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Pastorali / Pastorelles

2

John Taggart

(trad. Cristina Babino)

Pastorale 3

 

Spareranno al tuo cane
cervo che corre
si diranno membri devoti dell’instaurata chiesa del cervo
devoti
e autorizzati
gireranno con l’auto intorno a casa tua tutto intorno
la loro devozione non limitata a un solo momento del giorno
giorno o stagione
gireranno lentamente intorno a casa tua
di notte
luce dai loro fari
sbirciando lentamente intorno a boschi e campi e intorno a casa tua
e spareranno al tuo cane
tornato in qualche modo
piazzato di fronte alla porta di casa tua
occhi vitrei sopra la saliva sul muso
piazzato tremante scioccato incapace di muoversi oltre.

 

 

 

Pastorale 7

 

Fango lungo il margine del ruscello

ruscello o piccolo fiume
e in secca durante l’estate

acqua bassa e margine aumentato di fango odore di marcio
col caldo
molte rocce esposte viscide al tatto

il problema non è trovare un sasso ce ne sono
tanti

il problema non è diventare
un sasso

il problema è un problema di quanto
lontano quanto lontano posso lanciarmi e quanto lontano posso
lanciarmi ancora.

 

 

 

Pastorale 10

 

Grandi balle di fieno rotonde a caso
sul campo
che pare rasato pare liscio come una tavola

alberi nei boschi
attorno al campo il cielo sopra sembrano più grandi più assoluti
il campo un campo assoluto una forma chiusa da un bordo arcuato di alberi

per le grandi balle di fieno rotonde

come Stonehenge/autoreggenti/strane

quando le balle ora se ne vanno nei loro vagoni rossi e sgangherati

tutto =
il familiare = l’invisibile
per cui si piange se si piange per pura gratitudine.

 

 

 

Pastorale 13

 

“Così è stato”
modo di dire del gergo locale

ciò che si dice alla fine di ciò che si sta dicendo da queste parti

intensifica e chiarisce
ciò che si sta dicendo

ciò che si sta dicendo è “il cavallo è caduto nel pozzo” che è come dire che tutto
quello che poteva andare male è andato male non c’è nient’altro che possa andare
male

“così è stato” alla fine de “il cavallo è caduto nel pozzo”

che dice tutto che
rende intensamente chiaro che non è rimasto nulla
il cavallo un cavallo morto in un pozzo prosciugato.

 

 

 

Cantante rhythm and blues

 

1

 

Morto a gennaio a Memphis
James Carr

cantante rhythm and blues
che non imparò mai a leggere e scrivere
superiore
così superiore a Bartleby che non riuscì a disimparare a leggere e scrivere
tagliare le corde che legano

le parole ci impigliano
le parole in lettere dell’alfabeto le lettere in parole scritte

ritmo = il suono di fondo di tutti i piaceri biologici
blues = sfortuna e guai
cantare è essere slegati.

 

2

 

Linguaggio prima della scrittura
prima della lettura
prima dell’alfabeto
acustico
fiume
un fiume di suono
fiume
un fiume di azione
fascino e più del fascino
conferito dal suono
azione
per la sopravvivenza
cosa fare
come
fare
cosa fare.

 

3

 

Linguaggio dopo la scrittura
dopo la lettura
dopo l’alfabeto
visuale
segni non meraviglie
silenziosi in
versi silenziosi
segni silenziosi in versi silenziosi
per un ragionamento
un fiume zittito e
raddrizzato
sillogismo
un verso
tutti gli uomini sono mortali
James Carr è un uomo
un altro.

 

4

 

Buio

intrecciati e intrappolati alla fine buia della strada
un tu e un me
un noi come Pierre e Isabel
lettori
lettori e scrittori e amanti

trovati si troveranno intrappolati nelle lettere nelle parole scritte ne
l’invenzione del romanzo

canzone del cantante rhythm and blues
che non poteva leggere o scrivere né poteva sopravvivere
alla mortalità
importargliene di meno.

 

 

 

Lavoro*

 

E puoi arrivare a questo
se ci provi

questo = la sezione ritmica della Hi Records
il loro lavoro con il pushbeat che avanza in powerglide ma insieme
pushbeat e
backbeat rimangono insieme
il dolce stile nuovo del loro lavoro con il beat

provi = nella legnaia negli anni giovani della tua vita

questo = il loro lavoro

tu = chi ci arriva chi
può
purificarsi con questo rilassarsi con questo
trattenendosi restando un po’ indietro con grazia di attore Nō/Astaire.

 

Puoi arrivare a questo può impazzire
se ci provi

questo = il tuo lavoro col beat impazzito e
più che impazzito
il tuo lavoro una sega
sega che taglia trasversalmente che taglia attraverso/contro la venatura del beat
scuote il corpo/lo scuote completamente

provi = in effetti oltre gli anni giovani

questo = il tuo lavoro

tu = chi usa una sega non così gentile non così dolce non così elegante
attraverso/contro il beat
per avere un nuovo padre e per essere un nuovo padre chi uccide il padre
e i profeti ancora a venire.

 

 

* Il riferimento e’ a “Nice work if you can get it” di George Gershwin. Il Powerglide è un congegno di trasmissione automatica a due velocità progettato dalla General Motors: l’idea ad esso associata è di un movimento potente ma di esecuzione facile e rilassata. 

 

*

 

 

Pastorelle 3

 

They will shoot your dog
running deer
they will say devoted members of the instated church of deer
devoted
and licensed
they will drive around your house around and around
their devotion not limited to a single time of day
day or season
they will drive slowly around your house
at night
light from their spotlights
slowly peeking around about woods and fields and around your house
and they will shoot your dog
somehow got back
standing at the door of your house
eyes glazed over slobber on the muzzle
standing shaking in shock unable to move further.

 

 

Pastorelle 7

 

Mud along the edge of the creek

creek or small river
and low during the summer

low water and increased edge of mud rank smell
in the heat
many rocks exposed slick to touch

the problem is not finding a rock there are
many

the problem is not turning
into a rock

the problem is a problem of how
far how far can I throw myself and how far can I
throw myself again.

 

 

Pastorelle 10

 

Large round bales at random
on the field
which looks shaven looks pool-table smooth

trees in the woods
around the field the sky above seem bigger more absolute
the field an absolute field a form framed by an arching border of trees

because of the large round bales

Stonehenge-like/free-standing/strange

when the bales are now departed in their rickety and red wagons

everything =
the familiar = the invisible
for which one weeps if one weeps in sheer gratitude.

 

 

Pastorelle 13

 

“So it did”
turn of phrase of local parlance

what’s said at the end of what’s being said around here

intensifier and clarifier of
what’s being said

what’s being said is “the horse fell in the well” which is saying all
that could go wrong did go wrong there’s nothing left to go
wrong

“so it did” at the end of “the horse fell in the well”

which says it all which
makes it intensely clear there’s nothing left
the horse a dead horse in a well gone dry.

 

 

Rhythm and blues singer

 

1

 

Dead in January in Memphis
James Carr

rhythm and blues singer
who never learned to read or write
superior
so superior to Bartleby who failed to unlearn reading and writing
sever the ties that bind

words entangle us
words in letters of the alphabet the letters in written words

rhythm = the backbeat of all biological pleasures
blues = bad luck and trouble
to sing is to be untied.

 

2

 

Language before writing
before reading
before the alphabet
acoustic
river
a river of sound
river
a river of action
charm and more than charm
conferred by sound
action
for survival
what to do
how to
do
what to do.

 

3

 

Language after writing
after reading
after the alphabet
visual
signs no wonders
silent in
silent lines
silent signs in silent lines
for argument
a river silenced and
straightened
syllogism
one line
all men are mortal
James Carr is a man
another.

 

4

 

Dark

tangled and entangled at the dark end of the street
a you and a me
an us like Pierre and Isabel
readers
readers and writers and lovers

found going to be found entangled in the letters in written words in
the invention of romance

song of the rhythm and blues singer
who couldn’t read or write nor could survive
mortality
could care less.

 

 

 

Work

 

And you can get it
if you try

it = the Hi Records rhythm section
their work with the pushbeat motoring along in powerglide but together
pushbeat and
backbeat staying together
the sweet new style of their work with the beat

try = in the woodshed in the young years of your life

it = their work

you = who gets it who
can be
refined with it relaxed with it
pulling back getting behind a little with Noh actor/Astaire grace.

 

Can get it can get crazified
if you try

it = your work with the beat crazified and
more than crazified
your work a saw
cross-cut saw that cuts across/against the grain of the beat
leaves a body gruesome/real gruesome all over

try = actually out of the young years

it = your work

you = who runs not so nice not so sweet not so stylish saw
across/against the beat
to get a new father and to be a new father who is the law of the saw
and the prophets yet to come.

 

 

*

 

 

[dall’introduzione di Cristina Babino]

 

[…] L’approccio alla scrittura, in particolare quella poetica, è per Taggart in primo luogo una questione di disciplina, un concentrarsi laborioso e graduale sulla forma. Una forma riconducibile a una griglia, da stabilire a priori muovendosi al suo interno con movimenti progressivi, tentando quindi di andare al di là di essa, e finalmente al di fuori di essa. Una griglia che spinge a organizzare il pensiero, a ordinarlo e riordinarlo mettendo fisicamente insieme le parole, che è soprattutto un riferimento visuale («My beginnings tend to be visual, and I hope the ends are not») e che Taggart esemplifica ricorrendo di nuovo al canone visivo delle grandi tele custodite nella Rothko Chapel di Houston: dipinti quadrati e di enormi dimensioni, apparentemente monocromi, simili a entità monolitiche sospese nell’ambiente altrimenti neutro della Cappella, che osservati non restituiscono alcuna idea di “griglia” o schema, eppure la loro assolutezza scaturisce proprio dalla severa struttura sottostante, e dalla fedele disciplina profusa al suo interno. L’effetto finale che emana dalla pagina scritta, per Taggart, dovrebbe essere il medesimo: le sue chiuse possiedono infatti una speciale qualità di risonanza, nel senso letterale di suono – o umore, o atmosfera – che persiste, le sue poesie eccedono l’ultimo verso, l’ultima pagina, e da qui, sorprendentemente, si sollevano. […] A livello formale, Taggart non usa quasi nulla dell’armamentario retorico a disposizione del poeta. Non usa mai punteggiatura interna (se non i punti a fine testo), preferendo invece inserire segni grafici quali /, -, +, =, allo scopo di movimentare il flusso di parole e di conseguire maggiore impatto e immediatezza nella lettura. Raramente usa similitudini o figure retoriche: i soggetti delle sue poesie sono piuttosto metafore essi stessi, rimandano ad altro, a una dimensione spirituale più ampia che dal dato materiale si origina e si eleva. Senza le coordinate offerte dalla punteggiatura, i testi possono apparire spesso inizialmente “confusi” all’occhio, che tende a perdersi tra le linee. È qui che, di nuovo, diventa necessario l’intervento della lettura ad alta voce, fondamentale nello svelare una sintassi al contrario del tutto ordinata, misuratissima, mai accidentale. Ad alta voce si scopre allora che esistono soltanto alcuni modi (non necessariamente uno solo) in cui il testo può essere letto, pronunciato, che esso risponde a una precisa costruzione sonora, la quale sfocia inevitabilmente in un’inedita costruzione di senso. […]
Le Pastorelles traggono la loro ispirazione direttamente dallo stabilirsi nella grande casa di campagna di Newburg, ristrutturata dai Taggart attraverso un continuo e faticoso lavoro di risistemazione e ridisegno della vasta aria verde circostante, con la quale il poeta ha familiarizzato poco a poco, palmo a palmo, attraverso la cura e la conoscenza amorevole delle piante e degli alberi, oltre che dei piccoli animali, che in quel luogo trovano vita e dimora.
Le quindici numbered Pastorelles rappresentano i testi più “nuovi” rispetto alla caratterizzazione stilistica cui Taggart ci aveva abituato in precedenza: testi incisi di una sottile diffusa ironia – che non è mai mancata nella sua scrittura – ma qui dall’approccio almeno all’apparenza più diretto, dall’ispirazione più immediata, rintracciabile proprio negli aspetti più consueti della vita di campagna: le balle di fieno nei campi, gli effetti della siccità e lo scorrere fangoso e sonnolento dei ruscelli, o ancora resti della presenza umana come un’antica scuola, un vecchio registro contabile, l’ombra di una ragazza Amish che pattina. Persistenze che diventano segni, presenze tangibili eppure spirituali, calati in una dimensione minimale e quotidiana in cui gli oggetti vivono la vita dei ricordi a cui sono allacciati, l’ambiente quella segnata dall’evidenza dell’intervento umano. Il paesaggio – lo sfondo rurale della Cumberland Valley – diventa quindi il campo d’azione e articolazione di una ricerca di senso attraverso la parola e la sua sonorità, di un’esplorazione poetica di ciò che esiste e, insistendo, persiste. Non c’è però spazio, nel libro, per alcuna reverie pastorale o rassicurazione bucolica: c’è piuttosto una sensibilità ecologica rinnovata e una continua riflessione sulla condizione umana, animale e vegetale che si riverbera dalla contemplazione laboriosa e mai estatica del paesaggio rurale circostante, in cui l’io poetico è immerso e con cui esso è portato a un costante confrontarsi e riconoscersi. […]

 

John Taggart, Pastorali. Traduzione di Cristina Babino. Vydia, 2014. Premio Achille Marazza Giovani per la traduzione 2014.

Edizione originale: John Taggart, Pastorelles, Flood Editions, 2004.

Info: http://www.vydia.it/pastorali/

 

 

 

Dialoghetto su tre libretti (di poesia)

9

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°°°°°°° °°°°°°° °°°°°°° °°°°°°° °°°°°°° °°°°°°° °°°°°°° °°°°°°° °°°°°°° [Questo dialoghetto è apparso in due puntate su “l’immaginazione”; lo proponiamo qui con una parte inedita.]

“Questo è l’accendino.”

“E questa è la sigaretta.”

Andrea Inglese vs. Andrea Raos

Parte prima. Andrea Raos

AI. Ricordo che mi passasti un fascicolo di fogli A4 stampati e quel fascicolo era Lettere nere. Ci trovavamo entrambi a Parigi, e allora mi sembrava un libro impregnato di tutto il bello e il brutto della città: la sua energia spesso anarchica e incontrollabile, le notti alcoliche, gli appartamentini da cui traslocavi con una certa frequenza, le pile di libri e CD che divoravi continuo, i personaggi completamente pazzi che sembravano darci appuntamento in ogni festa o bar dove sbarcavamo, le storie d’amore, che a Parigi andavano in pezzi con una teatralità tutta particolare…

Miti Moderni/1: che non sa fare niente

1
Infinito, Luigi Ghirri

di: Francesca Fiorletta

Tu non vuoi fare mai niente, tu, glielo ripete piano, un’altra volta, tu non vuoi mai fare niente, stai sempre ferma e zitta e stai, ti rallenti, sei ferma e zitta, e non vuoi fare mai niente, tu, perché non fai mai niente? sei zitta e mosca, come i delitti popolari, tu che abiti vicino all’ospedale, lo dice la mappa, che non vuoi fare mai niente, di niente, tu che non sai niente di niente, ascolta quello che ti dicono gli altri, tu non sai dire mai di no, glielo ripete un’altra volta, segui le mappe sbagliate, i percorsi ragionevoli, al limite, con tutte queste idee inutili nella testa, ma dove vuoi andare a finire? sai finire, hai finito? di ripetere sempre: tu.

Se me li sono persi: “Coro” di Giuliano Gramigna

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di Eugenio Lucrezi

GIULIANO GRAMIGNA, Coro, Campanotto editore, Udine, 1989

Ha scritto Giuliano Gramigna: «Mi piace più pensare ad una poesia come luogo, aperto a mo’ di ombrello là dove non c’era nulla, che ad una poesia come organismo vivente, come macchina bene temperata. Intanto c’è il vantaggio che ci si può camminare dentro… ». Se rappresentare significa restituire a mezzo della scrittura lo spessore dimensionale della realtà nella sua trionfante pienezza, allora l’argomento di questo libro – terzo di poesia di uno scrittore che è anche importante romanziere e prosatore – è l’impossibilità della rappresentazione.

Xenakis. Nuvole e galassie

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 Breve storia di un poeta in guerra, nell’infinito quotidiano.

di Stefania Gaudiosi

Per dissipare il terrore di queste tenebre dello spirito non c’è dunque bisogno né dei raggi del sole, né dei tratti luminosi del giorno, ma dello studio razionale della natura (Lucrezio, De Rerum Natura II, 59-61).

C’è anche la vita dell’uomo, di un altro uomo, che si manifesta tanto misteriosamente attraverso le cose, per dissipare il terrore di queste tenebre.
Ho incontrato Xenakis nove anni fa, durante i miei studi di architettura.
Non avevo alcuno strumento, né pregiudizio.
Tutto quello che so di lui non sono che frammenti. Come ricordi e come sogni.

Overbooking: Sonia Caporossi

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Atomic Overlook

Le piccole esplosioni di Sonia Caporossi

di

Claudia Boscolo

 

È uscito a maggio per i tipi di Corrimano una raccolta di racconti di Sonia Caporossi intitolata Opus metachronicum. Il titolo di certo non avvicina lettori svogliati, e già in ciò si sostanzia un atto di coraggio da parte di un’autrice il cui interesse da tempo si rivolge alla critica letteraria e alla sperimentazione.

Il libro si apre con la descrizione in soggettiva di una scena macabra in cui il personaggio di Van Gogh, calato nelle sale in cui si svolge una mostra dei suoi dipinti, si acceca per non assistere allo scempio fatto alla sua arte, all’annullamento del significato della sua opera causato dalla sovraesposizione. Da qui inizia un percorso attraverso le vite di personaggi della storia, della letteratura, dell’arte e del mito, di cui si offre una rilettura in chiave critica rispetto all’idea cristallizzata e ufficiale che il lettore ha di loro.

Il titolo, “metacronico” fa riferimento al fatto che i personaggi sono presi di peso dal passato e trasportati, attraverso la loro decontestualizzazione, su un diverso piano di significato. Sono vittime di riscritture aliene e spesso deformanti. Nelle intenzioni dell’autrice, questa operazione consente un rispecchiamento da parte del lettore grazie al monologo e all’io narrante; si si permette al lettore di identificarsi nelle nefandezze o nei gesti estremi compiuti da ognuno di questi personaggi. Ognuno di essi infatti incarna un elemento delle postmoderne atrocità a cui siamo sottoposti. Naturalmente, la sfida di un’opera di questo tipo è incontrare lettori che si lascino trascinare dentro queste riscritture. Definito dalla stessa autrice “neobarocco”, lo stile di Caporossi aspira a rompere le maglie dell’ironia minimalista che per alcuni decenni ha caratterizzato la produzione narrativa italiana. Vena minimalista che a ben vedere si è esaurita da sé a causa degli eventi drammatici che hanno toccato questo Paese in tempi recenti, dalla ascesa e caduta di Berlusconi alla devastazione sistematica delle tutele sul lavoro, a un crisi sistemica che ha intaccato tutto, dal settore edilizio alla ricerca universitaria. Un Paese desertificato ha poco da concedersi dell’ironia minimalista, ed è su questo piano che Caporossi elabora una poetica personalissima strutturata su percezioni e riflessioni – la cui matrice più che letteraria è filosofica – incentrate sul corpo, sul significato del corpo nella storia e nel mito, laddove è il corpo storicizzato che viene fatto rivivere e riconfigurato secondo coordinate attuali. L’obiettivo è trascinare il lettore dal particolare all’universale, scegliendo esempi dal passato che si prestano a metafore.

copertina_sonia

Nel racconto dedicato a Jack Lo Squartatore il criminale è trasferito dalla Londra ottocentesca all’Idroscalo di Ostia la stessa notte in cui fu massacrato Pasolini. Egli incarna quindi la mediocrità dell’uomo comune che odia gli intellettuali, il serial killer per antonomasia la cui missione diventa massacrare la cultura per tramite di chi la rappresenta. Un altro proposito narrativo dell’autrice è vendicare personaggi del passato, o prendersi una rivincita nei loro confronti. L’opera dunque potrebbe anche dirsi ucronica, e non solo metacronica, in quanto non è unicamente in viaggio al di là del tempo, oltre un tempo cronologico, cioè il tempo degli eventi come sono ordinati per convezione e per comodità nella narrazione della storia, ma anche in nessun tempo, con la modalità della storia alternativa, il what if che crea una situazione in cui altri eventi avrebbero potuto avere luogo con conseguenze molto diverse da quelle avvenute nella storia. Siamo quindi nel dominio della allostoria. Allora Prometeo vede gli uomini bruciare in un incendio cosmico, viene letterariamente vendicato per la sua ingiusta espiazione; oppure il marito cornificato di Madame Bovary massacra la moglie e la figlia: trasformato in uno psicopatico, egli si spoglia del suo ruolo marginale di vittima e si ricolloca nella cornice in cui si svolge la storia di Emma, ovvero quell’ambiente patriarcale in cui il signor Bovary deteneva di fatto un potere sulla moglie.

Lungi dal classificarsi come divertissement postmoderno, nonostante gli espliciti rimandi all’aggettivo “postmoderno” presenti nel testo, l’opera di Caporossi è un’operazione di riscrittura dotata di un forte carattere etico. Non si tratta solo di giocare con i protagonisti del passato, di raccontare un diverso punto di vista per sollecitare una riflessione “diversamente impegnata” su aspetti altri di una vicenda altrimenti molto nota. Si tratta invece di operare una profonda modifica nel significato stesso attribuito a ogni personaggio, decontestualizzando e applicando quindi alla sua vicenda uno sguardo alieno e deformante, di modo che essa appaia in tutto il suo carattere disturbante.

“Sei una mia invenzione, Curione. Sei il personaggio di un giorno metacronico, che attraversa barriere di certezza per esplorare l’aspetto artistico di situazioni irrimediabilmente perdute nel passato. Sei il mio personaggio, che ora sta in piedi davanti a Cesare, ritto e tremante, il sesso un po’ gonfio dall’emozione, consapevole di essere il punto di rottura dell’Evento e del Caso, il luogo di sublimazione dell’Atto e della Storia, il vortice di un’energheia che aspira alla catarsi assoluta”, lo apostrofa l’autrice. Curione non è più un personaggio storico immerso e partecipe di vicende a noi notissime per essere apparse nei libri di scuola, ma diventa “il mio personaggio”, ciò che Caporossi fa di lui, o meglio ciò che l’autrice gli restituisce, facendolo emergere dal fondale della storia e donandogli una caratterizzazione a tutto tondo che non ha se non nelle monografie dedicate. Curione diviene il regista dell’evento che dà vita alla nascita dell’Impero romano, la sua figura acquista quindi caratteristiche di responsabilità che vengono di solito attribuite a Cesare: aumentando la figura di Curione l’autrice in realtà diminuisce quella di Cesare che trasforma un semplice attore della catarsi voluta dal suo consigliere. Spostando l’asse della responsabilità in maniera inattesa e sorprendente, Caporossi ribalta vicende note innescando delle piccole esplosioni di significato, come delle micro-agnizioni da cui emergono verità più profonde e più universali di quanto ci si aspetti dalle vite di personaggi ampiamente esplorate e digerite.

Sonia Caporossi, Opus Metachronicum, Palermo, Corrimano, 2014, pp. 112, 10€

 

 

 

 

 

 

 

 

[Film muto]

1

di Giorgia Romagnoli

 

*
la proiezione è di breve durata: in bianco e nero, senza audio. non sono presenti personaggi. gli oggetti sono inquadrati più volte, ogni volta modificati. la mancanza di suoni porta gli spettatori a immaginarli. la sensazione non è comune. la sala risulta gremita; i presenti rispondono al silenzio col silenzio e scrutano meravigliati lo schermo illuminato dal vecchio cinematografo.

 

 

*
1) cercare la modificazione in ciò che appare immobile
2) relazionare/relazionarsi
3) non un solo suono

 

 

*

silenzio

subito  scattare

sempre

 

 

*
la proiezione è di breve durata: in bianco e nero, senza audio. sono presenti personaggi. due sordomuti comunicano gesticolando: esterno il movimento intrinseco alle immagini. naturale, come se fosse questa la realtà: “ li ho visti alla stazione, erano gli stessi del film”. (naturati senza voce.)

 

 

*

signore

sì signore

sarà

 sì

 

 

*
4) se si porta un corpo a una velocità superiore a quella della luce, è possibile che esso vada indietro nel tempo?

 

 

*

sono sensi

se sia

  se

  solamente

 

 

*
un uomo trasporta una tela bianca. attraversa la stazione affollata.

 

 

*
seguìto

seguirono

 

 

*
5) la proiezione è di breve durata

 

 

*
sfortunatamente sono

 

sorridente

 

 

*
6) solo se si tratta di un corpo avente massa pari a zero.

 

 

*
prevalere sullo spazio

 

 

*

sono

sempre

stato spazio

 

 

*
7) questo è un esempio di _ _ _ _ _
la foto sarà allegata.

 

 

*
personaggio 4: “ma cosa vi insegnano? impiccato

il vostro _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ ha le mani sporche”

esce

 

 

*

struttura stessa

struttura stata

 

 

*
8) crepe su case- rigature
su mattoni impilati- assestati
a formare pareti
trapassate
da chiodi
cornici- colori
a: perforare pareti/
sorreggere linee
incendiate-
di sera

 

 

 

Una carezza per Mario

6

mario  [Nazioneindiana condivide queste parole, che ci ha mandato Pino Tripodi, amico e collega di Mario Benedetti]

Caro Mario,
in questo momento difficile ascolta la nostra carezza scritta con le tue parole.


En finir avec le monde

Pierre Jean Jouve, Matière céleste

Io non ho più niente di me.
Respiro la fatica della stanza a stare
dove gli uomini non sono più.
Io che sono qualcos’altro: distanza dalla vita

(Da: Mario Benedetti, Umana Gloria, Mondadori, 2004)

Monologo dello scapolone (da Aguafuertes porteñas)

3

di Roberto ArltRoberto Arlt, Acqueforti di Buenos Aires

Mi guardo il pollice del piede e godo.

Godo perché nessuno mi infastidisce. Come una tartaruga, al mattino, tiro fuori la testa da sotto il guscio di coperte, e muovendo il pollice del piede, compiaciuto, mi dico: “Nessuno mi disturba, vivo solo, tranquillo e grasso come un arciprete ingordo”.

Il mio lettuccio è onesto, una piazza, e ringrazio. Potrebbe usarlo comodamente il papa o l’arcivescovo.

Alle otto del mattino entra in camera la padrona della pensione, una signora grassa, calma e materna. Mi fa due massaggi alla schiena e sul tavolino posa la tazza di caffelatte e il pane imburrato. La padrona mi rispetta e mi stima. La padrona ha un pappagallo che dice: – Ajuá! Te ne sei andato? Buona fortuna. – E confortandomi, il pappagallo e la padrona mi fanno ben capire quanto sia ingrata la vita per chi ha moglie e, oltre alla moglie, una caterva di figli.

Sono dolcemente egoista e non mi sembra una brutta cosa.

Lavoro il giusto per vivere, senza fregare nessuno, e sono pacifico, timido e solitario. Non credo negli uomini e meno ancora nelle donne, anche se questo non mi impedisce a volte di avere rapporti con loro, perché l’esperienza si perfeziona attraverso l’incontro (e del resto non c’è donna che, per pessima che sia, indirettamente non ci faccia del bene).

Mi piacciono le giovinette che si guadagnano da vivere. Sono le uniche per le quali nutro grande rispetto, anche se non sempre sono splendori di donne. Mi piacciono perché esprimono un sentimento di indipendenza che è il credo della mia vita.

Quelle che mi piacciono più di tutte, però, sono le donne che non si truccano. Quelle che si lavano la faccia, ed escono con i capelli umidi, con quella sensazione di pulizia interna ed esterna che a uno, senza farsi scrupoli, verrebbe voglia di baciar loro i piedi.

Non mi piacciono i ragazzi, fatte alcune eccezioni. In tutti i piccoli, quasi sempre si scoprono i tratti della furbizia paterna, per questo li preferisco a una certa distanza, e la penso come la maggior parte della gente, che si trova d’accordo nel dire: «Che ragazzi, sono una meraviglia!», anche se è una menzogna.

Faccio il bagno ogni giorno, inverno ed estate. Un corpo pulito è la base dell’igiene mentale.

Credo nell’amore quando sono triste, mentre quando sono contento guardo certe donne come se fossero le mie sorelle, e mi piacerebbe poterle fare felici, anche se non posso nascondermi che un pensiero del genere è davvero una sciocchezza, già che è impossibile che un uomo faccia felice una sola donna, immaginiamoci tutte.

Ho avuto diverse fidanzate, e ho scoperto in esse solo l’interesse per il matrimonio. Naturalmente dicevano di amarmi, ma poi amarono anche altri, il che dimostra come la natura umana sia sommamente instabile, sebbene le sue azioni vogliano ispirarsi a sentimenti eterni. Per questo non mi sono mai sposato.

Tra chi mi conosce, ben pochi dicono che sono un cinico; in realtà sono un uomo timido e tranquillo, che invece di fermarsi alle apparenze cerca la verità, perché la verità è la sola via per una vita degna.

Molta gente ha provato a convincermi a metter su una famiglia, e alla fine ho scoperto che questa gente sarebbe stata molto felice se non avesse avuto una famiglia.

Sono servizievole nella giusta misura e a patto che il mio egoismo non si senta offeso, anche se sono convinto che l’anima dell’uomo sia fatta in modo tale che ci si dimentica prima del bene ricevuto che del male patito.

Come ogni essere umano riconosco in me molte meschinità, delle quali farei volentieri a meno, ma alla fine mi sono convinto che un uomo senza difetti sarebbe insopportabile, perché non darebbe l’occasione al prossimo di parlare male di lui, e l’unica cosa che non si perdona mai a qualcuno è la perfezione.

Ci sono giorni in cui mi sveglio e sento dentro tutta una delicatezza. Allora mi annodo scrupolosamente la cravatta ed esco e guardo teneramente le curve delle donne. E ringrazio Dio per aver creato un essere, una creatura così bella, che con la sola sua presenza, ci emoziona e ci fa dimenticare tutto ciò che abbiamo avuto dal dolore.

Se sono di buon umore, compro un giornale e mi informo su cosa è successo nel mondo, e ogni volta mi convinco di quanto sia inutile il progresso se il cuore dell’uomo continua a essere duro e acido come lo era il cuore degli umani mille anni fa.

Al crepuscolo torno alla mia camera da monaco, e mentre aspetto che la cameriera (una ragazza rozza e sempre irritata) apparecchi la tavola, “sotto voce” canticchio Una furtiva lagrima, oppure Addio, del passato bei sogni ridenti

E il mio cuore sprofonda in una pace meravigliosa e non mi pento di essere nato.

Non ho parenti, e siccome ho rispetto per la bellezza e detesto la decomposizione, mi sono iscritto alla società di cremazione, perché il giorno in cui io morirò il fuoco mi consumi e, come unica traccia del mio passaggio puro sulla terra, non resti che pura cenere.

(con il gentile consenso dell’editore Del Vecchio, pubblichiamo questo racconto della bellissima raccolta di Roberto Arlt – che riprende pezzi scritti per il quotidiano El Mundo – uscita nel 1933, e ora tradotta da Marino Magliani e Alberto Prunetti; il libro è uscito questa settimana)

Overbooking: Roberto Arlt

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Scrivere per seminare il panico

Breve viaggio nella letteratura di Roberto Arlt

di
Alessio Arena

 

“Arlt è il traduttore di Dostoievski in lunfardo”

Juan Carlos Onetti

L’irriducibile Artl, ostinato contraffattore della sua biografia e autore di un’opera sfacciata e onesta, vive negli ultimi tempi un rinnovato interesse editoriale, grazie soprattutto alle precise traduzioni di Raul Schenardi, che per Sur Edizioni ha tradotto recentemente la raccolta di racconti “Scrittore fallito” e per la salernitana Arcoiris ha invece riscattato la nouvelle “Un viaggio terribile.”

Il vero fondatore della città moderna nella letteratura argentina, che per primo la plasma definendone i limiti e le zone d’ombra con una lingua strampalata e una sintassi, all’epoca, censurabile, quella Buenos Aires che avrebbe lasciato in eredità a scrittori come Cortázar, Sabato e Piglia, Roberto Arlt conquista sempre più lettori, che si lasciano facilmente ammaliare dall’universo dell’argentino con accento tedesco, come alcuni lo definivano, lo scrittore autodidatta che odiava parlare di letteratura e che intendeva invece la sua occupazione come un doveroso esercizio di solitudine, l’unico paesaggio possibile per produrre dei libri che si leggano come pugni in faccia, che racchiudano la violenza di un cross, un montante alla mascella, come egli stesso scrive nella celebre introduzione al suo romanzo “I lanciafiamme.”

Certo tradurre Arlt non è un lavoro facile: i suoi racconti, i romanzi e soprattutto le Aguafuertes porteñas, i testi della rubrica che curava sul giornale El Mundo e che gli procurarono una certa popolarità, facendo impennare le vendite del giornale, rendono visibili, per la prima volta nella storia della letteratura argentina, i tuguri, i conventillos, le case collettive dove convivevano diverse famiglie, affittando ognuna di loro una stanza, e soprattutto il clima di ostilità vissuto in una città come Buenos Aires tra gli emigranti europei che l’avevano sognata come il luogo delle speranze e che, nella maggior parte dei casi, non avevano tardato a comprendere di essersi sbagliati.

La lingua di Arlt, teatrale e ricca, quando non scende a compromessi di trasparenza e di leggibilità, che pure succede spesso nei suoi articoli, letti normalmente anche da manovali, artigiani, negozianti, riproduce tutta la musicalità e il carattere essenzialmente “misterico” del lunfardo, la lingua dei bassifondi – “ese código entre dos para que no se entere un tercero” –sulla quale si sarebbe fondata anche la poesia del tango, l’espressione più autentica di questo argot.

8694422_origTra le due più recenti pubblicazioni in italiano, tradotte da Schenardi, il lungo racconto “Un viaggio terribile”, incluso nella collana “Gli eccentrici” di Arcoiris Edizioni, rappresenta, per il lettore che voglia iniziarsi al mondo di Roberto Arlt, una corsia preferenziale per scoprire la ricca e personalissima opera dello scrittore argentino.

Derivata dal soggiorno di Arlt in Cile nel 1940, solo due anni prima della sua prematura morte a Buenos Aires, questa nouvelle contiene infatti molti interessi manifesti nella vita e nella letteratura del suo autore.

Scritto a partire dalla fusione di due racconti precedenti, “¡S.O.S.! Longitud 145″ 30’, latitud 29″ 15” e “Prohibido ser adivino en este barco”, il libro narra il tremendo viaggio di una nave che parte dal porto di Antofagasta verso il Panamá, e che sta per concludersi tragicamente, per il narratore e per gli altri singolari passeggeri, quando la navigazione procede di fianco alla costa del nord del Perù.

La Blue Star, così si chiama la nave, inizia il suo viaggio nel più terribile dei pronostici proprio perché ha adottato questo nome cambiandone l’originario, la qual cosa, secondo l’allucinato cugino del narratore, basterà a decidere il destino di tutto l’equipaggio. Ma in fin dei conti, la “traversata del terrore” benché stia lentamente spingendo la nave verso il centro di un pericolosissimo vortice nell’oceano, non è poi tanto spaventosa per il carattere inesorabile di tale evento, quanto per le spropositate e assurde reazioni dei passeggeri: una piromane, una femminista svedese che finisce addirittura per invaghirsi del figlio di un emiro, un pastore metodista, un conte marpione col vizio di rubare: tutti personaggi di una studiata corte di miracoli che traghettano verso la parodia e la letteratura dell’assurdo un racconto che, almeno nelle prime pagine, potrebbe far pensare a un’avventura di Jules Verne.

È indicativo del rapporto che Arlt aveva con la sua scrittura, dei tempi forsennati della sua produzione letteraria, il fatto che, come ho già detto, per costruire questo racconto ne riprendesse due precedenti, e finisse per amalgamarli nella stessa narrazione. Conseguenze, senza ombra di dubbio, di una vita sacrificata al durissimo laburo di inventare storie, anche ogni giorno, secondo i dettami della carta stampata, per tentare di reagire meglio alla quotidianità o per capire che la soluzione stia proprio nell’arrendersi, nello smettere di cercare un senso, nell’ accettare, magari anche con una certa eleganza, con un minimo di compostezza di pensiero, l’inequivocamente assurdo corso degli eventi, come l’orribile vortice aperto in mezzo all’oceano che attira verso di sé una nave di infelici.

 

Idioletto (seconda parte)

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Biagio Cepollaro, L'inizio, 2008

di Biagio Cepollaro

[Pubblico qui la seconda parte di Idioletto. La prima parte si legge qui. Si tratta di una delle voci del dizionario della contemporaneità che circa venti anni fa Lucio Saviani aveva raccolto in un volume dal titolo Segnalibro (Liguori Editore, 1995). La contemporaneità di venti anni fa lasciava certamente presagire in parte quella attuale che ha caratteristiche ancora diverse. Per me si trattava di approfondire alcune considerazioni di poetica, legate alla scrittura di due libri di poesia, Scribeide  e Luna persciente, all’ interno di una visione più generale del rapporto tra linguaggi e mondo, delineando appunto una sorta di ‘condizione idiolettale’.]

 Idioletto e paesaggio

L’idioletto si accampa oggi tra scrittura e paesaggio, gioca la sua carta antropologica, la sua massima ambizione. Da un lato la poesia sembra riprendere le strade del simbolo, richiamare a sé vecchie prerogative, prestarsi al gioco dell’evasione e della nobilitazione (14), dall’altro la sua confidenza con il linguaggio le chiede una parola che possa un po’, solo un po’, illuminare ciò che fuori del linguaggio preme. Il testo idiolettico potrebbe produrre un paesaggio in cui la pressione e l’osmosi tra le radici e i flussi etnici si mescolano alle tecnologie dell’informazione e producono sedimentazioni. Lo spessore sociolinguistico di queste sedimentazioni potrebbe permettere al testo poetico di uscire dalla separatezza tradizionale per calamitare in quelle sedimentazioni nuove costellazioni di senso. Dialetti privi di identità, metamorfosanti, attraversanti «tubi catodici delle emittenti private», costretti a contaminarsi con sintassi assolutamente impreviste e soggetti ad estranee regole del gioco: il fenomeno della “oralità secondaria” (15) scompagina il vecchio tessuto della scrittura e le relative implicazioni individualizzanti.

Lud-in-the-Mist: ovvero un romanzo incantato che meriterebbe di essere tradotto

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di Francesca Matteoni

In primavera Giovanni De Feo, scrittore italiano spaesato, che viaggia da Basile a Peter Pan alle illustrazioni di Mervyn Peake, mi consigliò fortemente di leggere un romanzo del primo novecento inglese, Lud-in-the-Mist della modernista Hope Mirrlees.[1] Perché avrei dovuto conoscerlo? Per l’unico motivo che conti davvero – la passione per le storie di magia e ancora di più per tutto ciò che è faery. Tuttavia non ho avuto modo di affrontare il libro che poche settimane fa, in montagna di sera, con l’odore delle stufe che inizia a riempire l’aria alla fine dell’estate e quel silenzio animalesco che viene dai boschi.

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Il buongiorno che si vede stamattina

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di Lorenzo Declich

Scrivo all’indomani del primo attacco americano sulla Siria*.

1. l’U.S. Department of Defense ha diramato un dispaccio nel quale si afferma che:

The strikes destroyed or damaged multiple ISIL targets in the vicinity of Ar Raqqah, Dayr az Zawr, Al Hasakah, and Abu Kamal and included ISIL fighters, training compounds, headquarters and command and control facilities, storage facilities, a finance center, supply trucks and armed vehicles.

Aggiunge che, oltre ad altri attacchi sull’Iraq contro IS:

has also taken action to disrupt the imminent attack plotting against the United States and Western interests conducted by a network of seasoned al-Qa’ida veterans – sometimes referred to as the Khorasan Group – who have established a safe haven in Syria to develop external attacks, construct and test improvised explosive devices and recruit Westerners to conduct operations. These strikes were undertaken only by U.S. assets.

Anche Barack Obama ha affermato che gli attacchi sono stati portati all’IS (Stato islamico) e al “gruppo Khorasan”.

Aron Lund ci spiega che cos’è (sarebbe meglio dire cosa non è) il “gruppo Khorasan” in una serie di tweet, qui raccolti:

“Khorasan” would be a great name for a terror group, with nearly unlimited potential for ominous mispronounciation. Sadly, it is not. It’s a word used by al-Qaeda (& others) for the Afghanistan-Pakistan region, where its top leadership sits. What has happened, if US intel is telling the truth, is that a group of AQ veterans have relocated to Syria to support AQ’s local franchise, Jabhat al-Nosra, and (this is the newsworthy part) to develop its capacity for international attacks. All this, apparently, on the urging of AQ’s core leadership. The “Khorasan group” thing comes from them being sent to Syria from “Khorasan” – that is, by AQ’s leadership in Pakistan – and presumably taking their orders straight from there. It’s not the name of a group and they’re not an independent organization. As described in reports so far, they’re a specialized working group inside or otherwise attached to Jabhat al-Nosra that seeks to use the training camps, resources & recruits that Jabhat al-Nosra controls in Syria to run global attacks for which AQ can then claim credit.

2. Dipartimento della difesa e Obama non citano la Jabhat al-nusra nei loro comunicati. Ma da altre fonti emerge che questo gruppo è stato attaccato più volte.

Questo è il dispaccio dei Comitati di coordinamento locale:

By the end of Tuesday, LCC were able to document 123 martyrs including 8 women, 7 children and 2 martyrs under torture: 57 martyrs were reported in #Aleppo 50 of them from Jabhet Al-Nusra were martyred by International Alliance Combats’s airstrike on Al- Muhandisen Suburbs; 29 in #Idlib including 10 civilians and 11 from Jabhet Al-Nusra were martyred by International Alliance Air Combats’s airstrikes on #Kafrdryan; 22 in #Damascus and its Suburbs; 7 in #Homs including 6 Bedouins were martyred by by International Alliance Air Combats’s airstrikes on Shaa’r mount; 4 in Dier Ezzor; 3 in #Daraa and 1 in #Hama.

LCC has also documented 72 air strikes by the U.S. air combats accompanied with Qatari, Saudi, Jordanian, Emirati and Bahraini warplanes at several Syrian cities and towns. #Raqqa city witnessed 7 air strikes that targeted the Municipality Building at the center of the city, the Horsemanship Building and checkpoint western of the city, the Vanguards Camp southern of the city, the National Security Building, National Hospital of Raqqa City, 5 air strikes at the Tabaqa Military Airport, 3 air strikes at Tal Abyad city, 3 others that targeted the 93rd Brigade and its surroundings in Ain Essa area and also 3 air strikes at the National Hospital in Maadan. Moreover, there were 7 air strikes at the Mezra and Boghaz villages in Aleppo province, 2 others at Bafdeek and Jirin villages in Kobane and 4 air strikes at the Muhandiseen suburbs which targeted positions for Jabhat AlNusra militias.
In Idlib, the International Alliance air combats targeted the Kafar Daryan village with 3 air strikes whereas in Deir Ezzor they launched 22 air strikes at BoKamal city. Additionally, they conducted 7 air strikes at Tal AlMilih area in the village of AlTabny, 1 air strike at Tabous Mountain in Shmitiyeh area and 3 air strikes at the Shaer Mountain in Palmyra, Homs.

Tutto ciò fa dire a Mike Giglio, corrispondente di BuzzFeed da Istanbul, che gli Stati Uniti hanno dichiarato guerra alla Jabhat al-nusra.

3. La Jabhat al-nusra è la denominazione di al-Qaida in Siria. Come forse saprete dal maggio del 2013 l’allora Stato Islamico di Iraq e Siria, poi divenuto Stato islamico, è stato espulso da al-Qaida per non aver seguito le direttive del suo capo, Ayman al-Zawahiri.

Già da tempo Jabhat al-nusra e ISIS combattevano l’uno contro l’altro, il dissidio risale all’aprile del 2013, in corrispondenza con la nascita dell’ISIS.

Costatazione: gli americani stanno facendo la guerra allo Stato islamico e contemporaneamente a un loro nemico. Nel migliore dei casi stanno indebolendo IS ma anche uno dei gruppi più efficaci per combattere IS sul terreno.

Riflessione: gli americani stanno facendo la loro guerra in Siria, stanno eliminando (sempre che ci riescano), quelli che ritengono essere i loro nemici, a prescindere dalla posizione che questi loro nemici occupano nel complesso campo di battaglia. Così facendo aggiungono dosi di caos a una situazione già ampiamente critica.

4. Passiamo all’efficacia degli attacchi. Già lo scorso 17 settembre Intelligence online, un sito francese il cui nome è autoesplicativo, raccontava:

According to our sources, Islamic State (IS), the former ISIS or Daesh, is girding itself for the US–led coalition offensive that it is expecting at the beginning of October. The organisation has begun building bunkers and, like Hezbollah and Hamas (IOL 717, IOL 718), it has been burrowing tunnels throughout the territories it currently controls. Lorries and construction equipment are in use round the clock in and around Mosul and in the Syrian province of Raqqa.

Meanwhile, some of the 30,000 Daesh fighters have been told to discreetly blend into the local population either side of the border. Islamic State is keeping silent about its defence strategy while trying to flush out rival rebel groups that could side with the coalition. The bomb attack in Idlib against Ahrar al-Sham (see p.2) and the assassination attempt against Ahmed Issa Zakaria, the chief of the Souqour al-Sham Brigade (the Falcons of the Levant) were part of this strategy.

La cosa mi riporta a un messaggio di Osama bin Laden rivolto agli iraqeni. Siamo nel 2002, ne cito un piccolo pezzo:

Vogliamo sottolineare l’importanza di impegnare il nemico in un combattimento lungo, corpo a corpo, logorante, vendendo a caro prezzo le postazioni difensive camuffate nelle pianure, nelle fattorie, nelle montagne e nelle città. Ciò che il nemico più teme è la guerra nelle città e nelle strade. Quello è il tipo di guerra nella quale il nemico si aspetta di subire gravi ed eccessive perdite.” nota bene “postazioni difensive camuffate

E anche uno del 2003, riguardante i famosi attacchi alle grotte di Tora Bora in Afghanistan:

Gli Americani ci colpirono con bombe intelligenti, bombe che pesavano migliaia di libbre, bombe a grappolo; c’erano anche le bombe perforanti [che esplodevano] nelle caverne. C’erano bombardieri come i B52 – uno di essi per più di due ore – sopra le nostre teste, che sganciavano dalle venti alle trenta bombe per volta. Aerei C-130 modificati ci attaccarono nella notte con bombe ad alto potenziale e con altre bombe moderne. Ma nonostante l’attacco terribile e una spaventosa campagna di propaganda – entrambi senza precedenti – concentrati su questo piccolo luogo, cinto d’assedio da tutti i lati, con in più le forze degli Ipocriti, che ci portavano attacco per due settimane di seguito e che tenemmo lontani giorno dopo giorno – con il favore a Dio Onnipotente ed Altissimo – li respingemmo ogni volta, li uccidemmo e li ferimmo. Nonostante tutto questo le forze americane non riuscirono a penetrare le nostre postazioni: non è forse questa la prova più evidente della loro codardia, paura e impostura, [la prova] che la loro presunta forza è solo un mito? La battaglia si concluse con una sonora disfatta per le forze mondiali del Male che avevano dispiegato tutta la loro forza contro un piccolo gruppo di mujahidin – non più di trecento unità – asserragliati in un miglio quadrato nelle loro trincee a temperature che si aggiravano attorno ai dieci gradi sotto lo zero. Le vittime della battaglia furono per noi intorno al sei per cento – speriamo che Iddio li accolga come Martiri – mentre i caduti nelle trincee furono circa il due per cento – che Dio sia ringraziato.

Intanto anche la Jabhat al-nusra sembra prendere contromisure.

Riflessione: sembra che gli americani non abbiano imparato niente. O, anche, che sappiano perfettamente quanto il loro intervento sia inefficace ma non se ne curino.

5. In Siria il variegato mondo di “ribelli”  reagisce un due modi:

  1.  c’è chi approva gli attacchi ma chiede che fra gli obiettivi ci sia anche il regime di Bashar al-Asad (e, da ciò che vedo, mi sembra che questa richiesta non verrà neanche presa in considerazione viste le evidenze di contatti fra regime e americani nell’imminenza degli attachi);
  2.  c’è chi non approva in base a osservazioni semplici: così facendo gli americani non aiutano la Siria a uscire dall’incubo. Anzi, peggiorano le cose (fra l’altro c’è il plausibile timore che i due gruppi colpiti dagli attacchi tornino sui loro passi e agiscano insieme dimenticando le ostilità del passato).

Fra coloro che si oppongono agli attacchi c’è anche l’unica formazione apertamente foraggiata dagli americani, Haraka Hazm. Nel loro comunicato si legge: Come osservava il 22 settembre  sul Washington Post la politica americana sulla Siria in questi anni aveva contribuito  alla frammentazione del fronte anti-Asad.

Tutto lascia pensare che ora, con questa strategia, ciò che rimaneva dei gruppi armati non islamisti anti-Asad verrà definitivamente schiacciato.

6. Intanto un’altra guerra, quella che c’era prima, continua.  Qui un comunicato di stamattina dei Comitati di coordinamento locale:

Wednesday started in Syria with 14 martyrs including 7 martyres were reported by toxic gases and a child: 7 martyrs were reported in Damascus and its Suburbs by airstrikes with toxic gases on Adra; 3 martyrs in Aleppo; 2 martyrs in Homs; a martyr in Idlib and a martyr in Hama.

 


* mi scuso con i lettori per aver lasciato non tradotte molte delle citazioni. Il tempo è tiranno.

Cesare Cattaneo, il ragazzo che volle farsi frate dell’architettura

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autoritratto giovanile di Cesare Cattaneo
autoritratto giovanile di Cesare Cattaneo

di Gianni Biondillo

A Como il mondo l’hanno salvato i ragazzini. Cento anni fa, circa. Architetti ragazzi, che non hanno mai conosciuto la vecchiaia, morti quando ancora i giovanili furori non erano stati sostituiti da un professionismo senz’anima.  Altri sono sopravvissuti al conflitto, hanno conosciuto l’euforia del dopoguerra, il boom economico; avrebbero potuto portare avanti gli ideali dei loro compagni di viaggio ma non l’hanno fatto. Tutto era cambiato, cosa sarebbe stato dell’architettura italiana se i maestri ragazzini avessero avuto una sorte differente noi non lo sapremo mai. Sappiamo però cosa sono riusciti a fare in vita, per quanto breve.

Sappiamo cosa aveva sognato per la città futura Antonio Sant’Elia, architetto futurista, visionario e romantico assieme. Socialista interventista, che ha conosciuto la morte a ventotto anni sul Carso e non ha lasciato nulla di costruito nella sua Como. Ma quale altro architetto è mai stato più influente nell’immaginario collettivo globale? Forse persino più di Le Corbusier. Come possiamo guardare, per fare un esempio, Metropolis di Fritz Lang senza pensare a lui?

asilo infantile ad Asnago
asilo infantile ad Asnago

Sappiamo cosa ha costruito Giuseppe Terragni, forse il più famoso dei razionalisti lariani. Sappiamo come da neolaureato, con un colpo di mano (un autentico abuso edilizio!), abbia portato l’architettura italiana nel dibattito europeo contemporaneo. Dal Novocomum alla Casa Giuliani-Frigerio, progettata mentre era al fronte russo, passano a malapena 15 anni. Riuscì in quel breve tratto di vita professionale a progettare e ritornare sui suoi passi, a ideare e mettere in dubbio, a creare e guardare oltre.

Fontana a Como Camerlata
Fontana a Como Camerlata

Sappiamo cosa ci ha lasciato Cesare Cattaneo, il più giovane di tutti, così talentuoso che era ancora studente al Politecnico e già lavorava assieme a Terragni nel gruppo che vinse il concorso per il nuovo piano urbanistico per Como (ovviamente poi disatteso). Poche cose: un asilo infantile ad Asnago, costruito appena laureato e negli anni lasciato andare alla malora (oggi è finalmente di proprietà della Fondazione Cattaneo, ma il costo di recupero è realisticamente esorbitante per un privato). Una fontana, disegnata assieme al pittore astrattista Mario Radice come ironico monumento al traffico, all’ingresso della città, essenziale e geniale come mai nessuna dopo, e sempre senz’acqua, con quell’ignavia tipica delle amministrazioni nei confronti dei monumenti moderni.

Casa a Cernobbio
Casa a Cernobbio

La casa a Cernobbio, capolavoro assoluto, sorta di prototipo edilizio modellato fin nei più intimi particolari, unica delle sue opere conservata con cura, amore anzi. Perché invece l’ULI (Unione Lavoratori dell’Industria), la sua più grande realizzazione, alle spalle della Casa del Fascio, progetto che sapeva persino superare in astrazione geometrica il lavoro del suo maestro-amico, fu poi deturpato nel dopoguerra con interventi e superfetazioni volute da Pietro Lingeri, uno dei progettisti originari, con quel classico disinteresse che hanno avuto gli anni del boom nei confronti di una architettura che anche se edificata sotto un regime era tutto tranne che “di regime”. Nient’altro? Nient’altro. Otto anni di vita professionale, poi la morte improvvisa a trentuno anni. Come ha potuto essere così coerente, così potente, persino matura, fin dagli albori la sua visione dell’architettura?

sede ULI, fotografia dell'epoca
sede ULI, fotografia dell’epoca

Tutto il rigore di Cattaneo sta nella serie infinita di schizzi, disegni, dipinti, scritti, saggi, romanzi (sì, romanzi!), che fin da giovanissimo ha prodotto. Un vero e proprio laboratorio di scavo interiore, di pensiero curioso, di apprendimento vorace delle modalità e delle regole dell’arte. Il Cattaneo astrattista, purista, geometrico, esiste perché è esistito il paesaggista imberbe che disegnava indefesso tutto quello che i suoi passi incrociavano, o il giovane esegeta di Leopardi, assiduo lettore del recanatese al punto da vergare un lungo saggio sulla sua opera, o l’adolescente che nel chiuso delle sue stanze scriveva la sua autobiografia, sapendo che a sedici anni s’è vissuto ben poco (e non poteva sapere d’essere già a metà del suo percorso) e che quindi la sua sarebbe stata un’autobiografia “interiore”, “psicologica”.

Mi stupisco ogni volta dello stupore di chi immagina gli architetti disinteressati alla scrittura. È una visione piccina della cultura, fatta per compartimenti stagni, comoda per incasellare un personaggio in uno stereotipo, non certo per comprenderne la complessità. Letteratura e architettura, diceva John Ruskin, sono le uniche due discipline testamentarie di un popolo. Producono monumenti collettivi. Molti sono gli scrittori che hanno studiato architettura, molti gli architetti che hanno scritto. Dagli studi ad Harvard di John Dos Passos, passando per lo scrittore/architetto svizzero Max Frisch arrivando al Booker Prize Arundhati Roy, o al nostro Aldo Buzzi, coetaneo e concittadino di Cattaneo. Persino i Pink Floyd furono studenti al Politecnico londinese (e non dimenticarono i loro studi, basti pensare alla potente metafora del loro concept album The Wall).

uno degli infiniti taccuini di Cattaneo
uno degli infiniti taccuini di Cattaneo

Da vivo Cattaneo riuscì a pubblicare solo un libro, un saggio sui temi dell’architettura messi in forma di dialogo. Sapeva che attraverso i modi della narrazione sarebbero passati meglio i concetti che a cui teneva. Ma il suo Giovanni e Giuseppe. Dialoghi di architettura aveva appunto un precedente. Un (non) romanzo rimasto nel chiuso del cassetto per decenni, scritto ad appena vent’anni, Paolo Pons, che Gaffi è intenzionato a ripubblicare a breve.

È un libro dove la fantasia del giovane artista si scatena. Una sorta di guida di Como e dintorni, un viaggio, a piedi, fatto da Cesare stesso e dal suo alter ego Paolo Pons, colmo di dialoghi (appunto), di derive, mangiate, incontri surreali, battute fulminati, parodie, pagine di meta-letteratura e frammenti di ricordi autobiografici. Certo, un libro imperfetto, oggi si direbbe da “editare”. Ma dato che non era nato se non per gioco, un libro che sa raccontarci con chiarezza l’universo magmatico che pulsava nell’animo del giovane studente d’architettura.

ritratto fotografico di Cattaneo
ritratto fotografico di Cattaneo

Anche la prima pubblicazione di un altro protagonista del movimento moderno italiano, Edoardo Persico, fu un romanzo, La città degli uomini d’oggi (ripubblicato nel 2012 da Hacca). E anche Persico, altra figura inquieta di quegli anni, morì giovane, d’una morte sospetta che fu indagata da Camilleri un paio d’anni fa. Quando lo scrisse aveva ventidue anni. Sembra quasi che attraversare la narrazione fosse obbligatorio per questi pionieri del gusto che cercavano forse su percorsi differenti da quelli usuali il loro “passaggio a nord ovest”. Come viandanti, come pellegrini.

In uno dei suoi ultimi scritti Cattaneo immaginava un convento di un “Ordine di frati architetti”, dove poter esprimere la vocazione dell’architettura, a differenza dei colleghi “portati alle soluzioni pratiche”. A capo del convento ci vedeva Giuseppe Terragni. L’amico però morì troppo presto. Cesare lo seguì il mese appresso. Non fecero neppure in tempo ad assistere all’otto settembre del ’43. Ma questa è un’altra storia.

A noi resta il suo patrimonio. Quello edificato, da restaurare e valorizzare, e quello scritto e disegnato, da diffondere e condividere. Per stima, per affetto. Per non perdere i legami con la parte migliore di un’Italia che aveva vent’anni quando le menti migliori di quella generazione avevano vent’anni. Eternamente giovani.

(precedentemente pubblicato su L’Ordine, del 14 settembre 2014)

Idioletto (prima parte)

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Biagio Cepollaro, Kun, 2008di   Biagio Cepollaro

[Idioletto è una delle voci di quel dizionario della contemporaneità che circa venti anni fa Lucio Saviani aveva raccolto in un volume dal titolo Segnalibro (Liguori Editore, 1995). La contemporaneità di venti anni fa lasciava certamente presagire in parte quella attuale che ha caratteristiche ancora diverse. Per me si trattava di approfondire alcune considerazioni di poetica, legate alla scrittura di due libri di poesia, Scribeide  e Luna persciente, all’ interno di una visione più generale del rapporto tra linguaggi e mondo, delineando appunto una sorta di ‘condizione idiolettale’. Pubblico qui la prima parte.]

Nel Dizionario di retorica e stilistica di Angelo Marchese, alla voce «Idioletto», seguono definizioni che sottolineano più la problematicità della nozione che la sua efficacia. Si legge: « L’idioletto è l’uso della lingua proprio di ogni individuo, il suo linguaggio o “stile” personale, prescindendo dal gruppo in cui l’individuo è inserito; in questo senso molti studi contestano la liceità e l’utilità del termine. Più recentemente la parola è stata assunta, in sede di critica letteraria, come sinonimo di linguaggio particolare di uno scrittore, se non addirittura dello stile (e anche in questo caso non se ne vede la necessità)» (1).

Maresco e Belluscone: colpi di grazia

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di Giuseppe Schillaci

Berlusconi è solo un pretesto, una boutade, una trovata promozionale.

Il suo nome, storpiato in siciliano, evoca qualcosa di vago e di terribile: il colpo di grazia a un’Italia agonizzante, o più in generale a una certa idea d’umanità, o piuttosto al senso di fare cinema oggi o, ancora, al percorso radicale di Franco Maresco.

Blaxploitalian. Cent’anni di Afrostorie nel cinema italiano

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http://www.youtube.com/watch?v=N3TC_cMit00

Il regista-attivista Fred Kudjo Kuwornu sta iniziando in questi giorni le riprese del documentario “Blaxploitalian. Cent’anni di Afrostorie nel cinema italiano”.

The Architecture of Violence

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di Mattia Paganelli

Al Jazeera ha recentemente presentato un breve documentario sul ruolo dell’architettura e del territorio nel conflitto israelo-palestinese attraverso l’analisi di Eyal Weizman, direttore di ricerca nel dipartimento di architettura di Goldsmiths College (University of London). Se possibile, andrebbe visto leggendo in parallelo il suo libro Il minore dei mali possibili, direttamente ispirato alle riflessioni di Hannah Arendt.

The Architecture of Violence