di Antonio Sparzani

Parlavo degli spa- venti dell’infinito, l’ultima volta. Spa- venti di poco conto, naturalmente. La mente degli uomini si arrampica talvol- ta su pareti lisce e pianta chiodi per avere appigli; se poi c’è qualcosa da raggiungere in cima a una determinata parete, all’inizio nessuno lo sa; ma si sa che il rapimento dell’arrampicare è l’arrampicare stesso. Nella storia della matematica, e più in generale della scienza, è talvolta accaduto che dalla sommità della parete siano apparsi panorami – spesso inattesi – di bellezza straordinaria e talvolta invece non c’era nessuna fine alla parete, e i chiodi sono rimasti lì, inutili e rugginosi.
E poi, non crediate, dionescampi, che tutto sia così oggettivo, men che meno nella storia della scienza: taluni hanno detto di scorgere, ad un certo punto della parete, dei paesaggi da togliere il respiro, cui altri hanno invece guardato con stanca indifferenza. Fortunatamente il cervello degli umani è vario assai.
In questa storia dello spuntare dell’idea di infinito all’orizzonte della scienza moderna ci sono stati alcuni che si son com—piaciuti un sacco e altri che sono addirittura inorriditi. Esempio vivido di ciò fu il matematico tedesco Leopold Kronecker (1823 – 1891) che ritenne i “numeri transfiniti” (vedi oltre) creati dal matematico di nascita pietroburghese ma poi attivo a Halle, in Sassonia-Anhalt, Georg Cantor (1845 – 1918), suo antico allievo, Humbug – ciarlatanerie – come del resto il grande matematico e fisico Henri Poincaré (1854 – 1912) che li definì una “malattia” dalla quale la matematica andava guarita.
E la questione è sempre la solita: appena ci si distacca, poco o tanto, da quelle che sembrano essere nozioni intuitive, qualcosa dentro di noi si ribella: ma come, il mondo non è fatto come ce lo siamo sempre immaginati, fin dalla culla?










di Un funzionario