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Due interventi da leggere assolutamente, per me.
Il primo è di Giuseppe Genna:

Dunque, nell’avanguardia della decadenza italiana, nella culla della sua dissoluzione, cioè nella Milano che guida il mostro lombardo, ci si prepara a “nuovi limiti all’aborto terapeutico, vietato dopo la 21esima settimana (o, tutt’al più, dalla 22esima e 3 giorni). Non solo: l’interruzione di gravidanza per motivi di salute della donna vincolata al via libera di un’équipe di specialisti (tra cui, eventualmente, anche uno psichiatra). E il divieto dell’aborto selettivo in una gravidanza gemellare in assenza di reali problemi fisici o psichici della paziente”

prosegue qui.

il secondo è di Antonio Scurati:

L’Italia non è un Paese cattolico. Le chiese sono vuote, le vocazioni estinte, i testi sacri ignorati. Soprattutto, le scelte di vita fondamentali degli italiani non sono ispirate ai precetti della Chiesa. Si tratta di un fatto di portata ben più ampia della laicità dello Stato. Si tratta di riconoscere che la grande maggioranza degli italiani vive e pensa da laica e da materialista.

prosegue qui.

Silvana Mangano. Un requiem

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di Nadia Agustoni

madrid 16 dicembre 1989*

non più il corpo acceso non più d’uccello regale il profilo

ma il silenzio tutto di carne e dolore e impreciso

che non sa dirsi o è traccia su traccia d’altro…

il fuoco congiunge ma fa cenere dilapida

senza boato e aggroviglia a volte

l’essere donna, ragazza, bambina nuda una parola

bianchissima dall’eco chiusa sul futuro

scesa fino alla tua distanza fino a dimenticarsi.

* Data della morte dell’attrice.

Gaetano Cappelli, Storia controversa dell’inarrestabile fortuna del vino Aglianico nel mondo

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cappelli.jpgdi Matteo Di Gesù
A quanto pare una delle sfolgoranti virtù di Gaetano Cappelli consisterebbe nel fatto che, pur essendo uno scrittore del sud (della Basilicata, per la precisione) e pur ambientando al sud (in Basilicata, per la precisione) le sue storie – come questa controversa dell’inarrestabile fortuna del vino Aglianico nel mondo – egli ha coraggiosamente rinunciato a scrivere «varianti di Cristo si è fermato a Eboli, oppure storie di mafia, di sangue, di miseria, di incesti» (D’Orrico): si è rifiutato, insomma, di dare fondo al consunto bigoncio di luoghi comuni al quale sovente si attinge per infarcire i libri ambientati qualche chilometro sotto alla linea gotica.

gilgames’

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di Laura Pugno

campo di grano selvatico
latte di asino selvatico
il selvatico che non conosce –

esce dalla sabbia
legge i sogni
vedi nel movimento della sabbia
che è presente

vedi
il luogo splendente,

che è–cerca,
che coincide

Post (moderno):la monnezza spiegata ai bambini -1

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Modern/Postmodern, 1980 Mark Tansey

Dialettica dei rifiuti
di
Fabio Matteo
Consigliere di Amministrazione della ASìA Napoli s.p.a.
www.Asianapoli.it

Nel 1878 F. Engels avvertiva in Dialettica della natura: “Non aduliamoci troppo per la nostra vittoria umana sulla natura; la natura si vendica di ogni nostra vittoria” . La previsione di un futuro di cieche violenze esponenziali inflitte al suolo, all’acqua e all’aria del nostro pianeta, si basava allora sugli effetti della timida quanto feroce rivoluzione industriale ottocentesca, mentre la minaccia di una vendetta, di una ritorsione possibile sul nuovo sistema imposto dall’era tecnologica avanzata, era un monito chiaroveggente ad imporre regole di protezione sociali e naturali. Nell’avvicendarsi degli eventi storici, scarse sono state l’attenzione e la lungimiranza posta sull’accordo di quelle regole che a seconda delle fasi di sviluppo industriale ed economico avrebbero dovuto salvaguardarci. I rifiuti sono solo l’ultimo male da scontare, un cancro della natura, tanto più simbolico della nostra cecità in quanto ci lascia brancolare nel buio (e nel tanfo) delle nostre stesse “vittorie umane”, dei nostri consumi così deteriorabili eppure tanto difficili da smaltire.

Diorama dell’est #8

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di Giovanni Catelli

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Andel

Come stringi ancora nello sguardo le tue belle, perdute alle domeniche infinite, preda chissà di quali vani svaghi, ancora le trattieni per la mano e mostri cieli di crepuscolo, ampi annunci di fortuna, serpi fiduciose di tram nella distanza, con i fari tardivi a lustrare il filo dei binari : Andel, Hellichova, Ujezd, Malostranska, tutte le stazioni della sera e dell’addio, alle perse giornate vaste come anni, e sigillate nell’attimo, in un chiudersi di porte, un sorso di caffè, un virare di lancette, un morso di labbra e di respiri.

‘O Rebus

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di
effeffe
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La soluzione per Napoli e Campania è…

Un frammento di memoria da salvare

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Rocco Gatto era un uomo perbene. Era un mugnaio calabrese, testardo e comunista, con la passione degli orologi e quasi un’ossessione per l’onestà. Rocco Gatto si ribellava ai soprusi, non pagava il pizzo e denunciava i mafiosi. La ‘ndrangheta l’ha ammazzato il 12 marzo 1977.

Richieste ravvicinate del terzo tipo

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[richieste raccolte da amici librai (Deanna, Debora, Giorgia, Giovanna, Ilary, Itria, Monica e Marco) a Modena e Forlimpopoli e da me prontamente rigirate all’inclito pubblico di NI. G.B.]

La crescenza di Piacenza di Stendhal.

I Poveretti di V. Hugo.

– Dove posso trovare Le mele di notte?

Sodoma di Saviano.

Paesi Bassi

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di Marino Magliani

Prima di quel giorno Gregori non era mai stato al consolato italiano di Amsterdam. Gregori abitava in Olanda da parecchio, in una cittadina sul Mare del Nord, anche se a volte gli risultava difficile sostenere che viveva in Olanda, egli in realtà abitava in una stanza, la cui finestra dava su una strada alberata e sul mare. Dentro quella stanza il signor Gregori scriveva storie. Tutto lí. Quel giorno si recó al Consolato perché aveva ricevuto una proposta di lavoro. Avevano saputo che era un buon traduttore dallo spagnolo e avevano pensato a lui per l’attività di interprete. Cosí, dopo essersi presentato all’ufficio amministrativo, Gregori fu ricevuto dal Console in persona. Era un signore alto e distinto, e guardava dritto negli occhi.

E quasi una ragazza era . . .

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costellazione della Lira

vi propongo uno dei sonetti a Orfeo (il II), di Rainer Maria Rilke, scritti nel 1923 nel suo ultimo rifugio di Château de Muzot, presso Sierre, nel cantone Vallese della Svizzera, con due differenti traduzioni, l’una di Giaime Pintor, contenuta nel volume Poesie (Einaudi 1963) e l’altra di Giacomo Cacciapaglia, nel volume Sonetti a Orfeo, (Studio Tesi 1990), La prima è quella di Pintor, in fondo trovate il testo originale. a.s.

 

E quasi una fanciulla era. Da questa

felicità di canto e lira nacque,

rifulse nella trasparente veste

primaverile e nel mio udito giacque.

Orti di guerra

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di Linnio Accorroni

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Consiglio di lettura numero uno: aprire il libro e piluccare, in mero ordine cronologico, tre o quattro ‘Orti’ di seguito o tre o quattro pagine di seguito (cioè più o meno 7/8 ‘Orti’) senza interruzione alcuna. Come per miracolo, d’acchito, ci si troverà, dopo la lettura, sia essa cursoria o meditatissima a: sorridere, indignarsi, sghignazzare, immalinconirsi, scuotere la testa, incazzarsi, rattristarsi, commuoversi. Chiudere il libro. Se lo si desidera: uscire, leggere altro, incontrare, passeggiare, sentire musica, guardare la Tv, mangiare, dormire. Riaprire il libro: rieseguire fedelmente ciò che sta scritto nel Consiglio di lettura numero uno.

Ah, nos amours! effeffe

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from Procida
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Il mio Faletti

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di Franz Krauspenhaar

Faletti, il noir italiano. Faletti all’Isola d’Elba mangia una trota spedita in busta refrigerata chiusa dal Lago Maggiore. Faletti si masturba pensando ad Antonio D’Orrico. Faletti che fischietta Minchia signor tenente mentre si fa la doccia. Faletti a Montecarlo, venti anni fa, incubando Io uccido, mangiando crostacei, Crystal Rosé in ghiaccio, la moule n.1 sul piatto, la moule n.2 in camera da letto, mitile noto, ginecologicamente prossimo all’apertura.

Brindisi augurale

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 a f.m.

Alla carrarina. Si leva il bicierin in alto, lo si fa digradare verso terra, poi lo si porta a sinistra e infine a destra: un segno della croce, insomma, e l’importante è che l’occhio non perda mai di vista il vino. Si salmodia nel gesto apotropaico: “chiar al’è chiar – muscirin an’in’en – te’n te vò – te nemmanco – al’beve me” (più o meno). Va da sé che si pronuncia l’ultimo verso levando il bicierin alla bocca per assimilare il Verbo.

Visione delle ossa aride

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di Giorgio Vasta

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Camminando per Palermo, una volta con il piede prendo un osso. È bianco, calcinato dalla luce della luna, a forma di pugno, completamente spolpato. Lo tocco con la punta della scarpa e poi me lo passo da un piede all’altro per un po’ di metri, schivando i platani e lanciandolo in avanti sul marciapiede. Quando torno in città ed esco a camminare ne trovo spesso, di ossa. Sono piccole esplosioni secche e dure. Eruzioni. Credo vengano fuori dal cemento della strada. Si trovano le ossa degli arti, un pezzo di colonna vertebrale, una mandibola. Animali che muoiono e restano lì in laboriosa decomposizione, i gas che scoppiettano nel silenzio della notte, la giostra degli insetti visibili e invisibili che brulica e si nutre, una specie di festa biologica, necrologica (nella misura in cui a Palermo, ogni giorno, biologia e necrologia coincidono in modo naturale, senza strepiti), che prosegue nel corso dei giorni con la pietra che assorbe i resti, con la loro restituzione quando dopo la pioggia l’acqua reflua porta fuori quello che stava nel profondo.

Con una poesia di Wystan Hugh Auden

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Ho ricevuto da Domenico Scarpa, this present. Su mia richiesta ha accettato di condividerlo con i lettori di Nazione Indiana. Auguri a tutti.
effeffe

Care amiche e amici,
vi mando una poesia di Auden tradotta da me per augurarvi un buon 2008. Il titolo originale è As I walked out one evening. E’ molto bella: una filastrocca irrequieta, a tratti spietata, ma credo che sappia dare a chi la legge una forza rabbiosa, da terremoto, una forza allegra anche nel dubbio e nello strazio. Spero che anche in italiano, di questa poesia, qualcosa sia rimasto. L’anno nuovo, invece, è lì tutto intero, e mi auguro che dia il meglio a tutti quanti voi. Un caro saluto e a presto.

Domenico

Una sera che andavo passeggiando
di
Wystan Hugh Auden

trad. Domenico Scarpa

Una sera che andavo passeggiando –
Facevo Bristol Street nello scuro –
La folla che affollava il marciapiede
Era grano a distesa, maturo.

Lungo la riva del fiume pimpante
Sentii un innamorato cantare
Sotto un’arcata della ferrovia:
“L’amore non può mai finire.

Il cane di Ptosis

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di Alejandro Jodorowsky

Alejandro Jodorowsky

[come fausto presagio per il nuovo anno, non resisto alla tentazione di offrirvi questo racconto di Jodorowsky, tratto dalla raccolta Il passo dell’oca, Oscar Mondadori, 2007. a.s.]

Ptosis si sentì orgoglioso e ne aveva motivo: dopo studi pazienti aveva scoperto ciò che poi fu chiamato “Il cane di Ptosis”. Scoprire qualcosa di nuovo nel sacro film Notti d’amore a Bombay era praticamente impossibile.

Il popolo di Lexgopol, unico sopravvissuto alle guerre preistoriche, aveva eliminato !’immaginazione (fonte di ogni male) da molti millenni. Mediante lobotomie generali era stato soppresso !’istinto del gioco. Si era venuta a creare una razza burocratica capace di vivere senza nostalgia di cambiamenti o avventure.

Il mondo di Christina

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di Francesca Matteoni

Sfoglio un libro ricevuto da poco, Memory and magic, il catalogo di una mostra sul pittore realista americano Andrew Wyeth. Mi sembra appropriato, sottintende la memoria come tema costante dell’artista, la magia come attitudine dello sguardo. Le scene rurali, la quieta solitudine del paesaggio, la concentrazione sui particolari, come il tessuto sottile di una tenda che ondeggia sul chiaro del vetro, le foglie intrappolate nel ghiaccio o la prospettiva scelta per raccontare una foresta di sempreverdi – il loro riflesso capovolto nel lago, l’immersione e l’uso delle figure umane come strumenti di un messaggio, trasformano la realtà in una dimensione dello spirito.

Il luna park di David Lynch

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di Giovanni Carta

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All’inizio di Ninna Nanna, uno degli ultimi romanzi di Chuck Palahniuk, c’è una frase che starebbe proprio bene scritta nelle ampie stanze del piano terra della Triennale di Milano, che dal 9 ottobre ospitano The Air is on Fire, la mostra ideata da David Lynch per la Fondation Cartier di Parigi: “La maggior parte delle risate preregistrate che si sentono in tv, risalgono all’inizio degli anni Cinquanta. Oggi buona parte della gente che sentite ridere è morta”, scrive Palahniuk. Queste parole non solo fanno pensare all’iconografia decadente, stile Chateau Marmont, cui si sono votati anche diversi attori che vedevamo in quelle serie (Dana Plato, la Kimberly di Arnold, si è suicidata a trentacinque anni con un’overdose di farmaci dopo una vita che definire piuttosto movimentata è un eufemismo; Brian Keith, il popolare zio Bill di Tre nipoti e un maggiordomo si è tolto la vita nel ‘97; solo per citarne due), ma sono anche l’epigrafe ideale a un’opera senza titolo che chiude la mostra di cui sopra.

Scriverei anche di un sasso

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Franz Krauspenhaar intervista Cristina Annino

Cristina Annino è una bionda bellezza matura che ricorda le eroine hitchcockiane, è una toscana che dice quello che pensa non per vezzo ma per imposizione del benigno demone del suo carattere, soprattutto è una poetessa importante. E se dico importante non voglio dire che ha il petto colmo di medaglie al valore e onorificenze al merito, ma perché il suo lavoro letterario, pur poco conosciuto per varie ragioni, ha inciso e incide, se le si da la giusta attenzione, se insomma ci si sofferma a leggerne con la necessaria partecipazione i brani, gli episodi, i capitoli. Cristina è un’artista che ha maturato  lungamente la sua poesia e nell’età di una giovane maturità, l’età di quando si capisce – se si ha la fortuna di non aver perso la bussola prima – chi davvero si è nel mondo, è arrivata a un passo da un riconoscimento che le è stato negato, sostituito da un silenzio che lei contribuisce ad alimentare.