di Helena Janeczek
La terza o quarta volta che vado a Cassino, Chiara Valerio mi aspetta alla stazione per accompagnarmi ai cimiteri. “Andiamo?” chiede.“Aspetta, prima dovrei fare una piccola cosa qui.”
Ci fermiamo al primo binario. Mi giro a destra per cercare il punto dove i maori che ho inventato avrebbero potuto fermarsi per raccogliersi nel ricordo dei caduti.
Il marciapiede è più corto di quanto ricordassi, o immaginassi, e non trovo il muretto che, visto in una foto, mi era parso adatto per farci sistemare il korowai, il mantello di piume che un veterano lascia come coperta ai suoi compagni morti. C’è invece un’aiuola chiusa da un recinto in ferro battuto verniciato di verde, non più alto di una ventina di centimetri, e in mezzo c’è una stele. Dico a Chiara che non lo sapevo, ma non mi stupisce che sia lì, con la sua targa in bronzo dedicata ai soldati neozelandesi. Alla base è appoggiata una corona, come non ne ho mai vista.
Niente rami legati in cerchio, avvolti da nastri che recano stemmi e iscrizioni patriottiche: somiglia piuttosto a una ciambella di salvataggio, un salvagente di verde sfrangiato, ornato da un residuo di fiori finti che non si sforzano di imitare fiori veri.




di Marco Simonelli








