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Lili

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Una piccola pensione in Provenza. Charlotte, la madre di Lili, le impedisce di sposare l’uomo che ama, la costringe a divorziare con l’uomo che lei sceglie per ripiego, la costringe a lasciare il pastore con il quale cerca di consolarsi. La vuole per sé: “Come stiamo bene insieme, vero Lili?”. Lili piange e insieme a lei è la frase del racconto che si spezza nei singhiozzi. Un romanzo totale, duro, poetico, terribile, dolcissimo, raro, insolito, forte, che svela la verità e l’abisso di un amore che diventa odio e crudeltà tra una madre e una figlia. “Lili” è il primo romanzo scritto da Hélène Bessette, apparso in Francia nel 1953 e mai pubblicato in Italia.

«La letteratura oggi, per me, è Hélène Bessette, nessun altro in Francia» (Marguerite Duras)

«Ecco una autentica scrittrice maledetta, una delle autrici più originali dei nostri tempi. Finalmente qualcosa di nuovo»
(Raymond Queneau)

Hélène Bessette (1918-2000) è una delle voci più potenti e meno conosciute della letteratura francese del Novecento. Autrice di tredici romanzi comparsi fra il 1953 e il 1973, ammirata da Raymond Queneau, Marguerite Duras e Simone de Beauvoir, sposa un pastore e lo segue in Nuova Caledonia, dove insegna francese e dove fonda una rivista letteraria. Divorziata, torna in Francia nel 1949 e vive in povertà insieme ai due figli, cambiando continuamente casa alla maniera degli scrittori maledetti. Vive in Svizzera, in Belgio e in Inghilterra, poi nel 1976, aiutata dall’amico Jean Dubuffet, si trasferisce a Le Mans, dove muore dimenticata da tutti. Dopo un lungo silenzio l’editoria francese la sta oggi riscoprendo e rilanciando come una delle autrici più importanti di quella letteratura.

Amore

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di Marco Rovelli

Ho letto, uno dopo l’altro, due libri di Clarice Lispector, senza saperne niente. Trovati in libreria, sfogliando. Uno è “Legami familiari“, una raccolta di racconti. L’altro è “Vicino al cuore selvaggio“, che la Lispector scrisse a 19 anni – e mentre lo leggi ogni tanto ti meravigli di come qualcuno possa scrivere così a 19 anni. Ho scoperto, poi, che è considerata la più grande scrittrice brasiliana del dopoguerra – e anche se le mie parole non aggiungeranno nulla, e forse non coglieranno neppure il punto dell’autrice, data l’esiguità del materiale che ho letto – non posso fare a meno di scriverle.

Anzitutto, a rapirti è la scrittura esplosa, materica, che segue piste misteriose guidandoti con gli odori come un animale. Un delirio trasparente come un guanto rovesciato: la scrittura si fa direttamente sulla pelle interiore dell’autrice.

La funzione Fortini nei poeti contemporanei (un questionario)

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Di recente la redazione de L’ospite ingrato, nella sua versione on-line, ha diffuso tra i poeti un questionario riguardante la “funzione Fortini” nella poesia contemporanea. Nella homepage del sito si legge: “Il progetto della rivista on-line nasce dalla volontà di creare uno spazio che, partendo dall’esperienza dell’«Ospite ingrato», proponga discussioni ed interventi su temi fortiniani”. Ma quali sono questi temi “fortiniani”? Sono fondamentalmente temi d’intreccio, che richiedono di pensare nello stesso spazio questioni che ovunque altrove vengono immediatamente separate: le forme del lavoro, dei conflitti che esse creano, le forme del pensare e dello scrivere, le forme del sapere istituzionale. Pubblico qui, precedute dalle domande, le mie risposte al questionario.

di Andrea Inglese

1. Nell’ultimo trentennio si sono verificati mutamenti economici, politici e sociali di grossa rilevanza. Quali sono secondo te le trasformazioni decisive nella realtà contemporanea? Che effetto hanno sul tuo lavoro?

La trasformazione che, in quanto scrittore, mi riguarda di più, è quella che ha subordinato in modo prepotente ogni forma di attività culturale alla logica economica del profitto. La cultura ha perso sempre di più quella relativa autonomia, che manteneva nei confronti delle pure logiche di mercato. La mercificazione della cultura non è certo un fatto degli ultimi trent’anni, ma zone dell’attività intellettuale e artistica avevano in precedenza mantenuto un’attitudine autocritica, denunciando in vario modo questa tendenza generale e mostrando i limiti della pretesa autonomia del campo culturale nei confronti di quello economico.

Su “Era mio padre”

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di Francesco Marotta

Un libro splendido. E una mano sapiente a reggere e a guidare gli occhi del lettore in tragitti ora piani, ora vorticosi, in bilico tra la calma sofferta e ordinata dei mosaici finemente cesellati e il caos umbratile dei labirinti che disegna ad ogni pagina, offrendo gli uni e gli altri a una condivisione piena, mai statica, a un movimento che azzera immediatamente ogni schermo e ogni distanza. Una mano capace di destrutturare, e di riutilizzare, nello stesso tratto e con la medesima intenzione conoscitiva, quasi in un gioco di specchi rovesciati, le regole, i codici e i generi che attraversa e ingloba, e di restituirli, infine, nell’architettura complessiva di un testo unitario assolutamente refrattario a ognuno di essi, imponendo, quasi, di riguardare l’opera alla luce della specificità affatto nuova in cui ci appare e con la quale si offre al nostro ascolto.

Aiuto!

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di Mariella Bettarini

I

 

occhi che chiedono

 

come dare – come chiedere aiuto nel rumore

del mondo (nel silenzio del mondo)?

come aiutare chi non possiamo aiutare

(adiuvànti) perché inconsolabili

Brevi…

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…per una convalescenza del dubbio
(immagini e parole)
di
Paola Lovisolo

[…]

a me

se la via porta al mare

sii buona con la morte –

i bambini sanno

esserlo coi cani

Lo stato delle cose in Occidente

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di Massimo Rizzante

Amo le stazioni termali. Immergermi nelle loro acque calde e rigeneratrici. Nuotare lentamente in una grande piscina blu.
Al mattino, soprattutto. Prima delle nove, quando l’allegro «Avanti, muovetevi!», lanciato da un robusto insegnante in costume da bagno, dà inizio alla lezione di water-gym programmata per una clientela alla ricerca dei suoi glutei perduti. I glutei, tuttavia, non sono vecchi e cadenti ! E neppure solo femminili! Sono glutei giovani e nonostante ciò alla ricerca di se stessi.
Come spiegare il mistero dei giovani glutei perduti?
Nuotando in solitudine, la risposta mi pare semplice: il tempio della salute (salus per aquam, dicevano gli antichi Romani), che fino a dieci anni fa era frequentato da un pubblico di moribondi o da persone mature e annoiate, è diventata la cattedrale del wellness, la casa della bellezza fisica, The Beauty Farm.
In una verde vallata circondata dalle montagne, alla frontiera tra Italia e Austria (non lontano dal castello del grande alpinista Reinhold Messner), dove, secondo la leggenda, Ötzi, l’uomo primitivo, ha trascorso il suo tempo a urlare il proprio nome per notti e notti– ottenendo come unica risposta una triste eco – si trova il Centro di benessere «Paradiso». 

Editoria tedesca: il Deutscher Buchpreis

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[L’immagine è presa dal sito astronomie.nl]

di Christoph Schröder

traduzione di Elisa Perotti

Mercoledì verrà resa nota la longlist del Deutscher Buchpreis – e catturerà l’attenzione del mondo letterario fino alla fiera del libro. Ma perché?

Una volta era tutto molto semplice e alla luce del sole: se sulla lista del “Quartetto letterario” c’era un certo romanzo, le rispettive case editrici potevano iniziare tranquillamente a ristamparlo – che il libro venisse elogiato o stroncato aveva poca importanza: il giorno successivo sarebbe stato comprato. Era una legge a cui ci si doveva attenere. Oggi c’è Elke Heidenreich. Lo smercio si svolge pressoché allo stesso modo, ma è senza dubbio lodevole la sua scelta mirata per le case editrici minori, che concretizza accompagnando le inquadrature dei loro libri con l’esortazione “da leggere!”. E oltre a lei? Chi indirizza gli acquirenti? Chi ancora detiene la supremazia nell’interpretazione ed esercita una qualche influenza? Chi decide quali titoli di narrativa verranno venduti? Una cosa è certa: gli inserti culturali contano ben poco.

narrazione del posto di lavoro

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di Chiara Valerio

La dismissione di Ermanno Rea e Vita precaria e amore eterno di Mario Desiati sono due romanzi assai distanti ma accomunati da una miriade di particolari. Quasi i fili con i quali sono tessuti provengano dalla medesima fabbrica. Fabbrica è un buon termine per cominciare questo discorso. La dismissione e Vita precaria e amore eterno sono romanzi successivi al duemilauno, al crollo di quelle enormi meridiane segnatempo che sono diventate, nel vissuto collettivo, le torri gemelle. Finito l’intervallo delle certezze, del lavoro, delle misure. Se questi romanzi fossero temporalmente distanti, se parlassi di Dickens e Desiati o di Dickens e Rea non mi meraviglierei delle differenze di linguaggio, delle flessioni della grammatica e della lingua attraverso secoli e accadimenti. E invece al centro de La dismissione così come al centro di Vita precaria e amore eterno ci sono un uomo, un lavoro, un rapporto d’amore e un tradimento più pensato che attuato.

In mezzo a tante collimazioni tuttavia, stessi ingredienti, quasi stessi esiti, sta la differente generazione degli autori. Sembra una notazione di colore, quasi fastidiosamente leziosa. Rea è un uomo del millenovecentoventisette, Desiati del millenovecentosettantasette. Cinquant’anni. Questa differenza, ripeto, così poco letteraria rispetto ai temi e alla condivisione di un italiano evocativo (anche se Desiati ha dalla sua un disincanto documentaristico che non appartiene alla penna etica di Rea) fa sì che due romanzi, sulla carta simili, risultino alieni l’uno all’altro, spiega perché tra essi si slarghi un abisso. Non c’è epopea che non reclami un tragico tributo.

HARDBEAT

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di Angelo Del Rosso

[ Santa Cruz di Fatboy Slim]

Aveva una sola ragione per essere inquieto? No. Non era successo niente di strano. Nessuna minaccia incombeva su di lui. Era ridicolo perdere la calma, e lo sapeva. Lo sapeva così bene che anche lì, nel bel mezzo della festa, cercava di reagire. Si era subito lasciato sedurre dall’aspetto esterno del Central, una costruzione gialla, arretrata rispetto alla banchina, a cinquanta metri dalle palme da cocco, e immersa in un intrico di piante dalle forme bizzarre.

Festival AdriaticoMediterraneo (Ancona)

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[Seganalo due piccoli eventi poetici nel gran mare di eventi musicali e artistici di questo festival]

Ancona Lunedi 1 settembre
ore 21.00 – Cortile Mole Vanvitelliana
La rosa
lettura scenica da testi di Franco Scataglini
David Riondino
con Giovanni Seneca (musiche originali – chitarra), Fabrizio Fava (oboe e corno inglese), Marco Ferretti (violoncello)
*
Ancona Giovedi 4 settembre
Ore 21 – Cortile Mole Vanvitelleana
Superfast Poetry – Il Poetry Slam delle due sponde
Elisa Biagini (Italia), Ana Brnardič (Croazia), Arben Dedja (Albania), Nader Ghazvinizadeh (Italia-Iran),Stanka Hrastelj (Slovenia), Andrea Inglese (Italia), Senadin Musabegovič (Bosnia), Luigi Nacci (Italia)
curatore e maestro di cerimonia Luigi Socci
pubblicazione “Le Mappe di Adriatico/Mediterraneo” (ed. Pequod)
*

Un lupo mannaro (personaggio dei Castelli in cerca d’autore)

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di Alessandro De Santis

Tutto il giorno aveva camminato sul ciglio della strada
contava i passi e li classificava
e poi passava agli organi, alle carni
la lingua lastricata e le sue selci
intrise del sudore del non dire.

Due sonetti

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di Marco Palasciano

[Palasciano prosegue, in altre forme, un’invettiva scagliata in coda a uno sberleffo di Gernhardt, offrendo in tal modo una riflessione sulle reincarnazioni moderne del sonetto. DP]

1.

«In principio…» o forse è tutto un nastro
di Möbius, perforato pentagramma
dai cui segni esce luce: ed ecco un astro,
una stella cometa, ogni altra fiamma

o cristallo di neve – onde l’impiastro
di molecole insieme babbo e mamma
d’alghe, e vermi, e del bipede (disastro)
che pensa in lui s’arresti l’anagramma.

Miserere asfalto (afasie dell’attitudine) # 4

4

di Marina Pizzi

246.
in un gioco di penombre la breccia della leccornia (la tavola imbandita) per convincere il sole a farsi dominante così da poter sbattere le coperte in piena pace dal balcone.
247.
le rivalità dell’ombra giochicchiano imbattute
248.
con il limite degli occhi ci guardiamo in cagnesco
249.
con una biglia so giocare come fosse un anfiteatro

El boligrafo boliviano 18

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di Silvio Mignano

20 gennaio e 4 maggio 2008

L’oscurità, di per sé tutt’altro che assoluta, è perforata da tremolanti luci aranciate, che si riflettono sulle pareti sporche come lingue d’acqua in una piscina asciutta. La folla si apre a ventaglio, in mezzo agli stridenti rumori delle seggiole trascinate sul pavimento di linoleum. Il rimbombo di una musica di chiesa, un basso stonato che dovrebbe richiamare Bach o il Requiem di Mozart e fatica invece a elevarsi al di sopra di un confuso agitarsi di crome e biscrome, un involontario rap per voci ed organo.

Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato 5

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[18 immagini + lettere invernali per l’estate; 1, 2,
3,4…]

di Andrea Inglese

Cara Reinserzione Culturale del Disoccupato

mi mancano le risorse

sembra poco un problema non decisivo
quello delle risorse una condizione momentanea
come un calo di energie e temporaneamente
non si riesce ancora a riposare basterebbe
trovare una stanza con un letto o anche
in luogo pubblico una poltrona o una sedia qualunque
abbastanza al riparo un angolo non troppo
frequentato le risorse non dico tante ma sento
che mancano

c’è di peggio c’è gente che sta male
che sta malissimo che brucia – dico – brucia viva
nelle guerre e non ne esce gente nata in guerra
o che si toglie la vita c’è gente gravissima che si butta con la testa
contro il muro o salta giù da un’automobile in corsa
anche in tempo di pace gente con grossi problemi
in democrazia può votare ma ha grandissimi problemi
tipo il padre o la madre o vuole fare a pezzi il cane
e non ha soldi c’è gente che non ha nessun soldo
ma è piena di debiti e anche di malattie e beve
beve fino a vomitare e non smette più di vomitare
pur essendo malata e non può stare da nessuna parte
ma soprattutto non può stare assieme agli altri
continuando così a bere e vomitare o prima l’uno poi l’altro

Le funi

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di Nadia Agustoni

LE TEMPS DE CERISES cantata da Edith Piaf,
parole di Jean-Baptiste Clément, musica di Antoine Renard,
canzone della Comune di Parigi

 

“Il piacere dello schizzo topografico al quale Stendhal si abbandonava con mano leggera nel suo Henry Brulard è un dono che non mi è stato concesso e con mio grande rammarico sono sempre stato un pessimo disegnatore.”

La lingua salvata
Elias Canetti [*]

Facendo mie queste parole di Elias Canetti vorrei raccontare un episodio di trentotto anni fa. Di Parigi so più o meno quello che ho letto. Walter Benjamin nei suoi “passages” inserì un capitolo sul barone Haussmann che mi ha sempre intrigato molto. Haussmann era stato stato l’artefice della modernizzazione della capitale francese e a lui furono addebitate molte cose in bene e in male. Se, come pare, Haussmann mise mano a quel progetto di sventramento del nucleo storico delle rue di Parigi, anche perché un nuovo modello di città caratterizzata dai grandi boulevard poteva impedire le barricate in caso di rivoluzione, certamente fallì. Lo smacco divenne ben presto evidente, ma per quanto mi riguarda mi soffermerò sulle motivazioni addotte per giustificare quei cambiamenti.

Ricevo (da Maria) volentieri pubblico

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FLUSSI 2008
Le Arti in Città
laboratori-eventi per nuove percezioni degli spazi urbani

Perugia, 5 settembre -11 ottobre
A cura di Moreno Barboni.

La sezione Flussi de Le Arti in Città 2008 prosegue lo scandaglio dell’attuale “cultura dell’instabilità” avviato nell’edizione precedente, impiegando a tal fine tre laboratori dai quali prendono le mosse delle performance audiovisive dislocate quest’anno con un raggio d’azione maggiore rispetto al 2007 e aprendo inoltre l’annunciata esplorazione del dialogo intercorrente fra luoghi materiali e luoghi immateriali, virtuali, ludici, ‘senza centro’ per definizione.

Il nuovo giocattolo dei Titani

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di Guido Vitiello

[ L’estratto è da: La commedia dell’innocenza. Una congettura sulla detective story, Luca Sossella Editore 2008. ]

La detective story è una varietà di gioco intellettuale; di piú, è una gara sportiva. La definizione figurava come preambolo alle Twenty Rules for Writing Detective Stories, “una sorta di Credo” vergato da S.S. Van Dine e promulgato nel settembre del 1928 dalle colonne dell'”American Magazine”.

Almeno tre generazioni di critici, quand’anche scettici sull’una o l’altra delle venti regole enumerate dal padre del detective Philo Vance, ne avrebbero accolto senza indugi il presupposto generale, tutt’al piú stemperandone un poco il rigore. Cosí potremmo riassumere la loro tesi, a tutt’oggi dominante, che alcuni hanno voluto battezzare puzzle theory: il romanzo poliziesco genus britannicum, il giallo classico “a enigma” – quello di Ellery Queen, John Dickson Carr o Agatha Christie – si fonda su una duplice sfida intellettuale. Tra il detective e il criminale, anzitutto, ciascuno intento a escogitare tranelli per sviare l’altro; ma è anche una gara d’astuzia tra l’autore e il lettore, il fair play del primo consistendo nell’esibire al secondo tutti gli indizi necessari, sicché questi possa indovinare d’anticipo sull’investigatore l’identità dell’assassino e la meccanica del crimine. Nella classica tassonomia dei giochi proposta da Roger Caillois in Les jeux et les hommes (1958), il romanzo poliziesco ricadrebbe dunque nella famiglia dell’agon, contesa disciplinata in cui si crea per artificio una condizione ideale di parità tra i rivali.

Il caso delle badanti vittime del metanolo in Sicilia

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di Stefano Savella

Quello delle badanti in Italia è, aldilà delle apparenze, un universo di storie di sofferenza, di dolore, spesso al di fuori di ogni minima copertura legale (fiscale o assicurativa). Le famiglie italiane, laddove non coinvolte direttamente nella ricerca e nell’affidamento a badanti straniere di un proprio caro, vivono una percezione del fenomeno largamente sottostimata. I mezzi di comunicazione non superano la soglia del singolo caso di cronaca che può riguardare il caso di una badante arrestata perché sorpresa a rubare o di un’altra destinataria di un decreto di espulsione pur avendo salvato la vita alla anziana donna che accudiva: tutto viene macinato nella rotatoria dei quotidiani e dei telegiornali senza essere accompagnato da una minima lettura critica e globale della presenza e del ruolo delle badanti in Italia. Il “rischio” più grande che viene veicolato da programmi di informazione e talk show sembra piuttosto essere quello dei matrimoni combinati tra badante straniera e anziano italiano, laddove la prima viene facilmente identificata con l’immagine della straniera corruttrice e ammaliatrice di “ingenui” nonni italiani.