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RADIOBAHIA: racconti per canzoni [010]

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di Marco Ciriello

RADIOBAHIA: suona

“Chaser”
dei Bellini

10.
L’orfano occhi blu, seduto sul muro, conta i vagoni del treno che passa. Gli pare d’inghiottire la vita, rubando le facce dietro i finestrini. E quando il treno scompare si perde tra macchie di gasolio e traversine. A chi gli chiede perché bruci il tempo, risponde: «mica si può stare qui, sommersi sotto il peso definitivo. L’amore ha bisogno di conferme».

Autoritratto

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di Leonardo Palmisano

Io non ho un lavoro. Non ho i soldi per fare la spesa. Non ho i soldi per fare benzina, e quando ce li ho aspetto la sera per andare al distributore, perché dopo le otto la benzina costa meno.
Io non ho una casa mia, e non potrò mai averla. Non ho i soldi per comprarmi dei vestiti nuovi, nemmeno adesso che ci sono i saldi. Non posso più prendere il pesce in pescheria o la carne in macelleria perché costano troppo, e così guardo su internet le offerte dei supermercati e aspetto che le spigole scendano a cinque euro al chilo, oppure mangio pollo perché è meno caro.
Io non ho speranze di vivere in un paese migliore, e non sono d’accordo con nessuno. I miei amici stanno tutti meglio di me e sono felice per loro, ma a volte li invidio, e forse è anche per smettere di invidiarli che spero di avere anch’io, prima o poi, una vita decente.

BlogBabel e i libri: quello che c’è da sapere

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Oggi riapre BlogBabel dopo 4 mesi di pausa. Al suo interno c’è un motore di ricerca per i libri di cui parla la rete italiana: se sei tra i libri per passione o per lavoro, ecco cosa devi sapere:

di Jan Reister

Dalla Milano da bere a quella da vomitare #2

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di Franz Krauspenhaar

1. Milano e’ diventata più triste

Milano, qualcuno ha scritto recentemente, in fondo è una città qualsiasi di medie dimensioni, come ce ne sono migliaia nel mondo. Non è l’inferno in terra che qualcuno esageratamente rappresenta e nemmeno un porto ideale, mancando delle attrattive tipiche di ogni città del cuore che entra nel mito e nell’immaginario collettivo dalla porta (o Porta Romana) principale.
Io non sono d’accordo; conosco bene questa città, e penso che ogni luogo è figlio di una storia precisa, e le grandezze, come le cadute, sono direttamente proporzionali a tante di quelle cose, o variabili impazzite, che stabilire classifiche tra le città è come se si volesse far pagare un affitto diverso per ogni piano della Torre di Babele.

Miracolo a Milano (Roma)

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Dalla neue Musik alla neue Literaturoper

di Cristoforo Prodan

Miracolo a Milano

Teatro musicale contemporaneo, questa è la definizione che ci suggerisce, con insolita e rassicurante premura definitoria, il programma di sala. Ma leggendo poi all’interno troviamo: Miracolo a Milano / Teatro di Musica in sei scene di Giorgio Battistelli / dal “Progetto Miracolo a Milano” / di Daniele Abbado e Giorgio Battistelli. Si noti la sottigliezza lessicale: non teatro “in” musica, né teatro “musicale”, ma teatro “di” musica. E in effetti è Battistelli stesso, nell’intervista contenuta nel programma, che parla di “teatro di musica”. Alla domanda «Cosa intende indicare con il sottotitolo “teatro di musica”, apposto al titolo Miracolo a Milano?», Battistelli risponde: «Una forma meno convenzionale, un “teatro di musica”, dove la musica è il veicolo privilegiato che mi ha permesso di entrare nel testo del Miracolo a Milano». Eppure Miracolo a Milano, lo spettacolo liberamente tratto dal soggetto/romanzo Totò il buono di Cesare Zavattini e dall’omonimo film di Vittorio De Sica, allestito e rappresentato alla Sala Petrassi dell’Auditorium Parco della Musica di Roma il 26 e 27 giugno scorsi, pur nascendo da un’idea originale del compositore contemporaneo Giorgio Battistelli e del regista teatrale Daniele Abbado, non è affatto classificabile in maniera così semplicistica.

La tirannia del bello

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di Gianni Biondillo

Sembra quasi che sessant’anni siano passati invano. L’urlo di dolore di Bruno Zevi, che nel 1948 – ben prima che venissero costruite le tanto vituperate periferie – si lamentava di quanto poco sapesse d’architettura l’italiano medio, e di media cultura, pare echeggi ancora fra di noi. Non sappiamo nulla dei maestri che l’hanno sognata la città del Novecento, ma ci sentiamo in diritto di criticarli come fossero dei principianti allo sbaraglio. In altre discipline non è così: chi si sognerebbe di dire che le poesie di Zanzotto sono parole al vento, o che Berio non faceva musica ma rumore? Eppure questo è il livello della relazione al Congresso internazionale degli architetti del nostro Ministro della Cultura.

Il problema indiano

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[Così si presenta, in versione semplificata, lo studio noto come problema indiano. Il bianco muove e dà matto in tre mosse. dp]

E non c’indurre in tentazione

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Un’interpretazione morale de
La persecuzione del rigorista
di Luca Ricci

di Matteo Pelliti

Con La persecuzione del rigorista (Einaudi, 2008) il trentaquatrenne pisano Luca Ricci si prende una vacanza dalla forma “raccolta di racconti”, i piccoli inferni coniugali descritti nel precedente e fortunato L’amore e altre forme d’odio (Premio Chiara 2007) e ci consegna una storia. Romanzo, racconto lungo sono spesso etichette di comodo e, talvolta, fuorvianti. Qui abbiamo, a prima vista, una storia da raccontare. E l’ingresso in una storia, nella dimensione tipica della vicenda da raccontare, verosimiglianza compresa, è l’ingresso di una onomastica attraverso una toponomastica. Una storia, romanzo o racconto lungo che si voglia dire, ha bisogno di nomi. La vicenda si svolgerà, quindi, a Chiavalle e Chiamonte. La toponomastica fittizia del paesello dell’Appennino, frazione inclusa, arriva alla seconda pagina, ed inaugura di fatto la storia. Un luogo immaginario che, come tutti i luoghi immaginari delle storie, risulta iperrealista perché condensazione di tradizioni letterarie e geografie reali. Ma il racconto è illusoriamente verosimile. Il nome del luogo mima il realismo, il verosimile, mentre il racconto è, al contrario e consapevolmente, fortemente simbolico.

Post in translation

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dedicato a Chiara Valerio perché ci parli quanto prima di uno dei più bei saggi usciti in Italia sulla complessa arte del tradurre.

Bang Bang (My Baby Shot Me Down)”
written by Sonny Bono. 1966

Bang bang
Paroles: Claude Carrère, Georges Aber (1966)

Bang bang
Parole: Miki Del Prete e Alessandro Colombini (1966)

Noi e loro (più noi che loro)

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di Marco Simonelli

Se Pasolini aveva “un’infinita fame/ d’amore, dell’amore di corpi senza anima”, Franco Buffoni in Noi e loro (Roma: Donzelli 2008; Euro 14) nutre la sua poesia con anime dotate di corpi.

“Annunciazione in metropolitana” di Chiara Cretella a Parma.

1

null

Mercoledì 16 luglio, ore 21
presso Piazzale Picelli a Parma, ART-OFF-CAFE’

Presentazione del libro

Annunciazione in metropolitana (Roma:Fazi, 2007. Prefazione di Valerio Evangelisti)

di Chiara Cretella

Introduce

Christian Donelli

Letteratura e cinquantenni, la parola a Canetti

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di Antonio Sparzani
Elias Canetti e Hermann Broch
«Poiché lo stile non è certo qualcosa di limitato all’archi- tettura o all’arte plastica, lo stile è qualcosa che penetra in ugual misura tutte le espressioni vitali di un’epoca. Sa- rebbe assurdo considerare l’artista un essere d’eccezione, uno che conduce quasi una vita appartata, nell’ambito dello stile ch’egli crea, mentre gli altri ne restano esclusi».
[Hermann Broch, I sonnambuli, III: Huguenau o il realismo, trad. it. di Clara Bovero]

Come preannunciato qui, vi offro la parte iniziale del discorso tenuto a Vienna nel dicembre 1936 da Elias Canetti, allora trentunenne, per celebrare i cinquant’anni di Hermann Broch. Questi all’epoca aveva pubblicato i tre volumi Die Schlafwandler [I sonnambuli] e poche altre prose. Anche qui l’interesse mi sembra risieda nei criteri di valutazione che Canetti propone per il valore di uno scrittore. Nella premessa al volume che ora contiene questo discorso (das Gewissen der Worte, C. Hanser Verlag, München – Wien 1976, trad. it. di Renata Colorni e Furio Jesi, La coscienza delle parole, Adelphi, Milano 1984/2007) Canetti ribadisce che a distanza di tanti anni non troverebbe nulla da cambiare in quel discorso di allora.

«È bello e significativo che si usi il cinquantesimo compleanno di un uomo per rivolgergli un discorso davanti a tutti, e quasi strappandolo con violenza alle fitte trame della sua vita

Tre ore zero del Novecento

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di Stefano Zangrando

Tra le foto di Michael Ruetz sul Sessantotto in mostra all’Accademia delle arti di Berlino fino al 27 luglio ve n’è una che immortala Rudi Dutschke, il più celebre leader studentesco germanico, durante un discorso alla Libera Università di Berlino Ovest nell’autunno 1967. L’espressione del volto è contratta nell’impeto dell’arringa, la bocca spalancata e tesa, e una fonte di luce posta esattamente dietro l’oratore crea intorno al suo capo un’aureola, emblema appena ironico della “santificazione” che lieviterà nei decenni a venire.

Muta quies habitat

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Ovidio
Metamorfosi
[ libro XI, vv. 592-649 ]

NIOBE di Benjamin Britten [1913-1976]
da Six Metamorphoses after Ovid Op 49
per Oboe solo


V’è presso i Cimmeri una spelonca dai fondi recessi,
un monte cavo e impenetrabile dimora del pigro Sonno,
in cui mai con i suoi raggi all’alba, né a mezzodì, né al tramonto
il Sole riesce a filtrare: nebbie miste a caligine
esalano dal suolo in un crepuscolo dalla luce incerta.

L’anniversaire

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di
Azra Nuhefendic

Neira, undici anni, mingherlina, capelli lisci, biondissimi, occhi cerulei, un volto dolce e intelligente. E’ vispa, Neira. Ci guarda ed evidenzia con una smorfia che c’è cattivo odore. Due ragazzi passano silenziosi in mezzo a noialtri, che ce ne stiamo seduti per terra. I suoi fratelli. Due maschi. Se ne contano cinque in tutto, in questo gruppo di quaranta donne. Le madri sole, le vedove di Srebrenica.
I fratelli di Neira, vent’anni a testa, rincasano senza dire una parola dopo un’intera giornata di lavoro nei campi, sulle zolle altrui: puzzano di sudore, di terra, di acqua marcia. Vestiti di stracci, le maniche ancora rimboccate. Alti, nerboruti, i capelli scuri, bruciati dal sole, mesti: tutto il contrario di Neira.
La madre parla mentre tesse la lana di un maglione disfatto. Fa un cenno di capo verso Neira: “E’ lei che avrei lasciato”.
A Srebrenica, nel luglio del 1995, ha salutato il marito: lui da una parte, assieme ad altri ottomila uomini bosniaci, nel disperato tentativo di sopravvivere; lei dall’altra, con quattro bambini. I due gemelli legati alla gonna con lo spago, Neira, di appena sei mesi, assicurata al petto con una sciarpa, il figlio maggiore, dodicenne, tenuto per mano. “Se non mi avessero lasciato passare con tutti e quattro, avrei lasciato Neira”.

RADIOBAHIA: racconti per canzoni [009]

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di Marco Ciriello

RADIOBAHIA: suona

“Money”
dei Gruppa Leningrad

9.
“La velina di Putin” si chiama il romanzo, è ambientato a Mosca e parla dell’America. È una storia piena di sorprese che Ernest Bishop scrive in aereo. Dentro giornate morte, ci sono: la televisione russa, la scrivania di Putin, Monica Levinski in cerca di lavoro, e soprattutto un finale unico nella storia della letteratura mondiale: quando racconta di come suo padre è diventato una piscina.

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di
Gianni Campi

Mode d’emploi
lettera d’istruzione distruttiva al lettore

Per apprezzare o disprezzare il seguente pezzo di…, si desidera
offrire codesta sorta di vaderetromecum o di prontuario al disuso;
punto per punto si daranno dunque le scoordinate, poco o nulla
cartesiane, per disorientarsi al meglio e orientarsi al peggio. La
historia è breve: il direttore dell’ Eco di Caserta ,
avendo pubblicato un articoletto, tra l’altro di già edito su
Lo Straniero fofiano, dello ‘scrittore’ Antonio
Pascale sul problema dell’immonda immondizia, gli balenò
l’idea di averne un commento da parte del sottononscritto, a suo
(del direttore) dire egli (il Pascale) essendo un ‘mio’ collega. Tra-
lascio – qui non essendo sede per diatribe – di dire di quel pos-
sessivo e della professione di ‘scrittore’, questa, come dire?,
categoria (?) non esistendo affatto, né dunque potendomi impos-
sessare d’un’inesistenza – quest’ultima ipotesi godrebbe d’una
impossibilità a me cara per altri versi. – Ma, come che sia, a
tale richiesta cercai di denegarmi, adducendo che al più avrei
potuto scriverne, visto che l’articolo in questione prendeva le
mosse (è proprio il caso di dirlo) dalla scatoletta manzoniana
plena di ‘merda d’artista’, un altero commento sì, ma solo e
soltanto su d’ella scatola escatologica.

I limiti dell’arte

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di Massimo Rizzante

A
Definire i contorni delle parole è diventato un compito difficile, soprattutto da quando le specializzazioni e i gerghi hanno invaso ogni campo, confondendo le frontiere delle arti e in particolare dell’arte letteraria. Parole come «contaminazione», «riscrittura», «riuso», «intertestualità» hanno fatto il giro del mondo in bocca a critici raffinati, precipitando poi nei manuali, per diventare, infine, luoghi comuni nelle tesi degli studenti più scaltri. Danilo Kis diceva che la letteratura dovrebbe essere «l’ultimo bastione del buon senso». Che cos’è, si chiedeva, un sonetto d’amore se non «un isolotto sul quale possiamo posare il piede» in mezzo alla palude dei gerghi?

Nella fabbrica del gesto

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di Franz Krauspenhaar e Nina Maroccolo

Chiamalo

Chiamalo attenzione, e dispersione
e disperazione e fiore nero e caduta
e innalzarsi, invece; e speranza, e mirto,
e i tuoi occhi e la cascata di dolore
che mi prese al solo pensare di lei
e di te; e poi consumazione, e stanco

EUROSIÓN: RETORNO O TRASTORNO?

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di Roberto Quesada

La legge (Direttiva del Rientro) è stata promulgata con sconcertante impunità, che risulterebbe inspiegabile se non fossimo abituati a venir divorati e a vivere con la paura.

Eduardo Galeano

Uscivo da una di quelle belle riunioni delle Nazioni Unite per un mondo migliore, senza sapere quello che accadeva nel mondo disunito, quando qualcuno mi ha informato della Direttiva del Rientro che l’Unione Europea aveva appena approvato. Sono arrivato al nostro Dipartimento e la segretaria mi comunica che mi ha cercato il direttore dell’Istituto Cervantes di New York, Eduardo Lago.