di Pino Tripodi
Premessa
Quando Malevic espose per la prima volta il suo Quadrato nero su fondo bianco, siamo nel 1915, inaugurò una corrente artistica che ha avuto un solo esponente: lui. Quella corrente nella storia dell’arte è conosciuta come Suprematismo. Diversamente da altre correnti il cui nome è derivato da attribuzioni posteriori o da intuizioni dei critici del tempo, il nome suprematismo la corrente di Malevic la deve a se stesso che ha scritto, in estemporanea compagnia con Majakovskj, il Manifesto del suprematismo. In esso si legge che il compito degli artisti non è quello di riprodurre o di rappresentare mondi, ma quello d’inventarsene altri. Il suprematismo di Malevic bandisce la rappresentazione e punta sull’espressione artistica, sull’esplosione delle sensibilità sommerse nel mare delle similitudini, delle identità, delle metafore, delle analogie, delle caricature, delle rappresentazioni, delle allegorie. Il quadrato punta dritto contro tutte le pretese che il mondo sia come appare e le distrugge in un nero denso che ha la potenza del fuoco purificatore. È come se Malevic ci invitasse a esprimere con l’arte il mondo della volontà (della sensibilità) contrapposto a quello della rappresentazione.
Il principio di supremazia
Le sette abitudini dei terroristi inefficaci
La maggior parte delle strategie antiterrorismo non falliscono a causa di problemi tattici, ma per un malinteso di fondo in merito a ciò che spinge in primo luogo i terroristi ad agire. Se vogliamo sconfiggere il terrorismo, dobbiamo comprendere anzitutto che cosa spinge le persone a diventare terroristi.
Secondo il giudizio prevalente, il terrorismo è un fenomeno intrinsecamente politico e si diventa terroristi per ragioni politiche. Questo è il modello “strategico” del terrorismo, e si tratta sostanzialmente di un modello economico. Esso stabilisce che le persone ricorrono al terrorismo quando credono (a ragione o a torto) che ne valga la pena; ovvero, quando ritengono che i vantaggi politici del terrorismo meno i costi politici siano superiori a quanto otterrebbero con una qualsiasi altra forma di protesta più pacifica. Si presume, per esempio, che chi si unisce a Hamas abbia come obiettivo la realizzazione di uno stato palestinese; e chi si unisce al PKK lo faccia per arrivare a ottenere una realtà nazionale curda; e chi si unisce ad al-Qaida voglia, fra le altre cose, cacciare gli Stati Uniti dal Golfo Persico.
Bacheca di Nazione Indiana
Lo spazio a disposizione dei lettori per segnalazioni e discussioni varie di pubblico interesse è disponibile qui nella Bacheca di Nazione Indiana. Si tratta di un forum separato che ormai conta decine di utenti e un vivace scambio di idee.
Avviso agli studenti / 4
di Raoul Vaneigem
IMPARARE L’AUTONOMIA, NON LA DIPENDENZA
La scuola ha promulgato per secoli il sequestro del fanciullo da parte della famiglia autoritaria e particolare. Ora che si abbozza tra i genitori e la loro progenie una comprensione reciproca fatta di affetto e di autonomia progressiva, sarebbe un peccato che la scuola cessasse di ispirarsi alla comunità familiare.
Paradossalmente il sistema educativo, che accoglie con i giovani ciò che cambia di più, è anche quello che meno è cambiato.
Perché la società ha bisogno degli insegnanti
Nessuno crederebbe mai che a un abito passato di moda basti dare una sforbiciata (o meglio una falciata) al collo, alle maniche, perché ne venga fuori un capolavoro di sartoria. Eppure dobbiamo credere a una favola simile su una questione che così da vicino ci tocca e ci riguarda: l’istruzione.
Piazza Navona
una testimonianza diretta, a cura di Antonio Sparzani

Un camion carico di spranghe e in piazza Navona è stato il caos
La rabbia di una prof: quelli picchiavano e gli agenti zitti.
AVEVA l’aria di una mattina tranquilla nel centro di Roma. Nulla a che vedere con gli anni Settanta. Negozi aperti, comitive di turisti, il mercatino di Campo dè Fiori colmo di gente. Certo, c’era la manifestazione degli studenti a bloccare il traffico. “Ma ormai siamo abituati, va avanti da due settimane” sospira un vigile. Alle 11 si sentono le urla, in pochi minuti un’onda di ragazzini in fuga da Piazza Navona invade le bancarelle di Campo de’ Fiori. Sono piccoli, quattordici anni al massimo, spaventati, paonazzi.
Davanti al Senato è partita la prima carica degli studenti di destra. Sono arrivati con un camion carico di spranghe e bastoni, misteriosamente ignorato dai cordoni di polizia. Si sono messi alla testa del corteo, menando cinghiate e bastonate intorno. Circondano un ragazzino di tredici o quattordici anni e lo riempiono di mazzate. La polizia, a due passi, non si muove.
La Gelmini spiegata da mia figlia

[questo articolo è stato pubblicato oggi sulle pagine milanesi di Repubblica, in riferimento alla manifestazione contro la legge Gelmini tenuta ieri a Milano.]
di Gianni Biondillo
I figli bisognerebbe ascoltarli. Sempre. La mia più grande ha otto anni e fa la terza elementare. L’altro giorno, guardando il telegiornale, mi ha chiesto cosa fosse maestro prevalente. Gliel’ho spiegato. Lei non ha apprezzato affatto: “ma che brutto! Non mi piace avere una sola maestra, e se poi è una antipatica o non è brava? Sai che noia!” Quando poi mi ha chiesto delle classi differenziate si è persino indignata: “vuoi dire che non potrò stare con i miei compagni che non sono italiani? Ma perché, che male hanno fatto?”
E se facessimo sul serio?
[Raffaele Donnarumma replica alle critiche che Cortellessa esprime sull’inchiesta svolta da «Allegoria». Il testo da cui Cortellessa toglie le citazioni può essere letto qui. DP]
di Raffaele Donnarumma
Su «Specchio+» di novembre, Andrea Cortellessa ricalca, parodizza e cerca di screditare Ritorno alla realtà? Narrativa e cinema alla fine del postmoderno, l’inchiesta condotta su «Allegoria» 57 da Gilda Policastro, Giovanna Taviani e me. Simulando di avere a che fare con individui che riescono a essere al tempo stesso polverosi zdanovisti, fustigatori dell’arte degenerata e complici opportunisti o sprovveduti dell’industria culturale, Cortellessa stravolge il senso del discorso: neppure si accorge del punto interrogativo che accompagna la formula.
Avviso agli studenti / 3
di Raoul Vaneigem
SMILITARIZZARE L’INSEGNAMENTO
Lo spirito da caserma ha regnato sovrano nelle scuole. Vi si marciava la passo, ubbidendo agli ordini dei sorveglianti ai quali non mancavano che l’uniforme e i galloni. La configurazione dell’edificio obbediva alla legge dell’angolo retto e della struttura rettilinea. Così l’architettura si impegnava a sorvegliare le trasgressioni con la rettitudine di un’austerità spartana.
Fin negli anni sessanta, l’istituzione educativa rimase impastata delle virtù guerriere che prescrivevano di andare a morire alle frontiere piuttosto che dedicarsi ai piaceri dell’amore e della felicità.
Face Bunker
di
Davide Vargas
Questa sera sto bene.
Larissa ha appena pulito la casa. E’ un armadio la vecchia Larissa con i suoi occhi del colore dell’acqua, appena mette piede fuori di qui accende una sigaretta che divora come fosse un gelato. Poi sale in bicicletta e spinge sui pedali forsennata. Viene da una terra fredda ed è sempre sbracciata. I muri sono bianchissimi rinfrescati dai pittori padre e figlio che in una settimana hanno spostato mobili srotolato teli trasparenti grattato le pareti tinteggiato e rimesso a posto. Piccoli e magri come folletti, il figlio orecchini e tatuaggi, diffidenti verso le linee moderne della scala neanche un ferro battuto un giglio dicono, hanno forza e tecnica. E un altro lavoro. Ho riattaccato l’ultimo quadro, l’oscillazione di un pendolo che lascia tracce come i filamenti luminosi di Turrell, e mi sembra tutto nuovo. Il pavimento di graniglia giallo si distende come un tappeto.
La scatola di cartone è uscita da un armadio dimenticata. Sono solo, è un buon momento per rivedere le diapositive conservate e già sistemate nei carrelli. Si tratta di spolverare prima, montare il proiettore sul cavalletto, proiettare. Si può fare. Con un bicchiere di birra.
Eccola casa Savoye. Le immagini scorrono impastate di un alone opaco che trent’anni hanno impresso sulla pellicola.
Non importa. Io ho gli occhi nel tempo.
Avviso agli studenti / 2
di Raoul Vaneigem
FARLA FINITA CON L’EDUCAZIONE CARCERARIA E LA CASTRAZIONE DEL DESIDERIO
Ancora ieri istillato fin dalla più tenera infanzia, il sentimento di colpa erigeva intorno a ciascuno la più sicura delle prigioni, quella in cui sono murati i desideri. Per interi millenni, l’idea di una natura sfruttabile e soggetta a servitù a piacere ha condannato al peccato, al rimorso, alla penitenza, alla rimozione amara e allo sfogo compulsivo la semplice inclinazione a godere di tutti i piaceri della vita
Quale dovrebbe essere la preoccupazione essenziale dell’insegnamento? Aiutare il fanciullo nel suo approccio alla vita per fargli imparare a sapere ciò che vuole e volere ciò che sa; cioè a soddisfare i suoi desideri, non nella soddisfazione animale ma secondo gli affinamenti della coscienza umana.
Si è prodotto l’opposto. L’apprendimento si è fondato sulla repressione dei desideri. Si è rivestito il fanciullo di abiti angelici sotto i quali non ha mai smesso di fare la bestia, una bestia snaturata per di più. Come stupirsi che le scuole imitino così bene, nella loro concezione architettonica e mentale, i penitenziari dove i reprobi sono esiliati dalle gioie ordinarie dell’esistenza?
Urbanità 5
Se chiedessimo a un romano quanti abitanti fa la sua città non avrebbe dubbi a dirci, con orgoglio, che supera i tre milioni e mezzo; anche se poi non è affatto vero. Roma ha poco più di due milioni e mezzo d’abitanti in un’area urbana gigantesca. La densità per metro quadro è molto bassa, nulla a che vedere con altre realtà urbane. Ho sempre trovato ammirevole il gigantismo dei romani, la loro convinzione di vivere in una città fuori dall’ordinario. Ma Roma, con tutti i pregi che ha, non è davvero considerabile una metropoli contemporanea. Sembra più una successione di borghi, spesso indipendenti fra loro. Non è affatto un difetto, ben inteso, ma le vere metropoli italiane sono altre.
Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato 14
di Andrea Inglese
[18 immagini + lettere invernali per l’autunno; 1,2,3,4,5,6,7,8,9,10,11…]
Cara Reinserzione Culturale del Disoccupato
è venuto il momento di partire,
se fossi partito
(non partirò, non stavolta)
se alla fine, avendolo previsto,
o semplicemente così,
perché lo sentivo, fossi
partito, e sarebbe stato
il momento giusto,
Avviso agli studenti / 1
(In occasione della lotta degli studenti contro la riforma Gelmini, pubblico, in quattro puntate, il testo integrale del bellissimo, fondamentale testo di Raoul Vaneigem Avviso agli studenti, nella traduzione di Sergio Ghirardi. Perché questa lotta possa essere solo essere l’inizio di una vera riforma).
di Raoul Vaneigem
L’essere umano deve potere tutto, e non dovere niente.
Non c’erano che poche cose, in effetti, di cui non si credeva capace.
Non contava che tutto quello che faceva gli riuscisse: spesso non gli riusciva.
Ma lo poteva lo stesso.
Georg Groddeck
La scuola è stata, con la famiglia, la fabbrica, la caserma e accessoriamente l’ospedale e la prigione, il passaggio ineluttabile in cui la società mercantile piegava a suo vantaggio il destino degli esseri che si dicono umani.
Il governo che essa esercitava su nature ancora appassionate delle libertà dell’infanzia l’apparentava, infatti, a quei luoghi poco propizi alla realizzazione e alla felicità che furono – e che restano in diversa misura – il recinto familiare, l’officina o l’ufficio, l’istituzione militare, la clinica, le carceri.
Reale, troppo reale
[ Riprendiamo editoriale e apertura del dossier che A. Cortellessa ha curato per lo «Specchio» (novembre 2008). Di G. Pedullà e D. Giglioli gli interventi critici; Antonio Scurati, Laura Pugno, Tommaso Ottonieri, Andrea Bajani gli scrittori invitati a esprimersi sul campo di forze del Reale e sulla possibilità di una sua rappresentazione. È possibile leggere tutto l’inserto qui DP]
di Andrea Cortellessa
«Il genere umano non può sopportare troppa realtà». Non lo ha detto qualche oscuro sofista della derealizzazione postmoderna. Lo ha detto, e più d’una volta, un grande della modernità più «eroica», quella più esposta al vento della storia, Thomas Eliot (si veda Burnt Norton, primo dei Quattro quartetti). Ciò malgrado – e anzi proprio per questo, data la coazione al citazionismo di noi postmoderni – sembrano queste le parole perfette per dar corpo all’evasività superstiziosa, all’esorcismo terrorizzato che ci ha iscritto d’ufficio, come scrive Antonio Scurati, a un apprendistato all’irrealtà. L’oroscopo funesto di quel suo libro intelligente, La letteratura dell’inesperienza, non era troppo diverso da quello formulato da Walter Benjamin nel celebre saggio sul Narratore di Angelus Novus. Se il racconto per antonomasia, in tutta la storia umana, era quello del guerriero che una volta tornato cantava le gesta e le ambagi, il peregrinare e la nostalgia di casa, si accorgeva Benjamin che ora «la gente tornava dal fronte ammutolita, non più ricca, ma più povera di esperienza comunicabile».
Le conseguenze della cura
di Marco Rovelli
Tre racconti, tre piccole ma intensissime geometrie del desiderio. In La memoria dei vivi Rossella Milone disegna con una traccia di scrittura nitida e lieve i movimenti di attrazione e repulsione tra corpi. Movimenti sempre triangolari. E di genere. C’è sempre una donna che si confronta con l’alterità maschile – e c’è sempre un mediatore del desiderio, un’altra donna, che la fa deragliare dalle sue cecità.
In due racconti l’alterità maschile è il padre: morto ne Le gioie dei morti e vivo ne Il centro di niente, ma in ambedue i casi di una presenza eccedente. In particolare Le gioie dei morti (che racconta dell’incontro di due sorelle da tempo prive di rapporti, un incontro appunto “nel nome del padre”, che non farà che riannodare silenziosamente antichi odi e lontananze) è un racconto tragico – e non tanto per il riferimento esplicito all’Edipo. E’ tragico perché ogni personaggio è come necessitato a fare quello che fa – non c’è scampo né salvezza, ma solo le conseguenze della colpa. E allora è proprio il gatto Giocasta a far balenare l’impossibile salvezza: perché “Giocasta non è umana, e nel suo inconsapevole agire risiede il perdono che si dà ai bambini e ai pazzi e ai vecchi”.
Grandi laici italiani: Piero Calamandrei

A Gaetano Salvemini che proposi qualche settimana fa segue oggi Piero Calamandrei. f. b.
Discorso pronunciato da Piero Calamandrei al III° Congresso in difesa della Scuola nazionale a Roma l’11 febbraio 1950
Facciamo l’ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l’aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito?
Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali.
C’è una certa resistenza; in quelle scuole c’è sempre, perfino sotto il fascismo c’è stata. Allora, il partito dominante segue un’altra strada (è tutta un’ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A “quelle” scuole private.
LORENZO RUSTIGHI is wondering why facebook wants to know what he’s doing.

di Mariasole Ariot
Facebook parla in terza persona, un walzer a tre tempi. Nel primo si accetta, nel secondo si chiede accoglienza, nel terzo ci si guarda bene dal non farsi rifiutare. Da nessuno.
Perchè mai voler conoscere il giorno dei miei amici, il loro sguardo, il loro tempo perso o ritrovato che sia,la grana della pelle, la faccia che si perde, la propria sottrazione domenicale? Perchè se prima la rete aveva il nome del nascondiglio senza volto ora è proprio il volto, la faccia, a diventare protagonista? Dire tutto nell’anonimato o non dire niente ma con i documenti in regola.
Facebook in effetti, non dice niente.
Più che buco della serratura da cui spiare l’altro, un dito nel buco del mondo che del mondo vuole vedere solo il culo.
Siamo tutti Saviano?

di Helena Janeczek
Dopo le ultime notizie su un possibile attentato a Roberto Saviano in stile “Strage di Capaci”- far saltare con l’esplosivo le macchine blindate sull’autostrada Napoli –Roma – e dopo l’intervista di “Repubblica” in cui dice di voler lasciare per un po’ l’Italia per riprendersi la sua vita, si è scatenata una gara di solidarietà di dimensioni impressionanti. Iniziative sui social network, letture collettive in piazza di Gomorra a Roma e Milano, cittadinanze onorarie, striscioni degli ultrà esposti allo stadio, un appello firmato da sei Premi Nobel che nella prima giornata raccoglie le adesioni di centomila persone. E molto altro, molto di più.
E’ qualcosa di imprevisto e di straordinario soprattutto laddove è divampato dal basso, dalle persone che hanno letto il libro o l’hanno comprato o che hanno soltanto visto Saviano in tv e ne hanno fatto quel che è ora: un simbolo di lotta alla mafia, un simbolo di coraggio. E probabilmente di qualcos’altro, perché i simboli veri non sono come i cartelli stradali che stanno per una cosa sola, ma si caricano e irradiano significato. Ed è fin troppo facile obiettare che per aderire a un appello via rete o anche trovarsi in una piazza lontana dalla provincia di Caserta non ci vuole molto coraggio, né si mette in moto un cambiamento, né si fa qualcosa di concreto per togliere una persona dal pericolo in cui si trova. Sono soltanto gesti simbolici che rispondono proprio su quel piano a chi, appunto, è diventato un simbolo.
Lampedusa, Europa. La fabbrica della clandestinità

“per istituire il proprio sé, cioè il «noi» che si autogoverna, l’unione europea istituisce frontiere e politiche dell’immigrazione. senza dubbio, una delle offerte dell’unione europea ai paesi membri è: «unisciti a noi e ti aiuteremo a vigilare sulle tue frontiere contro i lavoratori indesiderati. ci assicureremo anche che tu possa avere quei lavoratori a basso costo e che loro entrino con uno status meno che legale. e non preoccuparti: la tua popolazione non si altererà in modo permanente». o ancora: «potremmo produrre una classe lavoratrice permanente per te»…”
[judith butler, “who sings the nation-state?”]
Martedì 28 Ottobre ore 21, al circolo arci Metissage Lorenzo Bernini e Giovanni Hänninen raccontano il centro di accoglienza (ex cpt) di Lampedusa visitato questo settembre. Saranno proiettate le fotografie di Giovanni Hänninen.
CIRCOLO ARCI METISSAGE
Via Borsieri 2 – entrata da Via De Castilla
Quartiere Isola – Milano
ingresso con tessera Arci
fotografia (c) Giovanni Hänninen 2008
Aggiornamento del giorno dopo: qui le fotografie di Giovanni proiettate durante la serata



