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Incontro con Mariano Bàino a Milano

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Casa della Poesia, largo Marinai d’Italia, Milano
21 ottobre 2008, ore 21

Altri romanzi:
Riflessioni sul romanzo contemporaneo a partire da
L’uomo avanzato di Mariano Bàino

Incontro a cura di Andrea Inglese con Mariano Bàino, Biagio Cepollaro, Milli Graffi, Paolo Giovannetti e Giorgio Mascitelli

Esiste ancora nell’epoca del romanzo a produzione industriale la possibilità d’interrogarsi criticamente sulla forma romanzo? L’uomo avanzato di Mariano Bàino, pur ricollegandosi ad una tematica ricorrente del romanzo moderno – la figura del naufrago e del sopravvissuto – la elabora secondo modalità inedite e attuali, riconsiderando non solo i criteri del genere ma anche l’antropologia che ne sta alla base. Cos’è l’individuo nel suo isolamento, e come dare voce a questo isolato? A partire da queste domande sollevate dal romanzo di Bàino, i poeti Cepollaro, Graffi e Inglese, il critico Giovannetti e il romanziere Mascitelli s’interrogano sul destino del romanzo contemporaneo e sulla sua capacità di innovare l’esplorazione narrativa dell’esistenza umana.

Corpo @ Corpo – incazzarsi on line

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dedicato all’animoso Franz


Galleria dell’Ira. Léon Benouville [La colère d’Achille]

A Galassia Gutenberg, qualche tempo fa, ho incrociato una vecchia conoscenza che da uno stand poco distante dal mio, a voce sufficientemente alta, mi ha detto: “ma perché mi odi?”. Non gli ho risposto allora. Ora so che il mio silenzio era dettato dalla non verità della sua affermazione. In realtà la vecchia conoscenza mi stava solo sul cazzo, per meglio dire, antipatico.

Tre personaggi in cerca d’amore

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di Sergio Garufi

Nicole vive col marito Martino e la figlia Arianna in un piccolo appartamento di una casa di ringhiera. Hanno appena finito di cenare. Lui è andato nello studiolo a stampare alcuni preventivi che gli serviranno l’indomani e Arianna si è chiusa in camera sua, ha mandato un sms a un’amica di scuola e si è messa a ballare con la musica di Viva la vida dei Coldplay. Arianna ha 16 anni ed è innamorata di Francesco, uno studente dell’istituto alberghiero di un anno più grande di lei. Lui ha la passione della cucina, da grande vuole fare il cuoco; lei dipinge quadri astratti, legge tanto come la madre e gioca a pallavolo.

fabbrica in disarmo con mannequin

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di Massimo Bonifazio

sono i tetti di lamiera, i loro bordi: le colombe primo novecento,
le manfrine e le ringhiere screpolate, polverosi ghirigori tinta legno;
sulle rampe di cemento incastrate alla sezione dello stabile, in direzione est:
e i vetri spaccati dalla grandine, il piombo che sfila le finestre
minaccia lo spazio di apertura, il vento dolciastro verso l’alto, ora scomparso.
così alta la falda, rispecchiata nel torcersi dell’acqua, allora:
che nutriva il pozzo di ogni casa, poco oltre, poco sotto,
e ogni salto di rana, ogni squama luccicante di carpa o di avannotto.
cioè quel che rimane, delle porte di metallo, dei tetti di coppi e di lamiera:
muri bianchi e ocra, deviatori che l’ultimo gesto ha congelato:
in posizione zero, proiettati sulle piante che frantumano l’intonaco:
l’edera, il glicine, la mora: che nessuna luce spengono. perché compare qui
l’ultima sirena, cosa cerca l’uomo che cammina in queste stanze,
su questa graniglia macchiata di escrementi. sulle scale, e fra le dita:
seduta, e fra le dita; gli occhi chiusi, telefono, accendino, sigarette.

Quella volta che la miccia si spense

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di Alessandra Galetta

Enzo Nobile era nervoso.
Nervosissimo.
Si aggiustava e riaggiustava la lunga ciocca che copriva il diradamento sulla cima della testa.
Sua figlia era scoppiata a piangere appena era comparso all’asilo.
Con papà: no! Con papà: no! Strillava, fastidiosa come un trapano in un pomeriggio d’estate.
La maestra – una con il corpo a pera e lui aveva il disgusto per le pere, figuriamoci per una donna con quella forma – stava per telefonare a Silvana, la sua ex moglie. Proprio a quella che nel primo anno di separazione lo ricattava con il ritornello: Ti faccio vedere  mia figlia solo se mi paghi una bolletta o mi regali questo.

Per Milan Kundera

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di Fernando Arrabal

Quanto a lungo la calunnia si ergerà, incancellabile?

Quanto a lungo le carogne infangheranno delle loro ignominie i solitari?

Quanto a lungo la frontiera tra vita privata e pubblica sarà napalmizzata?

Quanto a lungo i violentatori dell’ indispensabile segreto delle nostre vite si sfameranno nelle latrine della storia?

Quanto a lungo gli sterminatori della sfumatura tra l’ opera e il suo autore continueranno a imperversare?

Quanto a lungo la vittima sarà ricoperta di sputi e inchiodata al palo della gogna?

(traduzione di Francesco Forlani)

Comunicato dal sito di RADIO PRAGA del 15 ottobre 2008:
«Zdenek Pesat, notissimo storico ceco della letteratura, afferma che non è stato Milan Kundera a denunciare Miroslav Dvoracek. Secondo lui è stato un certo Miroslav Dlask, all’epoca studente alla Facoltà di Lettere di Praga, a denunciare il suo compatriota alla polizia comunista. Zdenek Pesat risponde così alle informazioni rese note dall’Istituto per gli studi dei regimi totalitari, e pubblicate qualche giorno fa dal settimanale ceco «Respetkt», secondo le quali sarebbe stato MIlan Kundera a compiere quell’atto. Atto di denuncia che lo stesso Milan Kundera ha fin da subito categoricamente smentito».

Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato 12

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[18 immagini + lettere invernali per l’autunno; 1, 2,
3,4,5,6,7,8,9, 10…]

di Andrea Inglese

Cara Reinserzione Culturale del Disoccupato,

a volte mi basta passeggiare, o trovarmi seduto da qualche parte,
con la sensazione che sto tirando le fila, anche se,
dentro di me ho l’aria distratta, e fuori sembro uno
che fissa un angolo di porta, con un quadro in mente, la mente spenta,

non è vero niente, c’è una lieve, ma precisa continuazione,
un fluire di particelle, forse sono gli atomi della fisica,
qualcosa di rado e sottile, ma che cola in continuazione,

“Caro vecchio neon”

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Una tre giorni di reading, incontri, live-set e arte
dedicata a David Foster Wallace (1962-2008)

Firenze – 28/29/30 Ottobre 2008

Libreria La Cité Via Borgo San Frediano, 20r
28 ottobre ore 21
Melbookstore Via de’ Cerretani, 16r
29 ottobre ore 18
Libreria Feltrinelli Via de’ Cerretani, 30/32r
30 ottobre ore 21
Tan-Gram Via dei Serragli, 3r
28/29/30 ottobre dalle 22.30 circa + mostra “Funhouse”,
dedicata a D. F. Wallace dal 28 ottobre al 9 novembre.
Nova Radio-Città Futura fm 101.5 –
28/29/30 ottobre appuntamenti giornalieri, interventi audio, tracklist
Deaphoto Associazione Culturale
28/29/30 ottobre live-set fotografici nei diversi spazi.

curatori e ideatori
Francesca Matteoni, Gabriele Merlini,
Alessandro Raveggi, Vanni Santoni

collaboratori
Valeria Farill e Lorenzo Orlandini

“Caro Vecchio Neon” é un’iniziativa all’interno di Ottobre Piovono Libri. I luoghi della lettura 2008.

Fuori luogo (la parola, il pharmakon)

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di Giuseppe D’Avanzo

“Andrò via dall’Italia, almeno per un periodo e poi si vedrà…”, dice Roberto Saviano. “Penso di aver diritto a una pausa. Ho pensato, in questo tempo, che cedere alla tentazione di indietreggiare non fosse una gran buona idea, non fosse soprattutto intelligente. Ho creduto che fosse assai stupido – oltre che indecente – rinunciare a se stessi, lasciarsi piegare da uomini di niente, gente che disprezzi per quel che pensa, per come agisce, per come vive, per quel che è nella più intima delle fibre ma, in questo momento, non vedo alcuna ragione per ostinarmi a vivere in questo modo, come prigioniero di me stesso, del mio libro, del mio successo. ‘Fanculo il successo. Voglio una vita, ecco. Voglio una casa. Voglio innamorarmi, bere una birra in pubblico, andare in libreria e scegliermi un libro leggendo la quarta di copertina. Voglio passeggiare, prendere il sole, camminare sotto la pioggia, incontrare senza paura e senza spaventarla mia madre. Voglio avere intorno i miei amici e poter ridere e non dover parlare di me, sempre di me come se fossi un malato terminale e loro fossero alle prese con una visita noiosa eppure inevitabile. Cazzo, ho soltanto ventotto anni! E voglio ancora scrivere, scrivere, scrivere perché è quella la mia passione e la mia resistenza e io, per scrivere, ho bisogno di affondare le mani nella realtà, strofinarmela addosso, sentirne l’odore e il sudore e non vivere, come sterilizzato in una camera iperbarica, dentro una caserma dei carabinieri – oggi qui, domani lontano duecento chilometri – spostato come un pacco senza sapere che cosa è successo o può succedere. In uno stato di smarrimento e precarietà perenni che mi impedisce di pensare, di riflettere, di concentrarmi, quale che sia la cosa da fare. A volte mi sorprendo a pensare queste parole: rivoglio indietro la mia vita. Me le ripeto una a una, silenziosamente, tra me”.

Piccola cucina cannibale

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di Lello Voce

Piccola cucina cannibale

a J.

ho bisogno di una scorciatoia lenta e di una vita che mi menta
dove si senta il suono spento d´ogni sentimento io ho bisogno
di un sogno lasciato indietro di trovare un metro alla menzogna
di sfuggire alla gogna bisogno di silenzio di assenzio e mugugno
ho bisogno di tatto d´olfatto di dare di matto sfuggire allo scacco
bisogno di occhi e polpastrelli di lingua di narici di mitragliatrici
di un gorgo sordo che inghiotta il futuro di una vena delle tue radici

Urbanità 4

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di Gianni Biondillo

Al professor Dal Co non è piaciuto il mio urlo di dolore che apre Metropoli per principianti, dove dico, provocatoriamente: “non fate studiare architettura ai vostri figli”. Intervistato da Stefano Bucci ha detto, un po’ piccato, che gli pare “una boutade. Sarebbe come dire: ‘non iscrivete i vostri figli a medicina, perché faranno solo i medici di base’.”

NO VAT NO CATT

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Intere categorie di persone – donne, ricercatori scientifici, omosessuali – sono costantemente offesi dalle gerarchie vaticane, che poi – sfrontatamente – continuano ad annoverarli tra i propri “iscritti” per via del pedobattesimo. Questo post è un invito a reagire al sopruso.
Giornata dello Sbattezzo, in programma il 25 ottobre 2008 (se possiedi un sito o uno spazio Web, qui è disponibile un banner per pubblicizzarvi l’evento).

“Colui che non aveva mai visto il mare” da “Mondo et autres histoires” di J. M. GUSTAVE LE CLÉZIO

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[ traduzione di  Orsola Puecher ]

testo in lingua originale

[ da Zéro de conduite: Jeunes diables au collège (1933) di Jean Vigo ]

 

__Si chiamava Daniel, ma gli sarebbe molto piaciuto chiamarsi Sindbad, perché aveva letto le sue avventure in un grosso libro rilegato in rosso che portava sempre con se, in classe e nel dormitorio. Di fatto credo che non avesse mai letto altro che quel libro là. Non ne parlava mai, salvo qualche volta quando glielo si chiedeva. Allora i suoi occhi neri brillavano di più, e il suo viso a lama di coltello sembrava animarsi di colpo. Ma era un ragazzo che non parlava molto. Non si mescolava alle conversazioni degli altri, salvo quando era questione di mare, o di viaggi. La maggior parte degli uomini sono dei terrestri, è proprio così. Sono nati sulla terra, ed è la terra e le cose della terra che li interessano. I marinai stessi sono spesso gente di terra; amano le case e le donne, parlano di politica e di automobili. Ma lui, Daniel, era come se fosse di un’altra razza. Le cose della terra lo annoiavano, i negozi, le automobili, la musica, i film e naturalmente le lezioni del Liceo. Non diceva nulla, non sbadigliava neppure per mostrare la noia. Ma restava al suo posto, seduto su un banco, o anche sui gradini della scala, davanti al cortile, a fissare il vuoto. Era un allievo mediocre, che racimolava a malapena ogni trimestre il minimo di punti che gli servivano per sopravvivere. Quando un professore pronunciava il suo nome, si alzava e recitava la lezione, poi si risedeva ed era finita lì. Era come se dormisse con gli occhi aperti.

Sul ponte sventola bandiera bianca [scuola /3]

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di Chiara Valerio

Comunque sia, adesso il pianeta è saturo. Ciò significa, fra l’altro, che i processi tipicamente moderni, come la costruzione di ordine e il progresso economico, si svolgono ovunque: quindi i “rifiuti umani” sono prodotti e sfornati ovunque in quantità sempre maggiori, ma stavolta in assenza di discariche “naturali” idonee al loro magazzinaggio e al loro potenziale riciclaggio.
Z. BAUMAN, Vite di scarto

Marginalizzazione dalla attività lavorativa?
In effetti sì.

Svuotamento delle mansioni?
Abbastanza, ma nemmeno rosso di sera… come si dice?

Mancata assegnazione dei compiti lavorativi con inattività forzata?
Sì, si può dire così…

Mancata assegnazione degli strumenti di lavoro?
Eh! Mica da oggi! Perdoni l’euforia…

Ripetuti trasferimenti ingiustificati?
Beh… ingiustificati… comunque sì, sì…

Prolungata attribuzione di compiti dequalificanti rispetto al profilo professionale posseduto?
Mi fa ridere sa dottore? Mi perdoni, Mi fa ridere e mi perdoni… ha mai compilato una domanda di immissione in una graduatoria per le supplenze scolastiche?

Impedimento sistematico e strutturale all’accesso a notizie?
Mi sta chiedendo se mi fido del sindacato?

Esclusione reiterata del lavoratore rispetto a iniziative formative, di riqualificazione e aggiornamento professionale?
Su questo in particolare avrei qualche parolina…

Dottoressa, mi dispiace, lei ha il mobbing…
È molto grave?

Omicidi bianchi

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di Marco Rovelli

Anzitutto, riformare il linguaggio. Non parlare più, a proposito delle morti sul lavoro, di morti bianche – espressione che designava le morti in culla: morti senza colpa, dunque, tragiche fatalità – ma di omicidi bianchi. Ché le responsabilità ci sono sempre, e individuabili. Così come individuabili sono i “motivi” che rendono possibili quelle morti. Una sinistra che davvero fosse tale porrebbe in essere una serie di dispositivi che andassero alla radice di quei motivi, e chiamassero davvero in causa i soggetti responsabili.

Le morti sul lavoro sono sempre “sovradeterminate” da cause interne al modello di sviluppo del nostro paese: la frammentazione del processo produttivo e dell’organizzazione del lavoro, la catena infinita di appalti e subappalti, la condizione precaria dei lavoratori e la loro conseguente ricattabilità, l’abbassamento del costo del lavoro, la preminenza abnorme della cosiddetta “microimpresa” nel tessuto produttivo italiano.
Ma allora come contrastare questa piaga, se non è un fatto contingente ma una piaga implicata dalla struttura stessa dell’economia?

Perturbante

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di
Giuseppe Schillaci

Blob. Bombe e veline appagano a sufficienza le mie voglie catodiche. In basso scorrono già i titoli. Ho fatto tardi anche stavolta.
La tv s’oscura appena, poi sullo schermo compaiono loghi istituzionali vagamente familiari. Una musica soave, il volto rassicurante di Gianni Minoli, il proiettore che si aziona.
Il cielo è viola di tramonto, vecchie barche davanti a un porticciolo. Sulle barche intere famiglie indicano una casa in lontananza. Il cono di luce investe un muro di calce e l’immagine prende vita, dominando un meraviglioso drive-in marittimo, nuovo cinema paradiso. Chiudo gli occhi e mi bagno nei ricordi, nelle sere oziose della scorsa estate in Sicilia.

Il solito caldo d’inizio agosto. Vampe sulle colline, gommoni al largo di Malta.

Le voci la città

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LA SCRITTURA PER RIPENSARE SPAZI E ACCESSI

2° meeting delle scritture e dei giovani scrittori
laboratori di scrittura – poetry slam + short story slam – ottava rima
(iscrizioni gratuite aperte fino al 15 ottobre)

Fiesole (FI)
Basilica di Sant’Alessandro\ Casa Marchini Carrozza
16-18 ottobre 2008

El boligrafo boliviano 19

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di Silvio Mignano

29 maggio 2008

Oltre la terrazza c’è solo l’Illimani, che ti sembra di poterlo toccare, e invece sotto, invisibile finché non ti avvicini al bordo, c’è lo sprofondo della città, le vie non asfaltate, laccate di polvere, la bottega senza vetrine con davanti i sacchi panciuti di cereali, spessi riccioli bianchi, rigatoni di grana giallastra, la rotonda con al centro un giardinetto di erba secca e le ringhiere arrugginite e sventrate, un tronco senza rami, senza foglie e privo di gemme, nessuna macchina che giri attorno all’aiola, adesso sì, solo un camioncino alla rovescia, sottosopra per noi che lo osserviamo da quassù, con le ruote in alto come le zampette di Gregorio Samsa, il goffo arrancare dell’autista abbarbicato al volante che non si capisce se spinga o trascini.

Corpo @ corpo

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immagine: lutte fractale

di
Dario Arena

Penso spesso di collocarmi fisicamente nel giusto equilibrio spazio-tempo. Mi capita invece, altrettanto spesso, di vagare mentalmente fuori dall’’ordine prestabilito del momento-tempo, vorrei stare da altre parti con qualcun altro mentre mi parla colui/colei che ho di fronte.
Il blog è il jack di quadri che riaggancia il distacco: sto da una parte, scrivo in un non-luogo su una non-carta e qualche sconosciuto da un’’altra parte sconosciuta, certamente dotato di cervello funzionante, mi legge e talora mi risponde. Magari invitando al dibattito.
Ecco la differenza. Nel mondo reale, pochi possono vantare di garantirsi la conoscenza di un cervello funzionante fra tutti coloro con i quali ci si incontra. Il virtuale che stiamo usando ora offre tali criteri valutativi, li espone. Noi siamo in grado di capire presto se esiste scelta; è evidente la differenziazione di livello qualitativo tra un sito ed un altro; si può stare sprofondati sul divano e scrivere che si sta in ufficio, come stare realmente incasinati ai massimi livelli mentre si cazzeggia on-line; ci si può finalmente liberare dal peso della parola parlata e convogliarlo sulla nuda parola scritta.
Il diagramma mostra un trend neurolettico in fase frizzante.
E’ la fase di passaggio.

cronache da Pechino #4

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di Gabriella Stanchina

Ho approfittato del bel tempo per visitare gli hutong. Nella foresta di vetrocemento dei grattacieli di nuovissima costruzione, gli hutong sono il sottobosco, umile e proliferante tappeto di muschio e pianticelle. Gli hutong sono i quartieri della vecchia Pechino, costituiti da case a un piano (per evitare che qualcuno potesse guardare l’Imperatore in visita dall’alto in basso) raccolte intorno a cortili quadrangolari. La casa a nord, privilegiata secondo il feng shui era di proprietà dei genitori anziani, le altre erano ereditate dai figli maschi e dalle loro famiglie. Di fatto gli hutong sono cresciuti in tutte le forme. Apprendo da un libro che le figure create dagli hutong non sono ancora state tutte classificate. Ogni vicolo si piega e si ripiega in modo tortuoso rivelando il retro di una scena immaginaria, per poi interrompersi o sbucare in un punto diverso da quello in cui si è entrati. Smarrirsi tra le case è facilissimo, i tetti a pagoda salgono e scendono con un’ondulazione ininterrotta, simile al fluttuare delle ali di una falena. Il colore predominante è il grigio polvere, anche se talora, dietro a una porta scrostata verniciata di rosso si intravede il verde di un’edera, di una sofora, o di un vaso di bambù germoglianti.

Il cane più famoso della storia

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di Francesca Matteoni

“Il semplice fatto che il mio cane mi ami più di quanto io ami lui è una realtà innegabile, che mi colma sempre di una certa vergogna. Il cane è sempre disposto a dare la sua vita per me. Se fossi stato minacciato da un leone o da una tigre, Ali, Bully, Tito, Stasi e tutti gli altri, avrebbero affrontato senza un attimo di esitazione l’impari lotta per proteggere, anche solo per pochi istanti, la mia vita. E io?”
KONRAD LORENZ

Ai bambini dovrebbe sempre essere permesso di crescere a contatto con gli animali. Sperimentare un rapporto fraterno, imparando a convivere con un compagno che non giudicherà mai, che resterà comunque una continua sorpresa, indecifrabile, nonostante la reciproca conoscenza. “E’ solo un cane”, “è solo un gatto randagio”, potranno dire al bambino gli adulti o gli altri ragazzi con aria sprezzante, come se questo li rendesse in qualche modo superiori, inattaccabili dalla paura dell’uguaglianza. Il bambino resterà muto, molto spesso, invischiato e senza pelle nella materia dell’infanzia dove tutto è presente, premuto troppo forte sul torace come sullo sterno di un volatile non ancora identificato. Imparerà poi ad essere fatto di linguaggio, a ferire, a distaccarsi dall’altro. “E tu sei solo un uomo”, saprà rispondere allora.