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Kurriculum

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di Franz Krauspenhaar

1967 Gli anni Sessanta hanno svelato quanto la forma, in tutte le sue forme, sia mutevole come l’umore di un ciclotimico. (Renato Serra Tavassi – Memorie di uno psicolabile torinese.)

“Gottverdammt!” Con questa consistente ma ben poco soave parola andava urlando la voce conica visigotica nella cornetta nera. Mio padre rispose qualcosa di molto gutturale e a muso duro, che non riuscii a capire. A scuola mi diceva il maestro Raho Umberto di Bisceglie o zone limitrofe che parlavo con l’accento di un terrone, e io mi sarei pisciato addosso dall’umiliazione: essere targato da inferiore proprio da lui, un pugliese: che infame. Solo perché mia madre, la Nuzza Tripodi, manteneva imperterrita la cadenza calabra e me l’aveva parzialmente trasmessa; così che certe parole le suonavo dure e meno strascicate di altre, che un po’ di accento milanese l’avevo anch’io, e vorrei anche vedere, puttanega.
Mio padre il Tedesco spiegò alla mamma la ueberterrona che quell’imbecille di Kunzstoff il rappresentante di Wuppertal-Elberfeld aveva detto una bestemmia e lui l’aveva messo al posto suo. Capitava spesso che mio padre mettesse al posto suo qualcuno; era sempre così, lo prendevano sottogamba per via della sua innata gentilezza e poi lui, quando l’avevano sbeffeggiato, rispondeva per due, tre, quattro rime ben stilettate o ad ascie conserte.
So che quel Kunzstoff di Wuppertal-Elberfeld si scusò per bene, in seguito. Ma intanto mio padre mi portò sulla sua Ford Consul grigio nebbia a fare un giro per la nebulosa, antonioniana periferia della Grande Metropoli Lombarda. Scendeva la sera con le sue ombre dolcificanti. Era un omone, il vecchio Karossa, il mio senior, e lo guardavo girare attorno ai cartelloni del Doppio Brodo Star, e poi sfrecciare sfiorando quasi il cartellone seguente, della lavatrice Indesit; e, poco più in là, quello mutlicolorato dell’Orzoro.
Era la mia prima letteratura succhiata quasi dal biberon, quella. Pubblicità, slogan, rime convenienti. Milano, tutta qui. Panettoni Motta. U là là è una cuccagna; con i prodotti Alemagna. Eccetera sloganando.
Cosa fosse il lavoro lo apprendevo di straforo da lui, mio padre. Mi arrivava il suo flusso venefico di giornate astiose mai del tutto digerite. I bisonti ammazzasette della ditta che non lo facevano respirare. Lo vedevo infelice, teso, gli occhi parevano spilli infissi nella prima notte. Aveva quarant’anni ma mi pareva già vecchio, arrivato al brusco traguardo, ancora forte come un toro ma piegato nella psiche dalle faccende esterne alla oasi-famiglia. Là fuori c’era un mondo di lavori tutti uguali e ingrati e infiniti che tendevano a distanza le mandibole alle persone, che li facevano stringere i denti per la rabbia ustionante, e arrossire per la disperazione di non essere vivi abbastanza. Inutile perdere tempo con la lettura dell’Inferno di Dante.

Verderame

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di Stefano Gallerani

Ora implicitamente ora alludendovi, da quasi vent’anni, cioè sin dal debutto narrativo, con Di bestia in bestia – immediatamente successivo alle incursioni settecentesche di Venere celeste e Venere terrestre -, Michele Mari va restituendo l’infanzia a una dimensione fortemente letteraria e personale. Ne ha fatto, insomma, un tema cardinale, se non il prediletto, la cifra distintiva di un immaginario in cui prevale l’estro affabulatorio, un impulso contagioso che si nutre delle parole come di visioni, dei sintagmi come di lampi di colore, degli aggettivi come di grumi di senso inespresso – o ancora da esplodere.

The Two (I due)

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di Philip Levine traduzione di Lisa Sammarco

When he gets off work at Packard, they meet
outside a diner on Grand Boulevard. He’s tired,
a bit depressed, and smelling the exhaustion
on his own breath, he kisses her carefully
on her left cheek. Early April, and the weather
has not decided if this is spring, winter, or what.

Dentro Babele

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di Paolo Sperandio

[ Relativity, 1953, Maurits Cornelis Escher (1898 – 1972) ]

Affermano gli empi che il nonsenso è normale nella Biblioteca, e che il ragionevole (come anche l’umile e semplice coerenza) è quasi una miracolosa eccezione.

J. L. Borges
[24 agosto 1899 – 14 giugno 1986]
La biblioteca di Babele [1941]

    Fu stranamente afoso l’autunno del 1941 a Buenos Aires. Notizie di una guerra mondiale ma lontana animavano le nostre serate ai caffè: non c’è argentino tanto argentino da trascurare ciò che accade in Europa. Col pretesto di un’assonanza di nomi o di una foto, ci esaltavamo al conflitto come fosse una sfida tra gauchos.
    Io in verità partecipavo soprattutto per incontrare Adelaida, assidua alle dispute sui comunicati militari e sulle novità letterarie. Dato che ho poca inclinazione per gli eserciti, il più delle volte mi limitavo ad ascoltare la sua voce calda, un po’ roca di sigarette senza filtro, osservando come le labbra le danzavano mollemente nel parlare.

El boligrafo boliviano 16

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di Silvio Mignano

8 novembre 2007

«Come si chiama il suo, signora?».
«Vicky, si chiama Vicky».
«Ah, è una femmina, dunque, o sbaglio?».
«No, non sbagli, caro, è una femmina», dice la signora Mariam accarezzando dolcemente la testa della sua Vicky.
«E non le dispiace che rimanga sola? Non ha mai pensato di presentarle qualcuno?».
«Sì, ci ho pensato. Ma poi ho deciso che sta bene così, da sola con me. Non ha bisogno di nessuno. Se poi cambierà idea me lo farà sapere lei direttamente, e allora si deciderà».

RADIOBAHIA: racconti per canzoni [005]

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di Marco Ciriello

Popular Electronic 1955

RADIOBAHIA: suona

“Why not smile” dei R.E.M

5.
Il Sopravvissuto, artista della riproduzione, uscì a testa alta dal disastro raggiungendo la suite fra due ali di folla. Le sue mani da pianista non salutarono nessuno, i suoi occhietti miopi, che erano stati nel vago incidente, non videro altro che sfumature: gente che s’assomigliava, pensando: è la solita carogna.

Sud n°11 come Riva

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La settimana scorsa abbiamo presentato a Napoli l’ultimo numero di Sud. Qualche giorno prima il Mattino di Napoli aveva dedicato un’ intera pagina della cultura alla nostra rivista pubblicando in anteprima un lunghissimo estratto del testo che Peter Handke ci ha offerto e che Stefano Zangrando ha magnificamente tradotto. Quello che segue è il mio editoriale.
E approfitto di quest’occasione per ringraziare tutti gli autori e lettori che hanno reso possibile il lungo cammino di Sud. In particolare Giorgio Di Costanzo che ci ha fatto dono di una bellissima lettera tratta dalla sua corrispondenza con Anna Maria Ortese.

CAMPO LUNGO
di
Francesco Forlani

Il numero 11 evoca ali da fascia sinistra. Lo sappiamo. Gioco e spettacolo del gioco. 1 plus 1, in una posizione di prossimità, di contiguità e mai di sovrapposizione. Tema di questo numero è la frontiera. Alcuni la chiamano confine, altri soglia, limite. Un paese limita un altro, fino a quando non lo elimina, appropriandosene. Così le cose. La città. In questi mesi in cui le strade partorivano mondezza come bastardi – eppure si trattava del packaging dei nostri sogni e sonni consumati – c’era chi insisteva a parlare di bellezza.

Segni sul muro

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di Renata Morresi

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frammenti dalla prigionia di a.m., 1978-2008

La memoria è del passato –
questo è il primo muro
prima del muro finto
prima del buco
dietro l’armadio,
tra il cuore e l’armadio
la memoria ha scavato
una traccia nuova,
un manifesto volere
la non-politica, il non-potere

Il dio dei denari

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di Marco Rovelli

In coda al libro Lavorare uccide ho inserito una canzone che ho scritto nel mio viaggio in Italia attraverso le morti sul lavoro. Un’Italia, quella, che non perde il suo passo letale. Dopo gli incontri con le donne che mi dicevano l’assenza che ha riconfigurato le loro vite – matres dolorosae – ho scritto il testo de Il dio dei denari. Lo si può ascoltare, in una versione provvisoria, qui: il-dio-dei-denari

L’angelo schiavo, accecato, impotente
sigilla di sangue innocente le porte
poi viene il signore onnipotente
e alle soglie imbiancate scombina la sorte

Siede per terra, la donna E soffia via la cenere
Guarda il cielo di sbieco E non può più attendere
Intorno tutto è infecondo Negli occhi il deserto
In fine è un grido che s’alza Dal suo seno aperto

Eccolo il dio dei denari
Che brucia vite e ne fa scorta
Macchina viva, carne morta
Non tutti gli umani sono uguali
Eccolo il dio dei denari

Cuba, l’isola che c’è

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di Giampaolo Graziano

Prima la liberalizzazione della vendita di lettori dvd, personal computer e forni a microonde, poi l’accesso ai telefoni cellulari, finora riservati a funzionari e dipendenti di società con capitali esteri: costano nove mesi di un salario cubano, ma chi traffica con i turisti o riceve le rimesse dei familiari emigrati a Miami, finisce che può anche permetterselo. Domani potrebbe essere la volta dei viaggi all’estero e di una piccola rivoluzione nell’organizzazione agricola. Forse. Perché quando si parla di trasformazioni sociali ed economiche, nell’isola di Cuba, un discreto condizionale è d’obbligo, soprattutto a prevenire le incomprensioni occidentali.

Il culto dei feticci nell’Italia contemporanea (3)

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di Michele Zaffarano

tenendo duro la mia mano fatta scorrere fra le sue cosce il suo nudo di base alla velocità con cui stava spostando la mano tirandola lentamente attraverso i fori della cintura in profondità ha gemuto forse un’esposizione della fase o ballare usando soltanto la bocca anche che oscillano con furia in un secondo appena si è mossa in avanti contro il torrente ha cominciato a spogliarsi è strisciata giù verso il suo amico mi ha sorriso mettilo a nudo nudo l’ha scorso velocemente mentre lo tiene all’incirca a metà sto per prendermelo in bocca abbiamo esaminato gli occhi di ciascuno aspettando per farci toccare trasportando la loro testa coperta bionda e baciandolo leggermente sulla guancia senza mutandine ha semplicemente sorriso e poi contenuto la risatina poi ha succhiato e leccato aiutandosi con loro

Sabato 14 a Milano meeting antirazzista

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(Il 15 novembre del 2007 pubblicammo sul sito Un manifesto di scrittori, artisti e intellettuali contro la violenza su rom, rumeni e donne – il triangolo nero. Di recente, abbiamo pubblicato un appello in difesa del popolo rom promosso dalla Libera Università delle donne. Io spero davvero che queste iniziative comincino a concretizzarsi questo sabato 14 giugno a Milano con un sostegno al meeting antirazzista, di cui dò qui notizia. Mi auguro d’incontrare molte persone. A. I.)

dal sito www.informa-azione.info/
MEETING ANTIRAZZISTA A MILANO
Venerdì 13 giugno
Dalle 15 in via Barzaghi
Assemblea e festa con i ROM

Sabato 14 giugno
Corteo in Quartiere, concentramento ore 15.30
Piazzale del Cimitero Maggiore – Capolinea tram 14

Schedatura dei Rom sotto i nostri occhi

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(Ricevo da Giuseppe Catozzella e volentieri pubblico. FK)

Questa è una lettera di Giorgio Bezzecchi, vicepresidente dell’Opera Nomadi, Associazione nazionale nata nel 1965 per promuovere interventi atti a togliere gli zingari e altri nomadi dalla situazione di emarginazione in cui sono relegati. Giorgio Bezzecchi, rom, da anni lavora per la promozione sociale, politica e culturale dei rom a Milano.
La sua famiglia vive in un campo del capoluogo lombardo. Suo padre è stato deportato in un campo di concentramento, dal quale per fortuna è tornato vivo. Suo nonno, prigioniero in un altro campo di sterminio, non è sopravvissuto.
Domani tutta la sua famiglia sarà fotografata e schedata, conformemente alle attuali decisioni del prefetto che prevedono un rilevamento completo di tutti i rom residenti nel territorio milanese. È stato deciso un rilevamento di identità da parte della polizia su base esclusivamente etnica.

Il K. Tortora. Quello che i classici dicono

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il 17 giugno 1983, sulla base delle accuse di un pentito della camorra, Enzo Tortora viene arrestato.
Qualcuno doveva aver diffamato Josef K. perché, senza che avesse fatto nulla di male, una mattina venne arrestato


Primo interrogatorio

K. era stato informato telefonicamente che la prossima domenica avrebbe avuto luogo un piccolo interrogatorio sulla sua questione. Gli fecero notare che in futuro ci sarebbero stati con regolarità altri simili interrogatori, abbastanza spesso anche se non ogni settimana. Era interesse di tutti portare a termine il processo il più alla svelta possibile, d’altra parte però gli interrogatori dovevano essere esaurienti sotto ogni punto di vista, e tuttavia non durare mai troppo a lungo, per via della tensione che comportavano. Per tali motivi era stata scelta questa procedura di interrogatori frequenti, ma di breve durata. La scelta della domenica come giorno di interrogatorio aveva il significato di non disturbare K. nella sua professione.

Quando la “razza” conta?

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(Prima puntata qui, seconda puntata qui. A. I.)

Fra pratiche discriminatorie e trattamenti eguaglianti

di Costanza Margiotta

1. A partire da una storia di stereotipi e pregiudizi

 

Vorrei iniziare questo contributo narrando una storia di varia umanità, diversa da quella inserita nell’intervento di Mauro Barberis al Forum «Legge, “razza” e diritti. A partire dalla Critical Race Theory», curato da Thomas Casadei e Lucia Re per «Jura gentium. Rivista di filosofia del diritto internazionale e della politica globale» (1). Si tratta sempre di esperienze vissute sui mezzi pubblici o piuttosto semi-pubblici precisamente su un treno in transito per la stazione di Bologna, nei giorni successivi al ritrovamento del corpo del piccolo Tommaso Onofri nei pressi di Parma. Al momento dell’ingresso in stazione una ragazza bianca, davanti alla porta del treno, dove si trovava anche il controllore, inizia ad agitarsi chiedendo se qualcuno avesse visto la sua valigia lasciata incustodita proprio in quella parte del vagone. La reazione immediata del controllore bianco è quella di fare notare alla ragazza come credesse possibile ritrovare una valigia lasciata incustodita in un treno frequentato da «negri». Malauguratamente per il controllore davanti alla porta di quel treno non mi trovavo solo io, ma anche una ragazza nera, la quale non aspettò un secondo per far notare al controllore che la sua era una affermazione profondamente razzista: gli chiedeva insomma come facesse a dare per scontato che dovesse essere stato per forza qualcuno di colore a rubare la valigia.

 

La rosa nera delle avanguardie

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di Marco Simonelli

La chiamano La rosa nera delle avanguardie. Da 25 anni Diamanda Galás presta la sua ragguardevole estensione vocale per incanalare in un flusso sonoro (spesso agghiacciante, spesso insostenebile persino per l’ascoltatore più estremo) un lamento funebre straziante che pare prodursi nelle viscere di un inferno dantesco.

Piccolo post (anche) retorico scritto da cuore di mamma

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di Helena Janeczek

Leggo che il bambino- anzi: il bimbo- di tre anni colpito venerdì sera da un proiettile durante una festa di una scuola a Melito Porto Salvo, in provincia di Reggio Calabria, è stato operato al ospedale Bambin Gesù di Roma e ora sarebbe stabile ma grave. O grave ma stabile. Prognosi strettamente riservata, in ogni caso.

Gli indici di Nazione Indiana

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Abbiamo costruito un indice analitico degli argomenti trattati in Nazione Indiana dal 2003 ad oggi: sono basati sui tag degli articoli (indicati nel colophon di ogni pezzo) e speriamo che aiutino i lettori a trovare cose interessanti tra gli oltre 3500 articoli di Nazione Indiana. Li trovate qui:

L’opera di indicizzazione degli articoli di archivio è in corso, ogni redattore si è fatto carico di un certo gruppo di articoli e li sta completando con i tag appropriati.

Firenze Poesia. Voci lontane, voci sorelle

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10-23 giugno
Festival internazionale di poesia, sesta edizione

letture di poesia, incontri con i poeti, presentazioni,
confronti sulla situazione della poesia italiana e internazionale

ingresso libero

Parigi, una messa

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di Dario Borso

Il 21 aprile 1964, nella gran sala del Palais dell’Unesco, strapiena, Jean Beaufret prende posto sulla tribuna a lato di Jean-Paul Sartre e di Gabriel Marcel. L’occasione è un omaggio a Kierkegaard. Si assiste quasi a una prova generale di certi aspetti del Maggio 68: la folla degli studenti, esclusa dalla sala riservata agli invitati, preme violentemente alla porte e riesce a forzarle; s’installa sui gradini e deborda ovunque. Perché tale insistenza quasi insurrezionale? Per ascoltare Sartre che legge con voce secca e monocorde un testo notevole (Questioni di metodo), ma troppo arduo per un uditorio divenuto intanto saggio e silenzioso.