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Il letto di Procuste e la Cura Ludovico #3

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di Giorgio Vasta

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Seconda intervista sull’editing e il sistema editoriale. Le sei domande sono sempre le stesse dell’altra volta. Le risposte sono di Giulio Mozzi, curatore della collana Indicativo Presente per l’editore Sironi e del progetto editoriale vibrisselibri.

Proviamo a partire da una definizione secca: che cosa si intende per editing?

Non so che cosa “si intenda”. So che cosa intendo io. (Di definizioni ne ho sentite tante, e nessuna mi soddisfa). Intendo: un lavoro che inizia nel momento del primo contatto tra l’autore e l’editore, e termina quando si manda in stampa. In questo lavoro l’autore e l’editore possono avere lo stesso scopo, o scopi diversi. Il caso in cui gli scopi sono diversi non mi interessa (e non dovrebbe neanche esistere, secondo me: ma esiste, e se esiste è perché l’autore o l’editore o entrambi sbagliano).
Ovviamente la situazione ideale è quella in cui l’opera proposta all’editore è tale, che l’editore può solo fare un inchino di rispetto.

Nella mia ora di libertà

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Oggi è il 25 aprile e non riesco a pensare – malgrado i 62 anni trascorsi – che sul blog non ci sia un segnale di questo. Vi propongo il testo di una delle canzoni di Fabrizio de André che preferisco. Basta leggerla e si capisce subito che non sia tra le più trasmesse e frequentate. Altro che Marinella e Bocca di rosa. Andrebbe frequentata di più, e c’entra col 25 aprile. (Forse qualcuno più abile di me potrebbe inserirci anche la musica.) a.s.

Nella mia ora di libertà

Di respirare la stessa aria
di un secondino non mi va
perciò ho deciso di rinunciare
alla mia ora di libertà,
se c’è qualcosa da spartire
tra un prigioniero e il suo piantone
che non sia l’aria di quel cortile
voglio soltanto che sia prigione,
che non sia l’aria di quel cortile
voglio soltanto che sia prigione.

Il primo ricordo al mondo

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di Christian Raimo

Il primo ricordo al mondo
è quello di mio nonno a un anno
che si ricorda di sua madre partoriente
seduta su uno sgabello in bagno
con una bacinella al fianco.
È una medusa con le mignatte in testa
e le pietre bollenti sotto i piedi
per farle fluire verso il basso il sangue,
verso la terra dalla quale venne.

Cho, Ntuyahaga

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di Andrea Raos

La scorsa settimana ho passato qualche giorno a Montreal, invitato ad un incontro di scrittori attorno al tema della “confessione” (“l’aveu”, cioè non la confessione cristiana ma quella diciamo, in senso lato, giudiziaria). Non ero invitato a parlare ma solo a leggere qualche poesia e a partecipare, se volevo, al dibattito sugli interventi altrui. In pratica, ero in vacanza.

Nelle pause dei lavori, in albergo, guardavo la televisione.

Con in testa il tema della confessione, intontito dal fuso orario, ho visto scorrere rapidissime le immagini iniziali del processo appena iniziato a La Haye contro Bernard Ntuyahaga, uno degli attori del genocidio rwandese.

Soprattutto, molto più lentamente, ho assistito in diretta su CNN al massacro che ha avuto luogo in quell’università in Virginia e poi, da quando sono stati recapitati a NBC e da lì catapultati sul mondo, ho rivisto e riascoltato mille volte le foto e i video di Cho Seung-hui.

Le immagini e le idee si sono fuse.

Una puntata per Welby

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di Francesca Serafini

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Negli ultimi quattro anni ho ucciso un centinaio di persone. Ho violentato bambini comprati su internet. Ho cambiato sesso, in segreto, e ho rischiato di finire dentro per custodire quel segreto. Ho fatto a pezzi una ragazza per nascondere un aborto clandestino andato male. Ho ucciso uno che non c’entrava niente perché l’ho scambiato per un altro. Ho venduto valvole cardiache difettose per guadagnarci di più. Ho nascosto rifiuti tossici di cui gestivo il traffico. Una donna che abitava nei paraggi si è ammalata di tumore. Io ho ucciso il marito perché lo voleva denunciare. Ho dato soldi in usura e una lezione a chi non rispettava le scadenze. Ho portato a battere un certo numero di puttane. Ho spacciato roba buona e ho spacciato roba cattiva, guadagnandoci gli stessi soldi; e poi ho ammazzato uno che l’aveva scoperto e voleva sputtanarmi su un fumetto. Ho ucciso per soldi, per vendetta, per precauzione. Qualche volta per amore. Ho rubato, truffato, rapinato, violentato. Mi sono data un sacco da fare.

Juke box / Carmela

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[l’ascoltavo oggi – questa ed altre splendide canzoni interpetrate da Guglielmo Chianese in arte Sergio Bruni – mentre scrivevo una cosa. M’è venuta voglia di condividerla. G.B.]

parole del poeta Salvatore Palomba musica del maestro Sergio Bruni

dal romanzo “Autoreverse”

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di
Francesco Forlani
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Scena terza

Quel che ho visto al principio è stato un hangar . Pare che avessero penato non poco quelli del Demanio per trovare un luogo abbastanza grande da poter contenere il fondo manoscritti di Pavese. Una massa di dattiloscritti, libri, carteggi, che un’onda di fango aveva travolto nel novembre del 1994, durante la terribile alluvione, a Santo Stefano Belbo.

Volontari accorsi da ogni angolo del Piemonte si facevano coordinare, organizzare, assegnare all’ingrato compito di contabilizzare il male, cifrare l’entità del disastro. E nella realizzazione del lavoro sporco trovavano il mordente covando in sé un odio innato verso l’oblio. Ci sono distruzioni della memoria dei luoghi che sono pianificate, come una retata di polizia gettata sul mare delle infrazioni. O quando i signori radevano al suolo le roccaforti del dissenso e vi gettavano il sale delle delazioni, proprio mentre i carri dei vincitori portavano via dagli archivi ogni memoria dei vinti.

L’energia

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di Antonio Sparzani

Come ci riferisce Diogene Laerzio (III sec. d.C.), allorché nelle sue Vite dei Filosofi parla del grande Epicuro (IV-III sec. a.C.), nell’antichità, ma anche – aggiungerei – poi nel Medioevo, si dibatteva del singolare tema se il piacere fosse connesso necessariamente col movimento o se consistesse semplicemente nell’assenza di dolore (piacere catastematico, ovvero calmo e stabile). Diogene osserva che, a differenza dei Cirenaici che “non ammettono il piacere catastematico, bensì soltanto quello che consiste in un movimento”, Epicuro li “ammette entrambi, quello della mente e quello del corpo”. E infatti, entrando poi nel merito della dottrina epicurea, Diogene cita esplicitamente la seguente affermazione di Epicuro: “Infatti, l’imperturbabilità e l’assenza di dolore sono piaceri catastematici, mentre la gioia e la letizia sono viste come piaceri in movimento e in azione” (1). Questa locuzione “in azione” è, nell’originale, energeìa(i), dove la parola vale ‘attività’,(2) qualcosa comunque di dinamico. Deriva ovviamente da érgon, opera, impresa, dalla stessa radice indoeuropea che ha dato luogo al tedesco Werk e all’inglese work, tanto per dire.

L’inizio della discesa

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di Franz Krauspenhaar

1.Come si chiama quell’attrice del cazzo, l’americana che sembra un’inglese, quella del tipo manico di scopa, tipo non mi toccare che mi sguincio? Ah ecco, sì, ora ricordo: si chiama Gywneth, Giywenet, Gwyneth, insomma G.- qualcosa- Paltrow. Puttana schifosa! La ucciderei con le mie stesse mani, lo giuro. Guardala qua, in copertina, Upper West Side – al massimo zone limitrofe; la porca schifosa non me lo farebbe tirare nemmeno con un cuba libre corretto Viagra di due litri e mezzo sborra inclusa – inclusa nel cuba, ovvio. Cazzo, l’antipatia femminile ultimamente è salita alle stelle. Antipatia glamour. E guardale un po’ tutte queste puttane, tutte uguali col loro ombelico di fuori e il loro merdoso piercing al naso, fica, ombelico, culo, e il pantalone a vita bassa, o mediobassa, e che cazzo ne so, ma insomma eccetera, eccetera, eccetera. V’abbasso io la vita, stronzette del cazzo, vi falcio e vi mieto. E vi mato… Mato Grosso così. Calembour inutile. Inutile tutto. Vita schifa, sì, troppo.

è proprio dai prodotti di nicchia che guadagna più soldi

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dscf0537.JPG di Gherardo Bortolotti

Contro la supposta orizzontalità della rete esiste un controargomento statistico, rappresentato da una curva di distribuzione che si presenta continuamente quando, nei sistemi umani, ad una libera scelta viene offerto un ampio spettro di possibilità. Questa curva vede una minima porzione dello stesso spettro ottenere un consenso sproporzionato. Nel caso dei blog, per esempio, si ha che solo una minima parte degli stessi viene visitata da un numero ingente di navigatori mentre la stragrande maggioranza della blogosfera è caratterizzata da un rapporto blog/frequentatori piuttosto scarso.

Go Nagai alla Sapienza!!!

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Dopo Sud e Nord, Go Nagai accontenta anche i fan del Centro Italia con un incontro presso il prestigioso ateneo! Non capita tutti i giorni di avere Go Nagai in Italia e per l’occasione gli staff di Comicon e di d/visual hanno voluto farsi in tre per accontentare tutti i fan della penisola! E questa volta lo fanno grazie alla partecipazione di un nome d’eccezione, quello dell’Università degli Studi di Roma che ha offerto il prestigioso spazio dell’Aula Magna per l’incontro col Maestro! Merito anche delle radici “fumettistiche” della facoltà di Studi Orientali dell’ateneo: la prof. Maria Teresa Orsi è una delle massime autorità italiane sul manga sin dai tempi in cui la maggior parte degli italiani credeva che fossero una sorta di frutto tropicale; in particolare il suo studio sul fumettista Yoshiharu Tsuge rimane una pietra miliare della saggistica relativa ai fumetti giapponesi.

El boligrafo boliviano 2

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di Silvio Mignano

24 gennaio 2007

È il giorno delle Alasitas. L’idolo aymara Ekeko, che salvò dalla fame La Paz assediata dagli ultimi Incas nel 1781, invade oggi le piazze della città con un esercito di artigiani e venditori che espongono migliaia di incredibili miniature di qualsiasi cosa possa venire in mente. Dollari americani ed euro perfettamente riprodotti in scala, edizioni dei giornali, certificati di laurea e di proprietà che entrano nel palmo di una mano, passaporti poco più grandi di un polpastrello, casette tascabili con i loro bei giardinetti rettangolari, automobiline, manine, bebè, cucinini, pentolini, rane e rospi, rane e rospi dovunque, perlopiù dorati.

Una identità a misura di vittima

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di Daniele Giglioli

L’identificazione con la vittima è diventato il principale generatore di identità nella coscienza contemporanea, l’unico dispositivo discorsivo in grado di dar voce non tanto a un bisogno di avere (diritti, sicurezza, giustizia), quanto piuttosto a un desiderio di essere. Solo nella forma cava della vittima troviamo oggi un’immagine verosimile, anche se rovesciata, della pienezza di essere a cui aspiriamo: l’immaginario della vittima ha finito per assumere il carattere di quella che Furio Jesi chiamava una «macchina mitologica», una macchina che a partire dal centro vuoto di una mancanza genera incessantemente una mitologia, un corpus di figure capace di soddisfare un bisogno che proprio da quel vuoto ha tratto origine.

Il ritorno

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di Roberto Saviano

Ci sono dei momenti in cui hai l’impressione di attraversare il tempo diversamente, come se secondi e minuti si unissero in una specie di coltre, costringendoti a comprendere che ogni momento ti resterà tracciato nella memoria. Vivere il ritorno televisivo di Enzo Biagi è uno di quei momenti. Quando Loris Mazzetti, giornalista e regista, mi ha portato l’invito di Enzo Biagi ad andare in trasmissione avevo compreso la necessità di quest’incontro, la necessità di partecipare al ritorno di qualcosa che era stato spezzato piuttosto che interrotto.

Una nuova forza trasversale

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[Da “Il libro di Kipli”, 1992]

Se hai capito chi siamo,
sai che il sistema della partitocrazia è vecchio
e va sostituito con qualcosa di nuovo,
ma non da altre piccole formazioni che si aggregano
e si disfano da una legislatura all’altra…
Perché, se hai capito chi siamo,
sai che i partiti vanno riformati dall’interno,
sai distinguere tra demagogia e progetti,
che è giusto parlare di onestà,
ma non è onesto farne uno strumento elettorale.
Se hai capito chi siamo,
sai che non amiamo i nostri partiti,
ma ci restiamo dentro;
che se voti il nostro partito,
forse stai votando contro di noi,
e se voti un partito avversario,
forse stai votando per noi.
Se hai capito chi siamo,
conosci la gente che vuole unirsi nelle idee,
ma rimanere divisa nelle ideologie…
Se hai capito chi siamo,
spiegacelo!

Dalla poesia alla paesologia

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di Franco Arminio

per Elena e Gianni

Ho pubblicato la mia ultima raccolta di versi una decina di anni fa. In questo periodo ho scritto tante di quelle che usualmente si chiamano poesie e ho tentato molte volte di metterle insieme in un nuovo libro. Il risultato non mi ha mai convinto. Ho provato anche a fare una raccolta che mettesse insieme testi inediti e testi pubblicati in volume e il risultato è stato ancora più sconcertante.
Così mi sono fatto l’idea che oggi la poesia possa solo essere presentata a piccole dosi o nascosta in altri organismi. Nei miei due ultimi libri in prosa compaiono molte poesie e mi sembra che stiano bene. Il prossimo libro sarà tutto in versi, sono versi che però hanno fin qui vissuto sempre in forma di prosa. Quando me li leggeva il mio amico Mimmo Scarpa la sua cura maggiore era proprio nel depennare le frasi liricheggianti. È curioso che alla fine venga fuori un libro di poesia (almeno secondo il parere di un bravo poeta come Umberto Fiori) proprio grazie a questo sistematico espianto del poetico dalla pagina.

Nono quaderno italiano

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Milano, martedì 24 aprile 2007, ore 21:00
Casa della poesia, Palazzina Liberty [ Largo Marinai d’Italia ]

presentazione di
Poesia contemporanea. Nono quaderno italiano
Marcos y Marcos, aprile 2007

a cura di Franco Buffoni

saranno presenti i poeti
Alessandro Broggi, Maria Grazia Calandrone, Mario Desiati,
Massimo Gezzi, Marco Giovenale, Luciano Neri, Giovanni Turra

interventi di
Franco Buffoni, Umberto Fiori, Fabio Pusterla e Cecilia Bello Minciacchi

Sull’avventura dei baldusiani

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baldus-copertina.jpg di Massimo Rizzante

Marginali incompatibili moderni

Adesso che sono qui, dieci anni dopo, in questo lugubre inverno padano, fitto di nebbie e privo di sole, a sfogliare i dieci numeri bianchi e neri, punteggiati a volte di rosso, verde e blu, di Baldus (1990-1996), l’ultima rivista letteraria italiana del XX secolo, sono preso da nostalgia.

Il letto di Procuste e la Cura Ludovico #2

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di Giorgio Vasta

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La prima intervista è a Paola Gallo, editor della narrativa italiana in Einaudi.

Proviamo a partire da una definizione secca: che cosa si intende per editing?

L’editing è il lavoro che viene svolto su un testo dopo averne stabilito la pubblicazione, e prima di darlo alle stampe. Consiste, sostanzialmente in una lettura: professionale, approfondita, simpatetica, sempre fondata sull’ascolto. Anzi, consiste in un imprecisato numero di letture, che procedono per strati.

Il letto di Procuste e la Cura Ludovico #1

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di Giorgio Vasta

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Negli ultimi due mesi si è più volte tornati a discutere di editing e di sistema editoriale (qui il link a un articolo che rimanda ai pezzi che hanno dato l’abbrivio alla discussione; mentre invece qui, qui, qui, qui e qui le ulteriori evoluzioni, fino alle più recenti). Quello che mi ha sorpreso è, con le dovute eccezioni, l’omogeneità di consenso nei confronti di quelle posizioni – che si vorrebbero critiche ma risultano soprattutto paranoidi e poco informate – secondo le quali l’editing è un dispositivo di normalizzazione del testo e il sistema editoriale una brigata di cialtroni che oscillano tra l’incompetenza e l’affarismo più bieco.