di Antonio Sparzani

(l’immagine mostra le terzine con le quali il bresciano Niccolò Fontana detto il Tartaglia forniva al pavese Girolamo Cardano una chiave per la formula risolutiva dell’equazione di terzo grado: la vicenda è raccontata qui, con gusto e dovizia di particolari)
Dunque la letteratura, si concludeva nella prima puntata, prende talvolta le formule con quel giusto quanto di leggerezza.
Ma non tutti. Un esempio estremo e assai illustre è rappresentato dal grande comparatista George Steiner, che così scriveva nel 1998:
Quelli di noi che sono costretti dalla loro ignoranza delle scienze esatte ad immaginarsi l’universo attraverso un velo di linguaggio non-matematico abitano in un mondo di favola. I veri fatti in questione – il continuum spazio-temporale della relatività, la struttura atomica di tutta la materia, lo stato onda-particella dell’energia – non sono più accessibili mediante la parola. Non è paradossale affermare che per aspetti essenziali la realtà ora comincia fuori dal linguaggio verbale. I matematici lo sanno. “La matematica” dice Andreas Speiser [illustre matematico e filosofo svizzero della prima meta del ‘900, n.d.r.] “con la sua costruzione geometrica e più tardi puramente simbolica, si è scrollata via gli inceppi del linguaggio … e la matematica oggi è più efficace nel suo settore dell’ambito intellettuale di quanto non lo siano, nei loro rispettivi settori, le lingue moderne nello stato deplorevole in cui si trovano, o financo la musica.”
Pochi umanisti sono oggi coscienti della portata e della natura di questo grande cambiamento… (Language and silence, Yale Univ. Press, New Haven and London, 1998, p. 17.)
Da parte mia non sono affatto d’accordo con questa affermazione così drastica e generale,