Perché tengo tanto a coniugare la riflessione sull’omosessualità a quella sull’ateismo e sulla diffusione della cultura scientifica? Perché sono convinto che una vera e profonda accettazione dell’omosessualità nelle nostre società non possa che conseguire all’affrancamento dal retaggio abramitico. Quel retaggio in virtù del quale si ritiene che un “creatore” abbia voluto generi e specie così come sono, immutabilmente: l’ordine del “creato”.
Da tale retaggio viene l’ottuso trincerarsi di molti dietro al cosiddetto “diritto naturale”. Da qui i feroci attacchi da parte dei vari fondamentalismi abramitici – in primis quello vaticano – contro il movimento Lgbt.
Costoro non hanno digerito Darwin. Costoro – se messi alle strette – giungono a inventarsi la teoria dell’Intelligent Design. Per costoro le rivendicazioni femministe e gay (vedi gli attacchi che riservano alla Ru486 e alla teoria gender) vanno contro l’ordine naturale e dunque contro la creazione. (Lo dicevano anche delle suffragette un secolo fa).
Con costoro non si può discutere: costoro devono solo essere sconfitti politicamente. Come è avvenuto in Spagna. Come purtroppo non sta avvenendo in Italia.
(Sono un inventore ben più meritevole di tutti coloro che mi hanno preceduto; anzi un musicista, che ha scoperto qualcosa come la chiave dell’amore.)
Arthur Rimbaud- Illuminazioni.
Il merlo maschio. Un timballo produttivo del cinema italiano, di quel genere commedia sexy che non c’è più da decenni. Lo vedo al cinema seduto accanto a un uomo dell’apparente età della mia, dunque non più giovane, non ancora vecchio, quasi adolescente, e quasi morto e ben più che vivo. È, questa, una sala parrocchiale, vicino casa, che frequentavo da giovane; ha delle finestre di formato normale che si aprono sull’esterno. Fuori, bambini con le gote rosse, svizzeri, le bocche disegnate da sbuffi espressionisti di cioccolato appena addentato, stanno coi nasi schiacciati contro queste finestre, come se guardassero avidamente, dentro una pasticceria, dolci viennesi.
Trovate il perimetro dell’allegria,
la superficie della libertà,
il volume della felicità…
Quest’altro poi
è un po’ troppo difficile per noi:
Quanto pesa una corsa in mezzo ai prati?
Gianni Rodari, problemi di stagione
11 giugno 2008
Il taglio della mano precipita, coltello opaco che fende il fluido, generando un’esplosione silenziosa di sfere tralucenti che mi vengono incontro, catturando e sparandomi in faccia la luce obliqua dell’ultima parte del giorno. Quattro, la destra, la sinistra, cinque, la destra, la sinistra, sei, torsione dello sternocleidomastoideo, la bocca si apre a cercare l’aria, l’arco della bracciata segue il disegno del compasso e affonda davanti ai miei occhi, subito raggiunto – o meglio, sostituito – dall’altro avambraccio.
“Ed è vero che sul piano dell’espressione la testa bassa si collega alla foto” scrivevano nel 1975 Deleuze e Guattari nel prodigioso Che cos’è una letteratura minore? In effetti i personaggi – i due personaggi – del romanzo di Paolo Giordano hanno la testa bassa, sono personaggi laterali, solitari, piegati dalla vita e dai propri destini.
Questo lo dedico a voi indiani, amici, innanzitutto, poi compagni.
E a coloro che quel giorno manifestavano davanti alla Rai di Torino per ottenere un servizio più che dovuto. Appello alla Rai, allora. Visto che ormai nessuno ha più i titoli, sti cazzi di sottotitoli li vogliamo mettere?
effeffe
Potrei dirti che Il Tipo Peggiore In Assoluto lo trovi in libreria. Potrei anche sostenere che Il Tipo Peggiore In Assoluto ce l’hai di fronte, dentro l’involucro liscio, muscoloso, ben rasato del Qui Presente. Potrei anche avanzare, senza lasciarmi prendere da alcuno scrupolo, di essere io Il Tipo Peggiore In Assoluto che potresti trovare acquattato, pronto a qualsiasi cosa, dietro le gigantesche pile promozionali dei libri appena pubblicati. Ma questo non cambierebbe le cose.
[Il brano che segue è stato pubblicato su Vibrisse il 24.12]
di Giulio Mozzi
[In relazione all’articolo di Demetrio Paolin Che cosa fa di uno scrittore uno scrittore, a sua volta riferito all’articolo di Franz Krauspenhaar in Nazione indiana Siamo i Fangio della cultura che non paga, che a sua volta si riferiva a un articolo sulla proposta di Sciopero dell’autore – pubblico questo testo che è, al momento, più o meno il primo capitolo del romanzo al quale sto lavorando da anni. Il titolo del romanzo è: Discorso attorno a un sentimento nascente. Il capitolo non ha titolo. Ovviamente il testo va letto per quello che è: un brano di romanzo, nel quale parla un personaggio la cui biografia e le cui opinioni sono frutto di pura invenzione. gm]
Scrivo questo romanzo perché ho bisogno di soldi. Ne ho un bisogno disperato. Io non sono mai stato attaccato ai soldi. È per questo, forse, che non ne ho. Non sono mai stato capace di mettere i soldi in cima ai miei pensieri. Non credo di avere mai buttati via i miei soldi. Ho sempre pensato che se avessi sempre lavorato, avrei avuti sempre i soldi. Ho sempre risparmiato. Sono stato educato al rigore. Ho accettata l’educazione al rigore che mi è stata impartita. Ho sempre pagate le tasse. Ho sempre pagati i contributi volontari. Mi sono fatto un’assicurazione sulla vita. Ho regolarmente comperati i Buoni di Risparmio Postale. Non sono mai vissuto alla giornata. Mi sono sempre sentito tranquillo. Lavoravo, guadagnavo, pagavo le tasse i contributi l’assicurazione, comperavo i Buoni di Risparmio Postale. A volte andava meglio, a volte andava peggio.
[Si pubblica qui l’editoriale che Enrico De Vivo ha scritto in occasione dell’uscita dell’ultimo numero di Zibaldoni.]
di Enrico De Vivo
L’Italia, la Romania, Napoli e la Sicilia resteranno esattamente dov’erano l’anno passato. Godranno di sogni ben profondi verso fine quaresima, talvolta avranno le traveggole col sole a picco
– François Rabelais, “Predizione pantagruelina per l’anno perpetuo”
A guardarsi in giro, di questi tempi, è pieno di gente che mostra di sapere come andrà a finire. Potrebbe dirsi, la nostra, un’epoca di astrologhi e di aruspici. Sviscerano le scienze economiche, e ti promettono che prima o poi andrà meglio, basta avere pazienza e fare quello che ti ordinano; sviscerano le scienze politiche, e ti dicono quanti governi buoni e quanti cattivi si avvicenderanno sui troni del mondo; sviscerano le scienze mediche, e ti dicono in che percentuale saremo ancora umani e in che percentuale no, aggiungendo magari la promessa della vita eterna. Scrutano con acume anche le scienze morali, e naturalmente sanno già chi starà dalla parte del giusto e chi invece sarà irrimediabilmente perduto.
È impossibile prevedere chi sarà, o che cosa ci porterà,
ma qualunque cosa sia, è sempre esattamente quello che ci vuole. Carne, R.L. OZEKI
di Chiara Valerio
Quando entri in casa sei già morto.
Non puoi saperlo perché non lo sa nessuno. E se fino a ieri sera eri speciale, adesso che è mattina, sei come gli altri. Ma non sai nemmeno questo. Tuo figlio ha sei anni e i capelli biondi. Mentre lasci cappotto, giacca e sciarpa sull’attaccapanni, pensi alle domeniche di sole con il naso tra i capelli di tuo figlio. Sottili come stelle filanti. Hai provato a ricordarglielo mentre spiegavi perché, per l’albero di Natale, avevi comprato molte stelle filanti dorate e nemmeno un festone. Si è imbronciato quando non ha visto i festoni e tu, sorridendo, hai provato lo stesso a spiegargli perché con quelle decorazioni l’albero gli avrebbe somigliato di più. Come se i bambini dovessero somigliare agli alberi e rinascere a ogni primavera. Ti fermi perché la sciarpa che pende da un lato ti disturba, la aggiusti, e pensi che da cinque primavere è come se tuo figlio rinascesse, per quanto cambia. Di più, è come se ogni mattina fosse primavera.
The Sensational Alex Harvey Band – There’s no light on the Christmas tree mother
The mobs in town
And the guns are out
And Louie knows what it’s all about
He’s gunning down the cops with machinegun tops
Moving in a black sedan
A stickup worth a hundred grand
Headline sensation:
A payroll grab in the union station
(Chorus):
Now there’s no lights on the christmas tree mother
They’re burning Big Louie tonight
There’s no electricity mother
They’re burning Big Louie tonight
Il negozio si chiama “lI Paradiso de…”. In vetrina spicca insieme ad altri strani gingilli l’abitino Miss Christmas, € 47,50, fra un’intermittenza di lucette, del tipo musicale, a forma di campanelle che baluginano da lontano nella piazza buia e vuota della Cattedrale, diffondendo per l’aere dell’imbrunire l’eco elettronico e swingante di una Jingle Bells triste per troppa pretesa allegria natalizia.
Vorrei sapessero che già il dio Mitra nasceva da una vergine in una grotta in concomitanza con il solstizio di inverno e veniva adorato dai pastori. Ma i sacerdoti del dio Mitra scelsero quella data perché nei precedenti secoli e millenni quello era stato il giorno della celebrazione della nascita di Osiride, e in altre civiltà di Attis, di Adonis, di Dioniso. Quindi papa Giulio I che, nel IV secolo, scelse per il natale cristiano il 25 dicembre, non fece che inserire la nuova divinità nella consolidata tradizione romana della festa del Sol Invictus, capace di “risorgere” proprio mentre sembra che stia per scomparire. Vorrei sapessero che “figlio di Dio” era già un appellativo pagano e che la divinizzazione di Gesù procedette parallelamente (II-V secolo d. C.) alla divinizzazione da parte pagana degli imperatori defunti, mentre l’imperatore vivente era chiamato, per l’appunto, “figlio di dio”.
Nella foto: DIONISO in croce su una medaglia con la scritta BAKKI: croce sormontata da una mezza luna che ricorda Tanit.
La gravidanza era stata buona dall’inizio: nausea e altri disturbi nella norma. L’unico fastidio si era presentato fra il quarto e il quinto mese, una serie di crampi all’addome che l’avevano costretta a ricorrere al controllo medico in due occasioni, per ragioni poi valutate come poco significative. Visti i suoi ventinove anni d’età, non aveva neppure preso in considerazione l’ipotesi dell’amniocentesi, con tutti i rischi che dicono connessi: i due episodi dei crampi avevano costituito il momento di maggior tensione, non tanto per la sintomatologia in sé – il dolore al ventre si presentava appena più intenso della colite di cui spesso soffriva – quanto per il timore di complicazioni o contrazioni uterine (che non ci furono), poi per l’attesa dell’esame ecografico (che non rivelò alcuna anomalia). Di lì a dieci giorni, in ogni caso, l’indagine morfologica avrebbe confermato che tutto stava procedendo per il meglio: il bambino, un maschio, era sano, come sopra ogni cosa lei e il suo compagno avevano desiderato.
Max Planck e Albert Einstein
George Duroy, quando gli viene offerta dal ministro Laroche-Mathieu, che cerca così di sdebitarsi del molto che gli deve, la Croce della Legion d’Onore afferma sprezzantemente «Tutto è relativo. Avrei dovuto aver di più, oggi.». Siamo in Bel ami, romanzo scritto da Guy de Maupassant nel 1884. Einstein aveva cinque anni e gli avrebbero presto regalato una bussola che l’avrebbe fatto fantasticare sulla meraviglia di quell’ago che si orientava da solo e sull’avventura di cavalcare un raggio di luce.
Dubito che Maupassant avesse letto il leopardiano Zibaldone, inesauribile miniera di riflessioni, proposte, congetture e racconti, che purtroppo non viene mai letto, neppure in parte, nelle nostre scuole. Scrive Leopardi il 22 dicembre 1820: «Ella è cosa certa e incontrastabile. La verità, che una cosa sia buona, che un’altra sia cattiva, vale a dire il bene e il male, si credono naturalmente assoluti, e non sono altro che relativi. Quest’è una fonte immensa di errori e volgari e filosofici. Quest’è un’osservazione vastissima che distrugge infiniti sistemi filosofici ec.; e appiana e toglie infinite contraddizioni e difficoltà nella gran considerazione delle cose, massimamente generale, e appartenente ai loro rapporti. Non v’è quasi altra verità assoluta se non che Tutto è relativo. Questa dev’esser la base di tutta la metafisica.»
È questo che volevi dire, Vincent?
che troviamo riposo alla fine della macchia d’alberi
annidati nella nostra porzione sotto la migrazione dell’uccello
a dire, chi e come sono reso migliore dalla lotta.
O perché io io sono in questo giardino botanico vuoto
questa spirale discendente di colpi bassi e di visione
la vigna densa di foglie che si avvolge e soffoca l’albero.
Oh, santo cielo, se lo sei davvero
o se davvero riesci a sentire ciò che potrei dire
guariscimi e fammi avere il dono della risata
di occhi e sorrisi, di occhi ed affetto.
c’è la neve lì fuori e vorrei mentire una volta,
meno trasparente del vetro dar colpa a qualcuno
d’esser nata troppe volte a far nulla più che nascere
vedere la fatica dell’angelo che mi tiene
con la nuca in alto, piegata al celeste, a rigettare la distanza quasi una ruota il vento.
sembra un prato
c’è una parola che è cruna d’ago ma il cammello passa
raggiunge il regno a un palmo dal naso e cade un frutto sul più
[ bello
dall’albero dei frutti: “dovrei capire qualcosa delle piante e della natura umana”
ma già domandano se era una mela con la buccia e il torsolo
e io son corta di fiato, non so le cose, non credo di capire cos’è
[ l’eden
sembra un prato con fiori, farfalle e piccoli refusi.