Per una teoria dell’intossicazione
intervista in rete a Peter Sloterdijk
traduzione dal francese di Francesco Forlani
La sua diagnosi del nostro tempo inizia con una strana professione di fede. Lei dichiara che, per capire il mondo di oggi, bisogna essere “leggermente intossicati”. Cosa ci vuole dire con questo?
Peter Sloterdijk: I medici omeopati del diciannovesimo secolo credevano che il professionista dovesse sperimentare prima su se stesso le medicine che avrebbe in seguito prescritto alla clientela. Diciamo allora che un buon filosofo è una specie di intossicato illuminato e che il suo sapere consiste in una sorta di polifonia dell’ avvelenamento. Questo per me vuol dire che il sapere filosofico non è solamente il risultato di una riflessione approfondita, nè tanto meno soltanto l’espressione di sé quale soggetto, ma il risultato di un tipo di successo immunologico. La verità deve essere interpretata, a mio parere, come un fenomeno immunitario che il discorso del filosofo contemporaneo porta al termine di una serie di vaccinazioni o addirittura di auto-avvelenamenti. Nelle reazioni del pensatore moderno emerge un nucleo di verità che non è altri che la lotta del sistema in grado di sopravvivere grazie a una serie di produzioni di anticorpi, sia logici che semantici, che fanno da diga all’invasione di virus ostili.











