Home Blog Pagina 433

Deserto d’acqua e altre poesie

11

di Francesco De Girolamo

Deserto d’acqua

(dall’Ilva alle Murge, via Taranto e Salento)

Ed ora chiamami straniero, selva di moli informi
ed anse fiocinate ed alberi lunari senza più brada,
stregata linfa, muraglia di miasmi protetti
di incombusti pozzi di neve nera e calda,
dai sigilli alle arcate nascoste, infecondo frantoio
d’oro eroso e argento arsenicato, ciurma persa
in lungomari sbarrati, bordeggiante e sinuosa
in caffetani intarsiati di sabbia turchese
e bellici scafandri rococò, tessuti da piccole larve
in brulicanti bazar indostani o grotte singalesi.

Democrazia e verità

7

piazza_loggia

(intervista all’Avv. Silvia Guarneri di Brescia – uno degli avvocati di parte civile delle vittime della strage di Piazza della Loggia del 28 maggio 1974)

Maria Luisa Venuta (MLV) Trentacinque anni sono trascorsi dalla strage di Piazza della Loggia. Quale è stata l’evoluzione del processo e delle inchieste fino ad oggi?
Silvia Guarneri (SG) L’attuale processo sulla strage di Piazza della Loggia nasce da uno spunto investigativo nel 1993, quando si è chiusa la seconda istruttoria. Il giudice istruttore di allora, Giampaolo Zorzi di Brescia, ebbe dai magistrati di Milano, che stavano indagando sui fatti di Piazza Fontana le dichiarazioni rilasciate dalla cosiddetta fonte Tritone, al secolo Maurizio Tramonte, che negli anni Settanta, ventenne, trasmetteva al SID (ora SISMI), al maresciallo dei carabinieri Fulvio Felli, nome in codice Luca, le attività a cui partecipava nell’estrema destra extraparlamentare veneta. Il giudice istruttore, proprio in virtù del ricoprire un ruolo ibrido, tra Pubblico Ministero che investiga e GIP che decide, come previsto nel vecchio codice di procedura penale, assolse per insufficienza di prove i soggetti che aveva nella sua inchiesta, ma indicò contemporaneamente l’opportunità della riapertura delle indagini vista la portata del materiale,  nel quale si parla di riunioni preparatorie, di “grossi botti” e di strategia della tensione nel periodo in cui avviene la strage di Piazza Loggia, citando  Ordine Nuovo nel Veneto. Nel senso che il Movimento Politico Ordine Nuovo era stato messo fuori legge nel novembre del 1973 dal ministro dell’interno Paolo Emilio Taviani.

La moglie, il marito e lo zerbino

10

paillasson
di
Francesco Forlani

E’ l’unica cosa di una casa che ti appartiene e non ti porti via ad ogni trasloco. Dalla scritta in filigrana, prestampata, incisa, Bienvenue, Welcome, ¡Hola, Salve! Steveme scarse à fetient’, capisci dove e quando comincia il viaggio. Mai dove finisce. Ecco perché al contrario delle città che ti dicono inizio e fine, Benvenuto e Arrivederci, a seconda da dove si arrivi, dal senso di marcia, le case ti danno solo il benvenuto. Sullo zerbino dell’inquilino del piano di sotto, in rue des récollets, vicino al Canal st Martin (Paris) Patrick ci pisciava ogni volta che tornava ubriaco, per fargli un dispetto. Era la sua personale rivolta all’insofferenza spesso ingiustificata di quello scassaminchia del vicino. Essì! diciamolo pure, che non è per il fatto che tu mi sia vicino che ci ameremo.

Per come si è dentro

60

arminx
collage di effeffe con opere di Albert Koetsier

di
Franco Arminio

si, guardiamo con gli occhi
pensiamo con la mente
ma guardano e pensano
pure le nostre ossa,
c’è un vago, minerale
sentore del mondo,
nella testa di un omero
nella fossa dell’anca.
è da lì che tu guardi
è da lì che ti penso.

Senza vergogna

111

senza-vergogna
[Marco Belpoliti mi ha mandato l’intervento che ha letto la scorsa settimana a Officina Italia e qui io volentierissimo pubblico. G.B.]

di Marco Belpoliti

La vergogna non c’è più. Quel sentimento che ci suggeriva di provare un turbamento, oppure un senso d’indegnità di fronte alle conseguenze di una nostra frase o azione, che c’induceva a chinare il capo, abbassare gli occhi, evitare lo sguardo dell’altro, di farci piccoli e timorosi, sembra scomparso.
Ho in mente un passo della Tregua di Primo Levi, proprio all’inizio del libro, dove i giovani soldati russi arrivano in vista del Lager, e dall’alto dei loro cavalli osservano lo spettacolo che si offre ai loro sguardi di vincitori: “Non salutavano, non sorridevano; apparivano oppressi, oltre che da pietà, da un confuso ritegno, che sigillava le loro bocche, e avvinceva i loro occhi allo scenario funereo. Era la stessa vergogna a noi ben nota”.

Incontri di civiltà: Jundishāpūr

21

di Antonio Sparzani
persia31

Nelle mie disordinate peregrinazioni alla ricerca delle storie attraversate dall’idea di inerzia nel corso di secoli di riflessione scientifica, mi sono felicemente imbattuto in quel grande filosofo/medico/scienziato che portava il nome di Abū ‘Alī al-Husayn ibn ‘Abd Allāh ibn Sīnā, brevemente ibn Sīnā o, nell’Occidente cristiano, Avicenna, nato vicino a Bukhara, allora Persia, oggi Uzbekistan, nel 980 e morto a Hamadan (Persia) nel 1037.

Ma più ancora ho scoperto un milieu culturale straordinario, fatto di collaborazione interreligiosa e interculturale, che ha molto da insegnare a tutti gli odierni proclamatori della superiorità occidentale. Di questo ambiente così ricco e produttivo vorrei raccontare qualcosa, senza, dionescampi, parlare più dell’inerzia.

Nel prologo generale ai deliziosi Racconti di Canterbury che Geoffrey Chaucer (c. 1343 – 1400), una volta smesso il mestiere di controllore delle dogane, scrive nel 1387, viene presentata la variopinta compagnia di pellegrini che durante il viaggio a Canterbury, raccontano i racconti: tra questi vi è un Doctour of Phisyk, un dottore in medicina cioè (anche nell’inglese contemporaneo physician è il medico, non il fisico, che è physicist), esperto di ogni arte di guarigione e attento anche alla propria salute, grazie ad una dieta “nutriente e digeribile”. Per comprovare la sua dottrina, Chaucer non esita ad elencare i maestri che “ben conosceva”, il cui repertorio suona così:

Wel knew he the olde Esculapius
And Deiscorides, and eek Rufus,
Olde Ypocras, Haly and Galien,
Seràpiòn, Razis and Avicen,
Averròis, Damascién and Constantýn,
Bernàrd and Gatesden and Gilbertýn.

[G. Chaucer, The Canterbury Tales, the Prologue, vv. 429-434].

3 poesie e 2 prose

14

di Davide Morelli

Inafferrabile

Guardo di sbieco il muro. Appare
la coda bifida di una lucertola,
compare il dorso, rivestito di squame
e… negli interstizi della siepe
già non la vedo… come se con un
guizzo fulmineo, un lesto strascicare
di zampe si fosse divincolata in un
cunicolo; come se il crocicchio dei
colori lividi del tramonto, il riverbero
di un fievole sfarfallio di raggi l’avesse
resa invisibile. Forse è sgusciata in
una fessura, in un anello d’ombra,
in una zona morta dei miei occhi,
forse in una crepa nascosta, dove
cade l’intonaco e affiora la calce,
sfuggendo alla mia vista, ormai
inafferrabile.

SOGNAVO PECORE ELETTRICHE

96
 

img by ,\\’ da Blade Runner

 
di Nadia Agustoni
 
La moda non è cosa da prendere alla leggera. Così quando ci dicono che qualcosa o qualcuno è glamour dovremmo diffidare e fare alcune verifiche. Se questo non accade, o accade troppo poco, è perché c’è assuefazione, non tanto a certi discorsi, ma al modo in cui le notizie ci vengono date. Quella a cui i media ci abituano è la colonnina di un termometro invisibile, una colonnina dove si sale e si scende e dove persone, gruppi sociali e tendenze hanno tutti prima o poi i loro quindici minuti di successo. Il buon senso dovrebbe suggerire che l’uso del termometro è indicativo di uno stato di febbre, ma il buon senso è moneta sempre meno in uso.

Giulio Marzaioli: SUBURRA

2

27 maggio 2009 – ore 19,30

presso

Tuma’s Book Bar
Via dei Sabelli, 17
Roma

Giancarlo Alfano e Lucio Saviani

introducono

Suburra

di Giulio Marzaioli

Giulio Perrone Editore

collana inNumeri diretta da G. Alfano

sarà presente l’autore

nel corso della serata proiezione del video Suburra

letteratura italiEna

23

gli-stranieri-complementari

di Simonetta Bitasi

Voi volete essere diversi. Vi crogiolate nel vostro stato di miserevoli stranieri! Vi ostinate ad aggrapparvi al vostro passato, a un tempo e un paese che non esistono più al di fuori della vostra fantasia. Che senso ha prendere lezioni d’italiano? Spaccarvi la testa per imparare la coniugazione dei verbi? Sforzarvi di leggere I promessi sposi e andare al cinema a vedere Il postino? Se rifiutate le basi di una cultura, la sua cucina, …come intendete digerire la vita in questo paese?.

Elogio del naufragio – Anna Maria Papi (video effeffe)

11

di
Anna Maria Papi

Golette e velieri, Billy Budd, Benito Cereno, Lord Jim, Joseph Conrad, Herman Melville, fino alla leggenda dentro la leggenda: Sinbad il marinaio, il Flyng Dutchman, e poi la realtà contemporanea; il Titanic, Andrea Doria, il Flyng Enterprise. Le guerre non contano. Ma chi ha detto: “E naufragar m’è dolce in questo mare…” Poeti, poeti, i poeti non contano. Neanche Ulisse conta, un addict del naufragio (zattera), naufragi a puri scopi sessuali. Vent’anni di naufragi pur di non tornare a casa, pur di giacersi con maghe, circi, calipse, nausiche verginali , matrone, veggenti e servette , – un latin lover – che appena ha cominciato a perdere colpi, a battere in testa, ha di colpo ritrovato la strada marina per Itaca, senza spettacolo, liscio liscio, ed eroe per burletta, (ma loro lo credevano eroe) si è riaffondato nell’innaufragabile Penelope mater e magistra ( l’enciclica non c’entra) che lo ha unto e bisunto per la millesima volta e se lo è stravolto che dire allo stralunar di pizzi e ciondoli di veli, i fioretti assaettati negli arrembaggi, ed in salto mortale nella scialuppa strabordante nei flutti, la Lei di Lui, irreversibilmente figlia del suo peggior nemico e per cui lasciata al suo destino, il cuore del Corsaro spezzato, ma neanche un fremere di ciglia.

Luigia Sorrentino plus Photoshoperò

23

Ogni cosa del fiume
di
Luigia Sorrentino

L’asse del cuore

I

con il mantello disteso sul petto
frantuma la roccia sotto il ponte
si tiene all’abisso come sponda
sommersa, come ogni sponda erosa
corre sotto, l’acqua, giù nell’abisso

non conosce nessuno, neanche
lo spirito del fiume
manto di bronzo abita l’esilio
e piange, la casa
ogni cosa del fiume è deserta
assente ogni cosa divina
fa ritorno alla terra di sempre
la terra che esalta ogni vivente

Hand Care – Ritratto di una mano

13

handmarcos

di
Roberto Bugliani

la flor de la palabra che la mano scrive
che la penna annaffia cresce e cresce
ribelle nella hora suroriental (dice Tacho)

accanto, nella foto, el bastón de mando, sotto
alla stella a cinque punte, rossa di fiamma
come il cuore, come la dignità, come la lotta,
sempre camminando, sempre domandando
per terre dimenticate da dèi e da uomini
mandar obedeciendo: è questa la consegna

c’è don Durito di sguincio, nei disegni
l’insolente escarabajo della Lacandona
dove anche gli scarabei portano passamontagna
“ci siamo coperti il viso
perché possiate vedere in noi il vostro viso”
“ci siamo fatti soldati
perché siano inutili, un giorno, i soldati”

scrive la mano la voz digna de los zapatistas
ya basta ya basta ya basta
il grido attraversò la notte
occupò armato l’alba quel
1° gennaio 1994, i piatti rotti alla festa
del messico neoliberista

da 500 anni la storia ha due storie
una scritta sui libri, l’altra
affidata alla mano che ora scrive
che ora parla, con la voce
del viejo Antonio, la voce tzotzil
del popolo maya, il popolo di mais
“cuéntame más de ese Zapata”

le stelle, i soli, il risveglio dall’inganno
despertó del engaňo y la mentira
una nazione intera, dopo l’ubriacatura
di trattati servili, solo frijoles y tortilla
la mano del color della terra dice
todo
para todos, y nada
para nosotros
la mano che nasce
dal fuoco e la parola

Nota
la foto da me photoshippata è dell’autore e ritrae il sub comandante Marcos

POESIAPRESENTE 2009 – Sabato 23 maggio

4

POESIAPRESENTE 2009
CReO
Poesia Internazionale a Monza
Creare sinergie per scatenare Poesia

Teatro Binario 7, via Turati 8 – P.zza Castello – Monza

Sabato 23 maggio
Ore 10.00/23.00
Ingresso libero

CReO
Simposio Internazionale
tavole rotonde | letture | performance | videopoesia

Il Primo Simposio del CReO, il Centro Ricerca e Osservatorio di PoesiaPresente riunisce al Teatro Binario 7 di Monza molte delle figure che in Italia e all’estero stanno contribuendo alla diffusione della poesia contemporanea italiana.

La giornata, aperta a tutti, prevede tavole rotonde di confronto alternate a letture, proiezioni di videopoesia, performance, all’insegna di uno scambio continuo fra studio e prassi.
Il Simposio è stato preceduto, tra gennaio e maggio, da un confronto on line su www.universopoesia.splinder.com, blog di Matteo Fantuzzi

Autismi 10 – Mio figlio

9

di Giacomo Sartori

Mio figlio ha trentatré anni, è ormai un adulto. È stato concepito nel millenovecentosettantacinque, l’anno della fine della guerra del Vietnam, della torbida agonia di Francisco Franco, della maggiore età a diciotto anni e della parità giuridica tra i coniugi, della morte della terrorista Mara Cagol, del sangue sui marciapiedi, dell’esecuzione su uno sterro sporco di Pasolini. L’anno in cui sono uscite di produzione la Cinquecento e la Citroen DS, e in cui ha cominciato a volare il supersonico Concorde. Non so perché tutti citano sempre la data di nascita, come se fosse l’unico punto fermo, quando invece quello che conta davvero è il concepimento, a cui fa seguito la poi rimpianta vita intrauterina. Lui è stato concepito in un anno in cui sono successe molte cose, non tutte limpide, e certo proprio per questo è un iperattivo inquieto, una di quelle persone che manco a farlo apposta sono presenti quando succede qualcosa di raccapricciante. Lo fa anche per lavoro, ma è innanzitutto un richiamo di pelle: per avere la sensazione di esistere ha bisogno di sentirsi nei muscoli i pizzicottini dell’adrenalina. Terremoti, naufragi, tamponamenti automobilistici a catena, rapine, stragi: lui passa sempre di lì.

Le Metamorphoseon e il formalismo modernista di Ottorino Respighi

2

di Silvio Paolini Merlo

Il saggio di Mila su Respighi del 1932, pubblicato in lingua francese l’anno dopo, apparso per la prima volta in lingua italiana nel 1944 e da allora più volte ristampato senza alcuna variante, costituisce un caso tra i più emblematici della saggistica musicale italiana. Con questo noto scritto, conciso, arguto, pregnante, largamente indicativo del momento storico nel quale nasce, Mila introduce una serie di argomenti e di questioni che si fisseranno subito come delle costanti tematiche, infuenzando praticamente tutto il successivo dibattito sul musicista. Rilevata la posizione fortemente “ambigua” di Respighi nella vita musicale italiana, amato dalle folle ma poco apprezzato dalla critica, anticipando le note riserve postume di Casella per un Respighi ancora irretito da un rude e “intedescato” sensualismo[1], Mila scrive che «la modernità di Respighi è d’una generazione anteriore rispetto a quella dei Casella e dei Malipiero», e quindi «molto più vicina a Strauss che a Stravinsky, a Debussy che a Ravel»[2].

Il giullare con la scorta

16

cavalli
C’è un giullare dalle parti di Lodi che si chiama Giulio Cavalli. Fa una cosa che non dovrebbe fare: teatro civile. Parla di Resistenza, di G8, parla del disastro aereo di Linate e da un po’ di tempo, soprattutto, parla di mafia e di mafie. Fa nomi e cognomi. A Teatro. Li fa a Milano, li fa a Gela.
Errore! I nomi non si fanno, non è elegante. Qualcuno poi si arrabbia e te la vuole far pagare. Così è: Giulio Cavalli ha subito minaccie mafiose e vive sotto un programma di protezione dallo scorso anno. Solo che lui è cocciuto e continua a fare i nomi e i cognomi. Ci dice cose che non vogliamo sentire: tipo che la ‘Ndragheta non è mica roba di montanari calabresi. È roba di gente che fa affari a Milano. Insieme ai casalesi e a tutta la solita cricca.
È che i politici milanesi non amano sentir parlare di mafia a Milano quando hai un Expo da organizzare. Ma Giulio insiste, giullare cocciuto.
Dunque vi chiedo di ascoltarlo, di seguire il suo sito, di cercare in rete le sue Radio Mafiopoli, di andarlo a vedere a teatro. Di non farlo sentire solo. È la solitudine, la terra bruciata attorno al proprio lavoro, l’inizio della fine per una voce come la sua. Che non sia una voce nel deserto, ve ne prego.
Vi allego qui di seguito un suo pezzo.
G.B.

Verdure

14

di Lisa Ginzburg

Aspetto una bambina, e causa valori della glicemia un poco alterati seguo una ferrea dieta a base principalmente di proteine e verdure: dal fruttivendolo vado di continuo. Il migliore, nel mio quartiere, è egiziano. Il negozio è grande, a vendere sono in diversi ma il capo è lui. Anche lui è in attesa di una figlia, la sua seconda, e ogni volta mi racconta della moglie, delle sue stanchezze o energie, dei movimenti fetali, come questa femmina pare scalmanata a paragone del maschio che nella pancia era tranquillo “e invece adesso che ha tre anni è ‘na peste”. Io ascolto e a mia volta dico di me, più titubante per la nessuna esperienza, ma desiderosa come sono ormai da mesi di scambiare e carpire il maggior numero di informazioni possibile su parti, allattamenti, gestione di questa lunga fase così eccezionale per corpo e spirito che mi sta capitando di vivere.

Libri segreti

5

di Daniele Giglioli

Colpisce nei saggi di Andrea Cortellessa la totale complanarità, l’appassionata complicità tra l’autore e il suo oggetto. Un oggetto che, quale che siano gli autori di cui parla, è sempre lo stesso: il Novecento, una certa idea di Novecento. A quell’idea Cortellessa aderisce senza riserve, ripensamenti, rimorsi di coscienza. Il suo Novecento – il Novecento manierista, intransitivo, difficile, quello che si crocefigge e si delizia con la sperimentazione formale e ha come corrispettivo una critica intitolata all'”infinito intrattenimento” – non ha nulla da farsi perdonare. Non ha nemmeno bisogno di spiegarsi (o di essere spiegato): non deve lottare, perché ha vinto; non comunica perché è. In Cortellessa trova esito la grande tradizione del critico novecentista. Ma se nella vocazione di quei critici, da De Robertis a Garboli, da Gargiulo a Guglielmi, entrava un elemento di contingenza – si era novecentisti perché si faceva critica militante nel Novecento -, la vocazione di Cortellessa è monda di ogni accidentalità cronologica: il suo è un novecentismo d’elezione, un novecentismo al quadrato.

da: L’orlo di Galois

17

McKean_wood_1

di Elisa Davoglio

Évariste Galois morì nel 1832, a vent’anni. Ideò un metodo per scoprire se una equazione è risolvibile o meno con operazioni quali somma, sottrazione, moltiplicazione, divisione, elevazione di potenza ed estrazione di radice. Dal suo lavoro è stata espressa una delle teorie fondamentali dell’algebra astratta chiamata, appunto, Teoria di Galois. La morte di Galois è dovuta ad un duello che Évariste, pur essendo sicuro di andare incontro alla morte, accettò per salvare l’onore della donna amata. La notte precedente il duello, Galois tentò di ordinare gli appunti riguardanti la sua ricerca, annotando spesso, a giustificazione di un’omessa spiegazione, la frase “non ho tempo”. Le immagini che attraversarono confusamente la notte di Évariste sono tutte implose in questa frase.

***

Editoriale Sud n°13- uscita 25 Maggio

12

di
Francesco Forlani
beurck1
immagine di Philippe Schlienger – Sud 13

Cave Panem, attento al pane,
sembra sussurrarci il buon senso ogni volta che si prospetta un lavoretto, in genere qualcosa di non interessante, ma che potrà servire a rimettere in sesto la cassa contabile. Una voce di dentro ti dice allora, prendi ogni cosa, non farti pregare, senza condizioni anche quando non sei sicuro affatto che ti pagheranno, perché è già successo, che ti fidavi, e non era il caso. E odii la parola bonifico, perché a te restano solo le paludi dei conti. In Francia alimentaire, si dice di un lavoro che non si ama ma che ti dà da mangiare, il pane.
Carmina panem non dant , ti dicono loro e non è importante quello che fai se non riporti a casa la pelle, ti dici tu. Ovvero la carne, altro che insalate, magari una fettina trasparente, come quelle dispensate negli anni di crisi degli anni settanta. Importante è dire: ho mangiato carne, di quelle nervose, rigide, cartonate, vendute con la ricetta, alla pizzaiola. Ma di cosa si nutre l’anima se non dei sogni che non hanno prezzo? Le magnifiche imprese non portano le insegne funeste del codice a “sbarre” sul retro, né l’amore che abbiamo inseguito per tutta una vita. Ti amo così tanto che ti mangerei! ti dicono, anche.
Non mi cibo allora, non mi nutro nemmeno, ma alimento. La nuova rivoluzione culturale e politica ha già rimesso all’ora più giusta le lancette del tempo fatte impazzire al ritmo forsennato dell’economia di mercato. Alimento lento, ovvero che darà con il tempo i suoi frutti, riducendo le distanze tra noi e le cose che amiamo. Emozioni a chilometro zero.
Questo numero 13 di Sud, dedicato all’alimentarsi, è un numero à la carte, per palati fini. Buon appetito! – allora vi dico.

Nota
La rivista sarà presentata a Galassia Gutenberg il 31 maggio alle ore 12