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Il bosco interiore. Festa della Ghiacciaia a Pistoia

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Domenica 6 luglio 2008 dalle ore 15.00 in poi

Il bosco interiore: La Festa della Ghiacciaia (2° edizione)

Ghiacciaia della Madonnina, località Le Piastre (Pistoia)

Ente promotore: Legambiente (Pistoia). In collaborazione con Pro-loco Le Piastre

RADIOBAHIA: racconti per canzoni [008]

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di Marco Ciriello

RADIOBAHIA: suona

“Moondance”
di Van Morrison

8.
Il primo a scendere fu Z. con una smorfia di soddisfazione, non pensava di farcela con quella vecchia carcassa a raggiungere ancora una volta quel posto lontano, evitando ogni tipo di controllo e senza nessuna guida. Erano stati molto fortunati. Il viaggio lungo e pericoloso.

Teoria critica della razza e libertà di espressione: alcuni punti problematici

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(Si conclude qui una serie di interventi sul razzismo curati da S. Morgagni – 1, 2, 3, a. i.)

di Giorgio Pino

1. Un rapporto ambiguo

In questo contributo mi occuperò del trattamento che le teorie critiche della razza (Critical Race Theory, CRT) riservano alla libertà di espressione. Si tratta di un trattamento controverso e ambiguo, perché per un verso la libertà di espressione rappresenta una delle tradizionali libertà civili, vessillo del movimento dei civil rights negli Stati Uniti degli anni Sessanta del Novecento, e come tale rappresenta uno strumento prezioso per gli appartenenti alle minoranze per far sentire la propria voce e far conoscere la propria storia di oppressione e discriminazione. Per altro verso, tuttavia, la libertà di espressione sembra poter giocare a sfavore degli appartenenti a minoranze connotate in senso razziale, in tutte quelle occasioni in cui le parole, le opinioni, sono funzionali a veicolare e rimarcare la distanza, la differenza, tra la presunta maggioranza e la presunta minoranza, o anche sono direttamente veicolo di offesa e stigmatizzazione razziale (1).

Ah les vaches!

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di
Carlo Grande

Si chiamano “Primula”, “Camomilla” e “Margherita”, sono scappate alla fine dell’estate scorsa, mentre le altre centosessanta sorelle salivano disciplinatamente sui camion per scendere a valle, al termine della stagione degli alpeggi. Sono rimaste tutto l’inverno oltre i duemila metri di quota, sulle montagne piemontesi di Pragelato, in Val Chisone, vivendo allo stato brado, sfuggendo a una decina di tentativi di cattura da parte di margari, addetti del Comune, veterinari e privati cittadini “che avevano offerto collaborazione”, come nel Far West. Chi è andato a cercarle ha potuto solo osservarle da lontano, perché appena cercava di avvicinarsi a meno di trecento metri le vedeva fiutare l’aria e scappare lontano, sempre più in alto. Le “fuggitive” sono tre giovani mucche di razza piemontese (fra l’anno e mezzo e i due anni), protagoniste di una “fuga per la libertà” che ha dell’eccezionale: hanno passato l’inverno ad alta quota, a temperature proibitive (è cresciuto loro il pelo, come agli yak tibetani), sono sopravvissute ai lupi che bazzicano i valloni, sono sfuggite alle laboriose catture con “teleanestesia”, con proiettili-siringa, cioè muniti di narcotici. Hanno resistito sei mesi, superando d’un balzo – per qualche straordinario “richiamo della foresta” – millenni di adattamento all’uomo.

A gamba tesa: sotto il grembiule niente!

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mercoledì 02 luglio 2008
In sede di Commissione cultura viene proposta la reintroduzione del grembiule nelle scuole. Per il ministro Mariastella Gelmini è una soluzione da prendere seriamente in considerazione.

di
Francesco Forlani

L’ho cercato dappertutto stamattina. In ogni angolo della casa, della mente, del palazzo, della città che non è la mia, ma poi che importa! Con lo scudetto sul braccio, no, solo coi tre bottoncini argentei, maschi, che hanno visto solo per pochi attimi quelli femmine del distintivo tricolore. Azzurro, celestino, squadra Sant’Agostino, Francesco Keller, blu scuro, Suore Riparatrici, Alfonzo Valentino, nero della De Ámicis, Giampo Brancaccio. Ho perfino chiesto alla vicina se potevo dare un’occhiata da lei, visto che il mio monolocale non offriva una superficie, all’altezza della recherche. E così mi sono imbattuto in qualche Fiesta, un po’ ammaccata, una coccarda – ma la davano soltanto al capoclasse – una tuta operaia – ma era solo per la classe -, e quando sono andato via mi ha regalato un ovetto kinder. E allora l’ho scartocciato, ho strangolato con le mie mani uno della lega antiabortista che s’era nascosto lì dentro e ho provato ad aprire l’ovulo. Sorpresa!

Bucarest

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di Flavia Capitani e Emanuele Coen

Il taxi sobbalza ogni cinque metri ma Vasile non ci fa neanche caso. Tra una parola di italiano e due di inglese, continua a raccontare come Bucarest stia cambiando ogni giorno sotto i suoi occhi. La strada che collega l’aeroporto al centro della città è un cantiere continuo, una lunga linea dritta spezzata da file di auto più o meno sgangherate e tir stracarichi di materiali per costruzioni. “Impressionante, qui dopo il Duemila tutto è impazzito – sospira il corpulento e loquace tassista –. Guardate quanto sono grandi questi magazzini Ikea, e lì a destra quel Carrefour. Laggiù stanno tirando su il più grande Bricofer d’Europa. E più avanti vedrete un concessionario dietro l’altro: Porsche, Bmw, Jaguar. Automobili che non riuscirei a comprare neanche con i guadagni di una vita. E pensare che sotto il comunismo appartenevo a una classe agiata, lavoravo per una grande azienda che aveva rapporti commerciali con Italia e Inghilterra. Da qualche anno giro la città in lungo e in largo per mettere insieme uno stipendio appena decente. Intanto il mio vicino di casa, che sotto Ceausescu era un semplice poliziotto, ha tre appartamenti e una Mercedes”.

lettera alla madre

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di Ingrid Betancourt

(resa pubblica il 1° dicembre 2007)

È un momento molto difficile per me. Chiedono le prove che sono viva e ti apro l’animo in questo scritto. Fisicamente sto male. Non mangio, non ho fame, mi cadono molti capelli. Non ho voglia di niente. Credo che sia la cosa migliore che possa capitare, non aver voglia di niente, perché qui, in questa giungla, l’unica risposta a qualunque richiesta è “no”. Dunque, è meglio non avere voglia di nulla ed essere almeno libera dai desideri.
Sono ormai tre anni che chiedo un dizionario enciclopedico per poter leggere qualcosa, per imparare qualcosa, per mantenere viva la curiosità intellettuale. Continuo a sperare che, almeno per compassione, me ne procurino uno, ma è meglio non pensarci. Ogni cosa è un miracolo, anche ascoltarti ogni mattina, dato che la radio che ho è vecchia e mal funzionante. Voglio chiederti, mamma cara, di dire ai ragazzi di mandarmi tre messaggi alla settimana. Niente di speciale, se questo è anche il loro desiderio e se avranno voglia di farlo. Non ho bisogno d’altro se non di essere in contatto con loro. È la sola informazione vitale, essenziale, indispensabile, il resto non mi interessa più.

Mariti di donne dagli occhi grandi

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di Franz Krauspenhaar

Angeles Mastretta è una brava scrittrice messicana di quasi sessant’anni, nata a Puebla, una delle città più importanti del Messico, che a noi italiani ricorderà soprattutto le imprese calcistiche dei due campionati mondiali disputati nella grande nazione centroamericana. La Mastretta ha il curriculum tipico dello scrittore ispanico; è nel giornalismo, infatti, che molti scrittori sudamericani (e una volta questo avveniva molto di più anche in Italia) compiono i primi passi nella scrittura, imparando quindi la sintesi, che da noi, ormai, mancando una vera scuola di scrittura sul campo, è più che altro un dono, che sì ha o non si ha, e che difficilmente si apprende. Come mettere fatti rilevanti e commenti pregnanti in un piccolo spazio tipografico?

Il superfluo della vita

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[Si pubblica un frammento dal blog rospe in frantumi, camera di collaudo e taccuino di un editore. d.p.]

di Roberto Speziale

Cosa ci si aspetta dagli editori, soprattutto se giovani? Gli editori devono essere agguerriti, devono usare metafore agonistiche, preferibilmente calcistiche o rubate all’immaginario gladiatorio dei filmoni in sandali e perizoma. Non si concede volentieri fiducia a chi contravviene a queste pratiche consuetudinarie. Posso anche capirlo, in fondo, è tempo di slogan (e quando non lo è), è tempo di dimostrare che i libri non sono cartacce raccolte a prendere polvere sugli scaffali. È tempo che i libri siano qualcos’altro, anche se non vengono letti. Questo è il tempo dei giovani editori. Ci si aspetta che i giovani editori sappiano cosa fare. I libri sono sacrificabili, non si vendono libri, si vende il resto.

La prima è venuta così in sonno, poi l’ho sistemata da sveglio. La terza e la quinta erano fatte così. La quarta era così. Sì, era così.

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di Adelelmo Ruggieri

Scala

Ormai quasi cieco la mia visione si fece crepuscolare, inevitabilmente.
Stacchi di scuro dividevano i momenti della mia vita, ma l’ascoltavo
meglio così la vita. Ero un carpentiere. Avevo costruito una scala,
e mentre la costruivo la salivo. Ora stavo in cima mezzo cieco,
ma un po’ ancora ci vedevo. Fu allora che iniziai a capire le cose
tutte quante su di uno sfondo azzurro, e l’azzurrità proteggeva
l’innocenza del bianco, elideva lo scuro e l’oscuro. La scala era fatta
per scendere fra i bagliori di tutti i balconi. Ero stato prudente a non
gettarla via da me. Mi aspettava una barca dove non stare più straniero

Azzurro

 

Ad esempio. La scoperta della poesia

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di Giuliano Mesa

Ad esempio

Ad esempio, dire di ciò che non sappiamo dire. Senza cercare teoria. Senza temere il conflitto, lo stridore, lo stridere delle parti. Se la poesia è relazione, mette in relazione, non finge sintesi.
(Tutto ciò, e ciò che segue, è detto facendo un passo indietro, incauto, di non-silenzio.)

La città che sale

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[lo so dico sempre le stesse cose, ma in certi casi è proprio vero che repetita juvant. G.B.]

di Gianni Biondillo

Poi all’improvviso Milano scomparve. Nell’immaginario collettivo nazionale continuava a vivere solo nei suoi luoghi comuni: la nebbia, le fabbriche, il panettone. Qualcuno la immaginava ancora una città rampante, da bere. Si smise di rappresentarla, nel cinema, nella fiction televisiva, divenne un buco nero della memoria. Menomale che alcuni scrittori, spesso quelli più artigianali, di “genere”, continuavano a raccontare le sue trasformazioni antropologiche, i suoi panorami mutevoli. La classe operaia che non andava in paradiso ma in pensione, la romantica ligera che diventava criminalità internazionale… era da farsi: la Milano di Scerbanenco finiva a Piazzale Loreto, da lì, ai suoi tempi, iniziava ancora, e per davvero, l’aperta campagna. In fondo Peck, all’inizio del secolo scorso, stagionava i suoi salumi nell’aria salubre della Brianza. A Precotto. Oggi invece Milano è una città rete, una città territorio, che più che portare la sua nobile tradizione edile nella territorio extraurbano ha visto tracimare dentro di sé la Brianza velenosa di battistiana memoria. Milano s’è pastrufaziata, per dirla con l’ingegnere, che oggi non saprebbe più riconoscerlo il territorio. E forse anche la sua borghesia.

Volantino distribuito al Museo Egizio di Torino da alcuni antirazzisti torinesi

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GLI EGIZIANI

O LI VOLETE SCHIAVI

O LI VOLETE MORTI

Gentili visitatrici, gentili visitatori che state per entrare nel Museo Egizio di Torino, ci permettiamo di interrompere il normale flusso della fila per dirvi due parole. Data la necessità e l’urgenza di quanto vogliamo comunicarvi, siamo certi che comprenderete l’eccezionalità del metodo impiegato per attirare la vostra attenzione.

EQUILIBRIO F. L. WRIGHT- Luigi Esposito

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EQUILIBRIO F. L. WRIGHT

 
per violino solo
dedicato alla casa sulla cascata di
F. L. WRIGHT

 

“In una magnifica foresta, uno sprone di solida roccia che sorge a fianco di una cascata… la soluzione naturale apparve quella di sospendere in aggetto la casa al suo sostegno roccioso, sopra la cascata. La prima, tra le case da me costruite, eseguita in cemento armato: e perciò la sua forma si modellò sulla grammatica di questo tipo di costruzione” (F.L. Wright) “… segna l’apice poetico del metodo organico e la massima vetta raggiunta dalla libertà creativa. ” (Bruno Zevi)

 

Un ricordo improbabile

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di Massimo Rizzante

Dirò subito che ho incontrato una sola volta il grande “Jaufrè”, come lo chiamava Montale. Ricordate:

Jaufrè passa le notti incapsulato
in una botte. Alla primalba s’alza
un fischione e lo sbaglia. Poco dopo
c’è troppa luce e lui si riaddormenta

Quando un incontro importante resta unico, ogni gesto, ogni parola, ogni dettaglio della scena prende un’aria poetica.
Era l’estate del 1982. Credo luglio o agosto. Non avevo ancora diciannove anni. Ero seduto al bar della piccola stazione di San Donà di Piave (l’eterna provincia veneta!). Aspettavo un treno per Venezia, concentrato sulle Poesie d’amore di Nazim Hikmet, il poeta turco, amico di Majakavoskij. Leggevo un rubai (molto tempo dopo ho appreso che si trattava di una forma metrica tradizionale arabo-persiana), scritto da Hikmet nel 1933 a Istanbul, esattamente trent’anni prima di morire stroncato da un infarto sul pianerottolo del suo appartamento moscovita. Estate del 1963. L’estate in cui sono nato. Coincidenze. (La fame di coincidenze è il pane quotidiano della giovinezza). Ne ricordo una quartina:

Finito, dirà un giorno madre Natura
finito di ridere e piangere
e sarà ancora la vita immensa
che non vede non parla non pensa

A ritroso, viola assoluto

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di Esther Grotti

Piccole donne crescono. Dentro una Panda. Senza conoscersi simili. Quando il dolore arriva camminiamo. Partiamo da Genova come colombe. Verso nuove terre in cui arare il destino. Qui le prostitute si offrono alle finestre. Hanno le carni chiare e aperte come le pagine mistiche del mattino. In fronte a Palazzo San Giorgio vorrei qualcuno cui dettare la mia vita. Prima che mi scivoli via sconosciuta. Partiamo gettando dal finestrino il passato. Gridando. Ridendo. Senza alcuna musica. Non esiste una colonna sonora per tutti i nostri giorni. Banali e unici. Dispersi. L’autostrada è ridicola di mezzi affannati verso le vacanze. Il gruppo in diaspora si riunirà tra i dirupi francesi. E il viola assoluto della lavanda. Hai fatto bene a non innamorarti di me.

Intersezioni

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di Giovanni Fazzini

La pietra

Tutto avvenne un giorno di cui non v’è memoria, un giorno in cui non v’era occhio per vedere né orecchio per udire. Cadde la pietra all’acqua e salì dal fondo al cielo mentre il rombo si frangeva in un riverbero ubiquo. Mai furono uno, Specchio ed Eco, in quella notte dei sensi; ma solo due e molti nell’invisibile inascoltato.

La lentezza

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di Mariella Bettarini

avevo dodic’anni quando la lentezza
m’inoculò il dubbio che fosse lentezza (e lenta vita)
quella mia vita di bambina vecchia
quella non-vita
attaccata a una secchia
di sale- salendo scale lentamente affannata
balbettante
cucciolo d’animale con già tropp’anima
e già troppo male

Questa è la mia mano

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di Giuseppe Zucco

Questa è la mia Mano. Pollice, indice, medio, anulare, mignolo: la mia Mano. La porto sempre con me. Dovunque vada, lei mi segue. Impossibile confonderla – o peggio, perderla. Tra di noi, c’è un contratto molto semplice. E questo ci lega, ci rende complici. Se io mi muovo, lei si muove con me. Siamo le due parti distinte di un unico applauso. È il suono della nostra complicità, l’applauso. Così la porto sempre con me, e la Mano ricambia affettuosa. Mi aiuta.

Double face. Note a cura dell’autore

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di Ingo Schulze

Nell’aprile 1997, poco meno di un anno prima dell’apparizione di Semplici storie, dovetti tenere in qualità di ex-borsista un discorso per il conferimento del premio Alfred Döblin. Alla vigilia della conferenza trovai nell’opera omnia di Döblin la frase alla quale il mio discorso finì per approdare. Nell’Epilogo del 1948 egli scrive: «Inoltre ogni libro aveva il suo stile, che non veniva gettato dall’esterno sul tema in questione. Non avevo un mio ‘proprio’ stile, da portarmi in giro una volta per tutte come il ‘mio’ (“Lo stile è l’uomo”), bensì lasciavo che lo stile sortisse dalla materia». Nel manoscritto si legge anche: «[…] ero attento a far sì che lo stile sortisse dalla materia».
Avevo trovato in Alfred Döblin un patrono letterario. Grazie a lui compresi meglio la mia stessa scrittura. Anche per me si tratta di trovare di volta in volta lo stile adeguato.