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E. E. CUMMINGS – III. O DELLE AVANGUARDIE

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di Franco Buffoni

Particolare il destino critico di E. E. Cummings. Sino all’inizio degli anni settanta per un critico letterario anglosassone era d’obbligo pronunciarsi su di lui. Con simpatia per i suoi funambolismi verbali e grafici, o con profondo disprezzo per la loro “futilità” o “inutilità”. Ma se ne parlava. La critica avversa cercava di dimostrare come nella sua opera non vi fosse evoluzione alcuna, o maturazione, progresso. Come, in sostanza, non vi fosse apporto degno di nota sul piano semantico alla lingua inglese, tale da giustificare l’oscurità delle trasgressioni sintattiche e grafiche.

I critici amici invece parlavano di effetto-jazz, di polilinguismo, di ricchezze vernacolari e di idioletto, configurandoli come l’espressione più coerente della sua ideologia anarchica.

Dalla seconda metà degli anni settanta in poi, su E. E. Cummings pare – in proporzione – essere calato il silenzio critico. Anche gli imitatori, i proseliti, i giovani che alla fine degli anni sessanta ancora istoriavano i loro quadernetti – e persino le pagine di qualche rivista – di poesie alla maniera di Cummings, sono completamente spariti. Può essere allora opportuno chiedersi: quando parliamo di sperimentalismo o di avanguardia in Europa – e, specificamente, in Italia – intendiamo la stessa cosa che intendono negli Stati Uniti?

DA QUESTO MONDO

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di Franco Buffoni

Mentre da Corrado Benigni ricevo questa emblematica foto, da lui stesso scattata negli Stati Uniti qualche settimana fa a Nashville (!), Enzo Cucco mi invia questo agghiacciante documento sulla condizione degli omosessuali in Uganda:

Cosa resta? Giuliano Mesa: 35 anni di poesia + qualcosa …

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di Davide Racca

endlich,
heftig,
längst.

P. Celan

Davide Racca. Titolo: Tausend ist noch nicht einmal eins.

È uscito di recente, nella collana Metra, il libro POESIE 1973-2008 di Giuliano Mesa (edizione LA CAMERA VERDE, Roma 2010, testo introduttivo di Alessandro Baldacci). In questo bellissimo manufatto (curato da Giovanni Andrea Semerano)  sono raccolte Schedario, Poesie per un romanzo d’avventura, I loro scritti, Da recitare nei giorni di festa, Quattro quaderni, chissà, Tiresia, e nun (opera in corso, con alcune sezioni scritte dal 2002 al 2008).

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Leggere Forest. Presto.

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Sacrificio di Isacco – Michelangelo Merisi da Caravaggio
1603, olio su tela, 104×135 – Galleria degli Uffizi, Firenze

   di Linnio Accorroni

Noi siamo tutti dei bambini, tranne i bambini.
            “Santuario” W. Faulkner

   C’è la letteratura. E c’è la morte. C’è la letteratura e c’è la morte, e c’è la morte, quella più terribile ed ingiustificabile, quella dei bambini, quella che non ammette nessuna elaborazione, quella che non permette nessuna forma di conforto, quella che non concede oblio, quella che strazia e strema. Non sorprende quindi che Philippe Forest, a 10 anni dalla scrittura del suo ‘romanzo’ Tutti i bambini, tranne uno, sia tornato ad impelagarsi in questa materia tanto sconvolgente e dolorosa, sia tornato di nuovo a domandarsi cosa accade “nell’impossibile della realtà”: e la malattia e la morte di una bambina è una delle forme – la meno riconducibile a logiche consolatorie di razionalità e di senso – che “l’impossibile” assume nella dimensione della quotidianità.

Il Sole 24ore, i poeti e la poesia

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Pubblico molto volentieri questo post di Azzurra D’Agostino ed il link ad una sua lettera sulla poesia indirizzata al caporedattore del Sole 24ore. Ho chiesto ad Azzurra se potevo dare visibilità a questo su gesto su Nazione Indiana, e lei ha acconsentito, per questo la ringrazio. Del suo discorso condivido tutto, e le riconosco una pacatezza e ragionevolezza dei toni necessarie, ma che, io, ad esempio, non sarei riuscita ad avere. (f.m.)

di Azzurra D’Agostino

Il 3 ottobre scorso, dopo aver letto l’inserto domenicale del Sole 24ore, scrissi al caporedattore una lettera di protesta/richiesta. Il mio disappunto verteva sul fatto che lo spazio dedicato alla poesia, su tutti i giornali sempre molto ridotto e spesso all’acqua di rose, fosse da qualche tempo occupato dagli interventi di Davide Rondoni. Ora, la mia lettera non voleva essere un semplice attacco alla persona di Rondoni, che non conosco personalmente e che nulla mi ha fatto, bensì una riflessione che a partire da questo ampliasse un po’ il suo raggio.

Stracquadanio, una storia del presente.

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Alcune considerazioni sulle affermazioni di Giorgio Clelio Stracquadanio, il film Videocracy e il documentario Il corpo delle donne.

Di Carlo Antonicelli

Non se avete mai prestato attenzione a come certi fenomeni colpiscano la mente quando li si incontra per la prima volta per poi perdere il proprio impatto emotivo quando gli stessi fenomeni tendono a ripresentarsi con una certa frequenza.

Ricordo che giovanissimo ero appena arrivato a Roma e vidi un uomo per strada, con un moncherino al posto del braccio e una gamba amputata, che chiedeva l’elemosina. Rimasi alcuni minuti a fissarlo, da lontano, incapace di qualsiasi reazione di fronte a quell’immagine. Era insostenibile non solo la sua presenza – il fatto che egli potesse davvero esistere – ma ciò che mi inquietava davvero era che egli potesse alzare lo sguardo su di me e chiedermi qualcosa, qualsiasi cosa. Dovetti cambiare strada quel giorno.

Successivamente l’ho incontrato di nuovo, quell’uomo, e poi ancora. Oggi, quando le nostre strade si incrociano, non cambio più strada. Piuttosto lo guardo nella sua interezza e poi nei suoi pezzi (il moncherino, la gamba mancante), pensando soltanto a quanto sia multiforme e strana la vita degli esseri umani su questa terra.

Atlante della letteratura italiana Einaudi

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di Sergio Luzzatto e Gabriele Pedullà

Theatrum Orbis (1570). Fonte: Wikipedia

Julien Gracq ha scritto una volta che «una storia della letteratura, contrariamente alla storia tout court, dovrebbe ricordare soltanto i nomi legati alle vittorie, poiché in questo ambito le sconfitte non sono una vittoria per nessuno». Ebbene, nel concepire l’Atlante della letteratura italiana noi abbiamo ragionato in maniera completamente diversa, persuasi che – volendo riprendere la similitudine bellica del poeta francese – per chi si occupa di letteratura sia di estremo interesse proprio la battaglia che si combatte quando è ancora incerta la sorte dei diversi contendenti.

La risposta? Non è nei buchi

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di Anna Fava

Terzigno, Serre, Giugliano. E’ nei buchi che si continua a cercare una via d’uscita. In modo del tutto irrazionale: già nel 2005 la Corte dei Conti criticò aspramente la struttura commissariale, gestita per anni in simbiosi con la Protezione civile, per non aver incentivato in alcun modo la raccolta differenziata, stabilendo arbitrariamente che la risoluzione dell’emergenza rifiuti dovesse limitarsi alla realizzazione e alla gestione dell’impiantistica finale e non nella riduzione a monte del flusso di rifiuti da trattare attraverso la raccolta differenziata. Se infatti la raccolta differenziata fosse potenziata ed estesa in modo sistematico a tutti i Comuni, organizzando una raccolta differenziata porta a porta per tutti i cittadini, con una accurata separazione dei materiali da avviare alla filiera del riciclo e del recupero della materia, in breve tempo non solo la Campania riemergerebbe dallo stato di degrado attuale ma si animerebbe un’economia sana, compatibile con la vocazione agricola del territorio e con l’elevata densità abitativa di molti Comuni.

Incendi occidentali

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di Viola Amarelli

I
Rovescia. Ogni canto, e spigolo
ad angolo.  Urlando, da pazzo
l’isterico – in fiamme-
il vinto – a disagio
tra i sogni sgranati puliti
i sogni degli altri

E perché mai un albanese non dovrebbe valere meno di un italiano?

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di Marco Rovelli

Non ci sono molte buone ragioni per contestare la sentenza del giudice di Torino che ha deciso che la morte di un operaio albanese debba essere compensata con un ammontare di denaro minore di quello che compenserebbe l’analoga morte di un operaio italiano. Il giudice si è basato su un tabellario che parametra i poteri d’acquisto nei diversi Paesi del mondo. Quel che conta, insomma, è la quantità di merce che può essere comperata. La vita di un uomo viene finalmente valutata per ciò che essa è effettivamente nel mondo “reale”: la sua capacità di consumo. L’essere umano vale in quanto consumatore: ecco, finalmente una sentenza che dichiari fuori dai denti, esplicitamente, questa verità che abbiamo sotto gli occhi quotidianamente, e che viene asserita in quanto valore ogni giorno.

Etica della sparizione

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[Il presente contributo appare in «Il Caffè Illustrato», nr. 55, agosto-settembre 2010.]

di Andrea Cortellessa

David Hockney, A Bigger Splash, fonte: Wikipedia

È interessante il confronto fra le copertine delle due edizioni – fra loro separate un po’ più di trent’anni – delle Forze in campo, secondo romanzo di Franco Cordelli. In quella appena uscita (con minimi ritocchi autoriali) nella BUR Rizzoli, un campo da tennis dal fondo grigio (è un allenatore di tennis, oltre che un ex pugile, il «Cordelli» protagonista del romanzo) viene inquadrato in toni spenti e da una prospettiva straniante: dall’alto sulla verticale (non proprio a piombo) del nastro che sormonta la rete (mentre la rete stessa, agitata dal vento, si gonfia sulla sinistra dell’inquadratura). In quella uscita da Garzanti nella primavera del 1979 è invece riprodotto, sempre su fondo grigio, un quadro anni Sessanta di David Hockey, dalle tinte invece assai accese e dal titolo A bigger splash: in una cornice vagamente californiana (una villa in stile razionalista, torreggianti palme all’orizzonte) è raffigurata una piscina, con in primo piano il trampolino e, al centro, grandi e desultorî spruzzi d’acqua.

carta st[r]ampa[la]ta n.33

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di Fabrizio Tonello

Il bello dei festival è che sono … delle feste, quindi nessuno si stupisce se Tizio si ubriaca, Caio fa un gavettone agli amici e Sempronio lecca la meringa dal pavimento dove è caduta. Così, sapendo che a Genova, il 29 ottobre, si apre il festival della Scienza a Repubblica si mettono immediatamente di buon umore e decidono di intrattenere i lettori con un inserto di tre pagine (sia pure confinato tra le pubblicità dei divani e delle cucine).

L’innaturale maniera di sopravvivere

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di Evelina De Signoribus

Ci siamo trovati nel cratere di un tempo rarefatto
e il nero immoderato dell’intorno ha disperso il gruppo

È tanto che non mi fermo e ora che lo faccio
d’improvviso mi sovviene il movimento delle bocche,
il giallo di alcune mani…
ma già penso al coperchio che non trovo, all’acqua che bolle vicino.
Il moscerino affogato non mi porta all’acquitrino dove è nato.
Reggono bene, così, i miei occhi, il caduto.
Intanto il calore spira, preme, soffia, brama lo spiraglio.
Delle parole, ora mi sovviene il suono, non il senso.
Allora metto una mano sul petto
e premo a cercare un più vasto dolore
ma il ventre è molle, non ascolta, non percepisce lo sforzo.
Anche il corpo ha assorbito l’innaturale maniera di sopravvivere.

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Alfa Zeta: E come Eternity

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Nuova puntata di Alfa Zeta per Alfabeta2.
qui, le puntate precedenti.

Il tutto comincia con l’Eternit dei tetti che apre questa nuova puntata di Alfa Zeta, con la ossessiva riduzione delle vite a miniature esistenziali, la gloria letteraria di Fabio Volo, sullo schermo sospesa e riflessa nelle vetrine di un megastore. Così appare anche la città, con i trenini in miniatura, solcata dalle icone della contemporaneità – ora il tifoso con il braccio teso, ora l’interno senza vita della metropolitana in cui si è appena consumato un delitto nazionale. Ecco allora che fai fatica, altro che rimboccarsi le maniche come scrivono i compagni che sba(di)gliano, perfino a scoprire, come nel manifesto inquadrato e strappato dai passanti, che oltre quello, proprio dietro, c’è il Cristo. Quell’eternità – êtrenitè, tu proprio non la capisci, non la decodifichi, sei come i sordomuti alla sede rai, a reclamare sottotitoli, lo schermo è vuoto, bucato, non appare nulla. Questa esperienza di disequilibrio, di caduta da stordimento, si è associata in me all’immagine dell’Albatros di Baudelaire, quel goffo balletto dei poeti, quel balbettio delle ali che sembra, ma solo a tratti, produrre piccoli venti di speranza. effeffe

Rapporto sullo stato dell’editoria italiana 2010

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È uscito da poco il rapporto 2010 dell’AIE (Associazione Italiana Editori) sullo stato dell’editoria italiana che presenta i dati per il 2008 e il 2009. Una sintesi del rapporto è visibile qui ed è la fonte di questo post. La scheda della pubblicazione invece è qui. Riporto in breve alcune cifre che mi sembrano particolarmente significative.

Per prima cosa, il calo del fatturato del 4,3% rispetto al 2008, che porta il giro d’affari dell’industria editoriale nazionale sui 3,4 miliardi di euro. Stando al rapporto, è il secondo calo consecutivo. In questo quadro, tuttavia, c’è un incremento del cosiddetto canale trade ovvero delle vendite in libreria, nella grande distribuzione, in edicola e on line. Si tratta di un aumento del 3,5%, formato tra le altre cose da un incremento significativo delle librerie di catena, rispetto a quelle cosiddette a conduzione familiare, e da un aumento anche più forte delle vendite on line. C’è un crollo invece dei collezionabili, ovvero dei fascicoli da edicola, le cui vendite diminuiscono del 31,4%.

La responsabilità dell’autore: Igiaba Scego

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[Dopo gli interventi di Helena Janeczek e Andrea Inglese, abbiamo pensato di mettere a punto un questionario composto di 10 domande, e di mandarlo a un certo numero di autori, critici e addetti al mestiere. Dopo Erri De Luca, Luigi Bernardi, Michela Murgia, Giulio Mozzi, Emanule Trevi, Ferruccio Parazzoli, Claudio Piersanti, Franco Cordelli, Gherardo Bortolotti, Dario Voltolini, Tommaso Pincio, Alberto Abruzzese, Nicola Lagioia, Christian Raimo, Gianni Celati, Marcello Fois, Laura Pugno, Biagio Cepollaro, Ginevra Bompiani, Marco Giovenale, Vincenzo Latronico, Franz Krauspenhaar, Giorgio Vasta, ecco le risposte di Igiaba Scego.]

Con Igiaba si conclude la nostra inchiesta. Le questioni rimangono aperte, ovviamente; ma, proprio per il desiderio di offrire uno strumento di analisi a quanti si siano posti le nostre stesse domande, da scrittori o semplici lettori, noi di Nazione Indiana abbiamo pensato di raccogliere l’insieme delle risposte che ci sono state così gentilmente offerte da scrittrici e scrittori in un libro cartaceo che verrà pubblicato a Dicembre. Nel volume, curato da Francesco Forlani e Antonio Sparzani, per la casa editrice Sottovoce, ci saranno gli interventi di Helena Janeczek e di Andrea Inglese, da cui aveva preso spunto la nostra inchiesta e una prefazione di Andrea Cortellessa, a partire dal testo letto in occasione degli incontri organizzati da Nazione Indiana a Castel Fos di Novo. Parallelamente Nazione Indiana curerà un e-book con gli stessi contenuti nell’ambito di un progetto di cui vi daremo prossimamente informazioni più dettagliate.

1) Come giudichi in generale, come speditivo apprezzamento di massima, lo stato della nostra letteratura contemporanea (narrativa e/o poesia)? Concordi con quei critici, che denunciano la totale mancanza di vitalità del romanzo e della poesia nell’Italia contemporanea?

Io non penso che la narrativa italiana sia in crisi.

YOU ARE NOT ALONE

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di Franco Buffoni

L’acceso dibattito sull’alto numero di suicidi tra gli adolescenti gay negli Stati Uniti, da noi testimoniato su Nazione Indiana in due recenti post

TREVOR
SUICIDI DI ADOLESCENTI GAY

ha indotto il Presidente Obama a un intervento davvero significativo. Quale siderale distanza rispetto alla totale insensibilità dei nostri politicanti su questi temi (con l’eccezione di Paola Concia). Siamo grati a Repubblica tv di permetterci di divulgarne il video:

el sonido y el abecedario

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una conversazione tra

Riccardo De Gennaro e il poeta cileno Antonio Arévalo
su Roberto Bolaño

“Sono nato nel 1953, l’anno in cui morirono Stalin e Dylan Thomas. Nel ‘73 fui incarcerato per otto giorni dai militari golpisti del mio paese”. Così l’incipit del suo “autoritratto”. La prima notte di prigione Roberto Bolaño sognò che Stalin e Dylan Thomas conversavano in un bar di Città del Messico “seduti a un tavolino rotondo di quelli per fare a braccio di ferro, solo che non facevano a braccio di ferro, ma a chi reggeva meglio l’alcol”. Con il procedere del sogno l’unico a sentirsi male è il sognatore. Bolaño si salverà dalla dittatura, riuscirà a tornare a Città del Messico, poi – agli inizi del 1977 – volerà in Spagna, dove si trova già la madre, prima a Girona, poi a Blanes, un’ora e mezza da Barcellona. A dispetto della sua condizione, non vuole essere un esule, vuole restare un cileno. Fonda una rivista di soli poeti cileni che intitola “Berthe Trépat”, dal nome della pianista che compare in Rayuela di Cortázar e che suona per pochissimi o forse per nessuno. Si tratta di poco più di un insieme di fogli ciclostilati, una tiratura di una cinquantina di copie. Di più non si può permettere. La casa editrice si chiama “Rimbaud vuelva a casa”, Rimbaud torna a casa. Ne escono soltanto tre numeri, destinati ai collaboratori. Antonio Arévalo, poeta cileno, critico d’arte, esule a Roma, è uno di questi.
Eravamo diventati amici: dal giorno in cui arrivò in Spagna si mise a caccia di tutti i giovani poeti cileni che erano venuti in Europa dopo il golpe”, mi dice Arévalo in un bar situato proprio davanti all’Istituto Italo Latino Americano di Roma, dove ha lavorato per anni dopo la fuga dal Cile.

Quegli insulsi aneddoti (sul precario accademico)…

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[questo articolo in forma un po’ diversa è uscito sul numero 3 di “alfabeta2”]

di Andrea Inglese

Il precariato accademico non è in fondo poi diverso dalle altre forme di precariato. Anche in questo caso ti trovi di fronte a un tizio che, con aria affabile, ti spiega come qualmente sia del tutto ovvio che tu, pur facendo grosso modo il suo stesso lavoro, vieni però pagato un terzo, non hai ferie e tredicesima, e soprattutto puoi essere messo alla porta in qualsiasi momento. Se poi ti viene da pensare «Ma sei un bello stronzo!», bisogna che ti guardi bene dal dirlo, perché a differenza di un qualsiasi datore di lavoro o semplice superiore, nel mondo accademico il professore ordinario è generalmente un progressista, avverso al dispregio dei diritti umani, e perfettamente capace di sottrarti anche quel terzo di stipendio che stai cercando con premurosa umiltà di guadagnarti.

Non siamo invisibili

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di Gianni Biondillo

L’appuntamento è di fronte a una edicola che vende materiale pornografico a due passi dalla stazione. Non abito lontano da qui, se passa qualcuno che conosco mi sono giocato definitivamente ogni briciolo di credibilità. Tutta colpa di Cesare, un fotografo che da un po’ di tempo porta avanti un progetto semplice e geniale assieme: una mostra di fotografie sui senzatetto, i clochard della stazione centrale. Foto, però, non fatte con l’occhio un po’ paternalista del professionista, ma scattate direttamente da loro, i senza fissa dimora. I barboni, insomma. Una volta tanto non solo soggetti ma anche autori di se stessi. Come si vedono, loro, “gli invisibili”? “Sono bravi”, mi dice Cesare, ora che mi porta via dall’edicola e mi fa attraversare la strada, “bravi davvero”. E pronti a dare lezione di dignità. La prima preoccupazione di Cesare era che non si vendessero le macchine fotografiche. Invece è andata a finire che ha dovuto trovare altre digitali perché la cosa ha talmente preso piede che ora c’è la fila. Tutto vogliono guardarsi attraverso l’obiettivo, dare una forma alle loro giornate infinite.

Finanziare il lavoro creativo: Produzioni dal Basso

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murales di Felice Pignataro

di Jan Reister

Intervista a Produzioni dal basso, un servizio italiano di autoproduzione ed a Martina Pignataro.