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Hai una bocca di cartone

1

di Marina Torossi Tevini

Hai una bocca di cartone

in una pioggia notturna arrivasti.
dicevi La luna ha spiegazzato il mio nome
le unghie hanno scavato il mio ventre
e sono affondato in una nave carica di neve e di sogni

e siccome la ruota della vita gira e
l’orologio del tempo non si ferma
ti presi sulle mie ginocchia ti carezzai i capelli
annusai il tuo odore e mi sembrò amico

RADIOBAHIA: racconti per canzoni [007]

1

di Marco Ciriello

RADIOBAHIA: suona

“One of These Things First”
di Nick Drake

7.
Ragionando in termini strettamente commerciali il montante “Esse” non aveva nessun mercato, e questo George Dempsey lo capì subito. Girando intorno al prototipo comprese l’inutilità dello sforzo. Più passava il tempo, più all’invendibilità dell’oggetto si aggiungevano numerosi errori che gli sembrò ridicolo non aver visto prima.

Elogio del risentimento

7
Ira_Giotto_ Cappella degli Scrovegni_Padova

di Linnio Accorroni

Ira_Giotto_Cappella degli Scrovegni_Padova“(…) Evitiamo l’oltraggio della cordialità; voilà! Un improperio e uno sputo per ciascuno, sì, questo è un addio serio, un’onesta partenza.(…)
da “All’ “ambiente” di Vittorio Gassman

Curo e coltivo i miei odi con l’accanimento e la devozione d’un giardiniere tenace ed appassionato. Ogni tanto, poi, me li ripasso scrupolosamente uno ad uno; li rimedito e li rivivo, scandendo al ralenti tutti i passaggi, indugiando su dettagli e frammenti. Tutti fondanti, tutti necessari. Il timore è che la damnatio memoriae possa cancellare, per distrazione o sciatteria, questo o quel frammento del passato, questo o quel particolare: se ciò avvenisse l’amara felicità dell’astio, che non sa né vuole dimenticare, e la gioia, ontologicamente postuma, del risentimento, sarebbero irrimediabilmente guastati. I miei odi ed i miei risentimenti, con il passare degli anni, invece di attenuarsi e stiepidirsi, diventano sempre più convulsi ed irredimibili. È una specie di ‘capitale morale’ che conservo gelosamente. Poi, per far aggallare tutto l’odio che cova dentro, mi basta rivedere o sfiorare chi m’ha offeso, anche se in un tempo lontano. Lontano per lui; non certo per me. Come in un racconto di Kafka, sono il malato che protegge e conserva la piaga e la ferita. Sono Filottete che custodisce con voluttà malsana il puzzo nauseabondo della sua piaga.
Mi dicono: dimentica e perdona, quel che è stato è stato. Farlo, per me, sarebbe come rinunciare ad ogni principio etico, sarebbe come abdicare ad una specie di ineludibile umanesimo radicale.

Che cosa avrebbe detto Hans Mayer di questo?

Etere 5. Newton e seguaci

11

di Antonio Sparzani
Isaac Newton, di William Blake, 1795.
Non è forse questo mezzo [etereo] molto più rarefatto all’interno dei corpi densi del Sole, delle stelle, dei pianeti e delle comete, che non negli spazi celesti e vuoti tra questi corpi? E allontanandosi a grande distanza da questi, non diventa forse sempre più denso e più denso, causando così la gravità di quei grandi corpi l’uno verso l’altro

Questa sorprendente citazione newtoniana merita qualche spiegazione, che potrebbe cominciare così.

Perché la fama e i meriti di Newton sono arrivati a noi con tale forza che il suo nome suona come quello del fondatore della fisica dell’età moderna, cioè di quella che ancora porta il nome di fisica classica? Perché un personaggio con ben radicate credenze alchemiche e magiche, arrogante e fondamentalmente misantropo come Newton si impose nella storiografia scientifica come un fondatore di un nuovo paradigma?

Jazz e xenoglossia

36

di Sergio Pasquandrea

 Jazz is not dead, it just smells funny.

(Frank Zappa)

 

 

Strano come a volte le cose si catalizzino tutte d’un colpo.

Erano mesi che avevo in mente di scrivere qualcosa sul jazz. Le idee, tante, mi giravano in testa senza trovare un punto di sedimentazione.

Poi, qualche giorno fa, in un programma di file-sharing ho visto un messaggio che diceva “Esbjörn Svensson RIP”. Così ho scoperto che Esbjörn Svensson era morto il giorno prima, il 14 giugno, durante un’immersione subacquea. Svensson, per chi non lo conosce, era il leader dell’Esbjörn Svensson Trio, noto anche come E.S.T. Tra fine anni ’90 e i primi anni del nuovo decennio avevano avuto un notevole successo in tutta Europa e persino in America con una musica che fondeva la raffinatezza armonica e lo strumentario acustico del jazz con ritmiche rockeggianti e melodie di cantabilità quasi pop. Hanno avuto un’influenza decisiva sul jazz europeo, e oggi molti nuovi gruppi (ad esempio gli [em] di Michael Wollny in Germania o il trio di Neal Cowley in Inghilterra) si ispirano a loro.

Secondo me gli E.S.T. sono stati originali per due o tre dischi, poi si sono avvitati in una formuletta senza più uscirne. Ma comunque ci sono rimasto male. Svensson aveva appena quarantaquattro anni e al di là delle mie opinioni sulla sua musica era una persona onesta, ironica, una persona perbene.

Poi sono venuto qui su Nazione Indiana, ho visto il pezzo di Gianni Biondillo sui Radiohead e sul rock contemporaneo, ho letto i nomi di Coltrane, di John Zorn, dei Weather Report.

E allora qualcosa ha ingranato, e ho pensato di buttare giù qualcuna delle idee che da un po’ mi attraversavano la mente.

Con stile. Libera!

5

a Fabrizia Ramondino

Questo primo pensiero è stato l’inizio della consapevolezza. Ho sollevato un po’ la testa e mi sono accorta di essere vicinissima a riva.O non ero andata così lontano o la corrente spingeva in quella direzione. Avevo paura di girarmi per fare, come prima, il crawl. E di muovere le braccia allargate che mi aiutavano a mantenermi a galla. Sbattendo senza forza le gambe ho raggiunto quasi la riva. Ho avuto la tentazione di girarmi per arrivare prima, ma tutto intorno vorticava, ormai non più solo il cielo, anche gli scogli. Perciò, rimanendo nella stessa posizione e sbattendo sempre più fiaccamente le gambe, mi sono fermata soltanto quando ho avvertito che la testa e e spalle toccavano la sabbia. Nemmeno allora ho osato girarmi. Nella posizione di una partoriente, facendo leva sui piedi mi sono allontanata dall’acqua, e poi ancora più su, finché non ho sentito i ciottoli sotto la schiena.

Nanoeditoria e i boemisti di Porto Valtravaglia

5

di Claudio Canal

Nell’attuale panorama editoriale italiano, brutalmente appiattito da processi di crescente concentrazione in tutti i segmenti del settore, si assiste a un proliferare di case editrici piccole e piccolissime, sorte sulla base di scelte culturali precise più che su rigide analisi di mercato. Alcune sono nanoeditrici che, come le nanotecnologie, seguono le logiche della fisica quantistica intrufolandosi arditamente nelle pieghe inaspettate dei saperi e dell’immaginario del pubblico lettore. La Poldi Libri spiazza fin dal nome che, a una prima vaga assonanza, potrebbe suggerire paesaggi olandesi. (Né migliora la situazione la località dove ha sede la casa editrice, Porto Valtravaglia, che cuce insieme in un apparente ossimoro un porto e una valle.

Neuroni impazziti

8

di Pasquale Vitagliano

Erano diretti ai laghi. Piero e la sua famiglia, dopo una settimana di lavoro. Non uscivano spesso nei week end, ma almeno una volta al mese un’uscita ai laghi era d’obbligo. Piero è un tipo normale e insegna musica in una scuola media di Milano. No, non è proprio un tipo normale. E’ un musicista, suona e insegna pianoforte. Certo, in passato aveva sognato di girare il mondo facendo concerti. Oggi di concerti, per la verità, ne tiene, ma non per il mondo. Insomma, per vivere fa il professore. E questo lo rende normale. Ma resta sempre un pianista, uno che da inerti tasti e da uno strumento di legno, che già come arredo basterebbe a se stesso, riesce a far uscire fuori dei suoni, delle melodie. La musica. Piero è un musicista e tutti i musicisti sono a loro modo dei maghi.

Via dalla pazza folla

24

di Franz Krauspenhaar

Cristina Annino è una poetessa dalla lunga strada percorsa ma con tanti chilometri ancora da fare. Una donna-poeta che debutta nel ’68 con Non me lo dire, non posso crederci, già con una sua voce distinguibile. In breve, la sua poesia fuori da ogni “poetichese” viene molto apprezzata da Franco Fortini e da Vittorio Sgarbi, tra le varie pubblicazioni in poesia e prosa, appare nell’antologia Einaudi L’udito cronico, nei Nuovi poeti italiani n.3 (1984); ma la poetessa toscana non arriverà mai, nonostante la sua bravura e originalità a pubblicare con un grande editore. Troppo via dalla pazza folla dei questuanti, troppo indipendente, troppo stella solitaria.

Sul “Tiresia” di Giuliano Mesa

2

Roma, mercoledi 25 giugno 2008, ore 20:30

Centro culturale LA CAMERA VERDE
via G. Miani 20

Presentazione di Tiresia di Giuliano Mesa

Interverranno Francesco Forlani & Andrea Inglese

* * *

Sarà presente l’autore.
*

La camera verde — via G. Miani 20 — 00154 Roma — tel. 3405263877

Quel senso morale che abbiamo smarrito

16

di Franz Krauspenhaar

Essere imprenditori, si sa, costa sacrificio e responsabilità. Se poi si è imprenditori nel settore sanitario, questa responsabilità aumenta di intensità e di significato, esponenzialmente.
La triste, assurda vicenda dell’ospedale Santa Rita di Milano, dove le morti, molte di queste, sono divenute da qualche tempo atrocemente sospette, come se ci si trovasse, invece che in un luogo di cura, nel gabinetto del dottor Caligari convenzionato con Mabuse, diventando di ora in ora più drammatica, ci porta ad evidenziare nella nostra mente di cittadini alcune cose che spesso, nel passato, ci sono sfuggite. A parte il fatto che la malasanità in questo paese non si misura dalla rotondità delle cifra del 740, perché, convenzionati o no, è possibile morire insanamente ma in piena cura anche pagando, e profumatamente, ormai – e il caso del Santa Rita lo dimostra abbondantemente – siamo arrivati al prontuario sanitario commerciale, al catalogo d’estrazione dell’oro rosso – dicasi volgarmente sangue. Sangue nostro.

Sacrificio

23

di Gianni Biondillo

Giacomo Sartori, Sacrificio, peQuod, 189 pag, 16,00 euro.

Sacrificio riunisce in sé due primati: è uno dei libri italiani più belli che ho letto quest’anno ed ha, sicuramente, la copertina più brutta che io abbia mai visto. Un vero e proprio suicidio editoriale. Sono un difensore della piccola editoria ma, al di là della lungimiranza di peQuod di aver pubblicato Sartori, bisogna dirlo che non sempre “piccolo è bello”. Una copertina così raffazzonata allontana sia il “lettore occasionale” che quello “forte”, perdendo l’occasione di leggere un libro che reputo fra i più profondamente tragici che sono stati scritti in questi anni.

Poesia Visiva

9

di Luigi Socci

se uccisi i mercenari sono in salvo i responsabili dell’errore politico
(…)
se dovranno ricorrere alle vittime per scegliere gli eroi.

Corrado Costa

adesso vi faccio vedere una cosa
adesso vi faccio vedere una rosa
adesso vi faccio vedere la spina
dorsale di quella rosa
perché vedere è un’azione
concreta che si fa una cosa
adesso vi faccio vedere un video
adesso vi faccio vedere i filmini
del viaggio di nozze scherzavo
adesso vi faccio vedere un audio
adesso vi faccio vedere gli occhi
eccoli
in previsione di un’anteprima
adesso vi faccio vedere in un modo
mai visto prima

Walzer del fiore azzurro

5

di Antonio Sparzani

Dopo la ballata, tocca al walzer. Thomas Mann, si diceva, era della generazione di Jung e di Rilke. E allora un altro precedente dei Fiori blu Queneauiani lo cercherò nella Montagna Incantata, lo Zauberberg, che poi si potrebbe tradurre anche Montagna magica, come lo Zauberflöte, che è il flauto magico, e se c’è un romanzo di Mann in cui tutto è metafora, tutto è trasposizione esoterica, questo è certamente – già il titolo vi allude – la Montagna incantata. L’espediente narrativo è speculare a quello del Decamerone, nel quale il luogo da cui viene visto il mondo è ad esso esterno, e una grave malattia – la peste di Firenze – ammorba il mondo: nel romanzo di Mann, il punto di vista è il luogo dove la malattia sta: spesso fatale ma non deprimente, in qualche modo spensierata e insieme nascosta, e tale quindi da creare una comunità di adepti con un inviolabile legame di intensa complicità.

Sabbiolino

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La storia di questi accordi è riportata in Wikipedia. La versione originale della celebre ninnananna per la televisione tedesca si può ascoltare qui.

God bless you please Mrs Ramsay

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anne bancroft

di Chiara Valerio

Da bambina temevo che sotto al letto si annidassero esseri mostruosi. Demoni non meglio identificati ma assolutamente sanguinari con lunghi denti a sciabola occhi di bragia e artigli acuminati. Non sapevo quanti erano o da dove venivano ma sapevo che stavano sotto al letto in attesa del mio sonno. O di una distrazione. Quando sei bambina i demoni sono cose di cui avere paura, loro hanno i denti le unghie e il resto e tu hai paura. È quasi un patto. E infatti non mi sono mai addormentata prima di aver controllato che sotto al letto non ci fosse altro che polvere.

Sotto i colpi del generale Inverno

2

La drammatica campagna di Russia rievocata da Mario Rigoni Stern e da tanti altri testimoni diretti nel volume «Ritorno sul fronte» appena pubblicato da Transeuropa

di Angelo d’Orsi

A chi ci chiedesse quale sia stata la guerra peggiore della storia italiana, saremmo in tanti a non saper rispondere se non con difficoltà. Senza sicumera, ma con cognizione di causa Mario Rigoni Stern ha la sua risposta: la campagna d’Albania, nel secondo conflitto mondiale. Ma la «guerra più drammatica di tutta la nostra storia» fu quella di Russia. Sul tema, come è noto, egli ci ha dato, nel lontano 1953, quello che Giuliano Manacorda definì «forse il testo più alto» ispirato alla guerra mondiale, Il sergente nella neve. Ora, Rigoni Stern ritorna, per così dire, ancora una volta sul Don dopo molti altri scritti, in un’affascinante conversazione con Giulio Milani, che apre un libro di testimonianze, l’ultima delle quali con Hermann Heidegger, figlio del grande Martin. Il libro inaugura la collana «Margini a fuoco», diretta da Marco Revelli e Marco Rovelli (non è uno scherzo!), per le edizioni Transeuropa che, legate al nome del compianto Pier Vittorio Tondelli, si rilanciano ora con un bello sforzo innovativo in libreria.

RADIOBAHIA: racconti per canzoni [006]

3

di Marco Ciriello

RADIOBAHIA: suona

“There is a light that never goes out”
dei The Smiths

6.
L’uomo tiene d’occhio Il Muro che delimita la Zona. Borioso verso la vita, odia il suo lavoro, dorme poco, ride di meno. La sua mansione è sorvegliare e punire tutti quelli che provano a superare il confine. Funziona così: c’è uno che prova a muoversi e l’altro che gli impedisce di farlo.

Il mio piccolo mostro

19

di Irene Gironi Carnevale

“E’ poco più di una formazione benigna, ma bisogna toglierla”mi dice il medico, un modo carino per spiegarmi che nel mio seno sinistro c’è un piccolo mostro pronto a espandersi e a tentare di portarmi via. Un tumore, non mi è mai piaciuto girare intorno alle cose, preferisco chiamarle con il loro nome, così le affronto meglio. Mentre cerco di capire cosa provo, il pensiero va a mia madre. Da lei ho ereditato gli occhi verdi, le gambe lunghe, il carattere impulsivo e passionale e la familiarità al tumore al seno.