’occasione? Ne incrineremmo la cristallina purezza praticando composti come video-poesia, prosa poetica o poetry slam? Le mancheremmo di rispetto se ci uscissero, inopinatamente, dalla bocca, attributi come classicheggiante, civile o sperimentale, orale o scritta o, addirittura, bella o brutta?

NEUKÖLLN – KOTTBUSSER TOR

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di Davide Racca

.

NEUKÖLLN
.
.
Nella vetrina di lapidi il barboncino –
crepuscolare – dorme …

Si vende
con la morte – ci metti pure
l’insegna lunare …
La donna – in bianco di crisantemi
– la vita tarlata, vende – banane
nere – latte
e telefonate – senza articoli
da consegnare
alla grammatica tedesca –

Dal suo imbiss
un turco sta
– davanti al bolo di manzo
in forma di sidro

Dove corpi arrancano – fino
ad una lingua elementare, un taglio
di carne cade – e per il giorno
affila i suoi coltelli.

Boris Pahor: qui è proibito parlare

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di Antonio Sparzani
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Non so mai bene come cominciare una recensione a un libro che mi è particolarmente piaciuto e che per questo motivo desidero indurre altri a leggere; alla fine mi dico che la linea migliore è quella di raccontare come è accaduto a me di conoscere e amare quel libro. Questa volta è andata così, che il 9 febbraio scorso ho ascoltato, come varie altre volte, soprattutto se sono in auto, Fahrenheit, la trasmissione pomeridiana di radiotre, libri e idee. Quel pomeriggio Marino Sinibaldi, conduttore storico della trasmissione, un po’ gigione ma simpatico e molto informato, incontrava Boris Pahor, per parlare (qui per risentire l’intervista) del suo libro appena uscito in Italia col titolo Qui è proibito parlare; lo aveva già incontrato per parlare di Necropolis, il suo libro più famoso, sull’esperienza dell’autore nei campi di concentramento nazisti (Dachau, Bergen-Belsen e altri). Ma quella volta non mi era capitato di ascoltare la trasmissione.
Questa invece mi ha subito attirato non appena ho sentito che la storia era ambientata a Trieste, città per la quale, per ragioni profondamente oscure, provo un interesse e un’emozione smodatamente appassionati.

le quattro stagioni di Jonathan Littell

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di Chiara Valerio

Ma chi dice conversazione dice scena, è una convenzione del genere. Quindi la conversazione si svolge in un parco, sulle rive di uno stagno grigio, nel frastuono delle automobili e dei tram che passano proprio accanto, tra due file di alberi alcuni dei quali castagni, riconoscibili dalle foglie a forma di melanzana e soprattutto dalle castagne sparse al suolo. Quando rileggo Jonathan Littell, o lo leggo ex novo, come mi capita oggi con questi Studi (nottetempo, 2009) mi accorgo di quanto la sua penna sia capace di mutare il plausibile in artificiale, il reale in razionale, e nel contempo di rendere le costruzioni autentiche.

In questo libro ci sono quattro saggi. Uno per ogni stagione dell’anno, ognuno composto in un anno diverso, il primo nel 1995 l’ultimo nel 2002. Non ci sono nomi, solo lettere maiuscole e puntate e problemi, numerati come nei sussidiari elementari, da uno a due, con quattro soluzioni, numerate esse pure, da uno a quattro. C’è una discussione sul genere neutro in francese e in inglese e Non c’è che dire, il sole è pieno di bontà per le povere cose di questo mondo.

Parlare della Germania

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di Martin Walser

traduzione di Marina Cantoni

(Estratto)

Si è in grado di valutare in un secondo tempo le immagini dell’infanzia o addirittura si è obbligati a farlo, oppure ci si può abbandonare semplicemente per sempre a questo flusso ricco di ricordi? Ho la sensazione di non potere trattare i ricordi a mio piacimento. Ad esempio non mi è possibile modificarli tramite le conoscenze che ho acquisito nel frattempo. Il ricordo torna a un periodo che fu terribile, come ora so. Ogni volto del partito, ogni figura militare, ogni insegnante e ogni volto visto da vicino esprime l’appartenenza a quel periodo, eppure da solo non mostra l’atrocità. È il caso di una persona che tra i sei e i diciott’anni non si è accorta di Auschwitz. L’infanzia e la giovinezza sviluppano la loro infinita fame e sete e quando vengono messe di fronte a uniformi, volti di comandanti e cose simili divorano tutto. Il dirigente locale del partito mi appare ciò che era allora per me: un goffo uomo bavarese-francone che gracchiava in un’uniforme di un giallo bruno stridente, che era fuori posto ovunque, sia per la zona che per il periodo. Sembrava che gli ci fosse voluto tutto il suo coraggio per uscire con quell’uniforme grottesca dalla sua casa di funzionario e sulla strada principale del paese. Per ogni altro passo doveva esserci voluto ancora più coraggio. Quando poi arrivava al luogo dell’adunata emetteva solo quel suono gracchiante e avvilito.

Colombia desplazados

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di Valeria Zonca

Bogota. In un centro commerciale, che ha poco da invidiare agli standard occidentali a cui siamo abituati, vengo avvicinata da una ragazza. Sta raccogliendo le firme per il referendum che potrebbe cambiare la costituzione e permettere ad Alvaro Uribe, attuale presidente della Colombia, di candidarsi per il terzo mandato. Non posso firmare perché sono straniera: il mio status mi permette di essere ‘diplomatica’ e di non addentrarmi troppo in questioni delicate. La mia amica Ayda, colombiana, risponde che non è d’accordo e che non firmerà. Un’altra signora dice ad alta voce: “Certo che firmo, ma per metterlo in galera”. Dietro di noi, uomini e donne in tenuta elegante, invece, fanno la fila per fimare perché “questo è l’uomo che ha reso il Paese più sicuro e vivibile”. Qualche gorno dopo in una via centrale della città vengo avvicinata da due giovani. Stanno raccogliendo le firme per promuovere un referendum contro la privatizzazione dell’acqua. Le concessioni date alle imprese straniere con il placet del governo negli ultimi 5 anni hanno fatto triplicare le tariffe: ogni anno a migliaia di famiglie viene interrotta l’erogazione perché non possono più pagare la tassa, altri ricevono acqua non adatta al consumo umano.

Cinque minuti di Napoli

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di Piero Sorrentino

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Hanno fatto l’intero percorso, da sant’Anna di Palazzo, a cento metri da piazza Plebiscito, tagliando trasversalmente lungo il pezzo finale dei Quartieri, e infine giù, verso la Pignasecca, circa un chilometro, con le pistole già in mano, in mezzo alla gente che girava tra i negozi del centro, le buste umide con le orate per la cena e gli involti molli di petto di pollo, i sacchetti trasparenti di unto delle friggitorie pieni di zeppole e crocchè, i rettangoli plastificati delle ricariche telefoniche appena comprati, la riga argentata che copre il pin per l’accredito ancora integra, otto a bordo di quattro moto, uno scooter 150 in apertura, un altro in chiusura, e al centro una Kawasaki e un Hornet Honda, tutti con i caschi integrali, il passeggero della Kawasaki con la maglia azzurra del Napoli,