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EPITAFFI

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di Linnio Accorroni

Se, come suggerisce Nabokov ne ‘I bastardi’, tutti siamo capaci di inventare il futuro, ma solo chi è saggio può creare il (proprio) passato, la sobria compattezza dell’epitaffio è come una specie di cartina da tornasole che serve a valutare empiricamente a quale livello di saggezza si è giunti. In quelle poche succinte frasi che lo suggellano, si deve sintetizzare non solo, ex post, la trama scoscesa o piana di un percorso esistenziale comunque compiuto e definito, ma anche il tentativo di ‘immaginare’ l’imperscrutabilità di quel Grande Nulla che ci attende tutti postmortem.

Postaccio come Rio Lobo

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La poesia che segue, a lungo meditata, dopo la visione del film capolavoro, credo possa accreditarsi non solo come poesia ma anche come prosa. Basta non andare daccapo. La dedico a Franz e Gianz.
effeffe

Perché John Wayne non c’ha la pensione e manco il mutuo
John Wayne si scola il whisky nel saloon pure tarocco
Non c’ha mica il letto John Wayne dorme vicino al cactus
John Wayne sferra cazzotti meglio di Clemente Russo

Quando finisce di lavorare John Wayne tutti i cartellini
si porta a timbrare John Wayne e se incontra il capo
Gli dice vuoi abbuscare John Wayne con in mano la canna
del Winchester John Wayne a Pechino sai quante medaglie

Ai viandanti voglio ricordare. . . .

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di Tina Nastasi

UMBERTO SABA, Nino Spagnoli 2004
Fondazione CRTrieste, AIAT Trieste
Comune di Trieste – Assessorato alla Cultura
(tratto da qui)

. . . . voglio ricordare le parole di un uomo che ho avuto l’onore di incontrare in forma di statua nella sua amata Trieste.

E’ uomo che si raccoglie delicatamente e si conduce a casa, dopo un andare per vie, breve o lungo che sia poco importa, in un ritrovare vie già percorse eppure nuove e strane ora che si è visto altro.
Ripercorrere nuovamente la sua città, nota fin dall’adolescenza, non basta a ritrovarsi integro dopo un viaggio, perché l’altrove fa diverso ciò che pure già conoscemmo “fino al più remoto cantuccio”.
E’ necessario “entrare nella nostra stanza, chiuderla”. E in quel “nostra” v’è tutto e solo quell’uomo che porta a casa la sua anima.

Materiali per una critica della più celebre forma poetica di origine italiana

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di Robert Gernhardt

rifacimento di Lisa Scarpa

Così di merda li trovo, i sonetti,
talmente angusti, rigidi e dappoco;
mi fa proprio girare i cosiddetti
che chi li scrive, chi discopre il foco

sacro di continuar con ‘sta cacata;
il fatto solamente che lo faccia
mi manda in vacca tutta la giornata.
Io m’inceppo. E la collera s’affaccia

Risveglio

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di Rosella Postorino

Valerio, vieni a bere.
Valerio saltella sulle scarpe da ginnastica, le guance rosse di chi ha corso troppo e ora ha sete. Si avvicina alla fontanella.
Fa finta di schizzarla e lei fa uno scatto indietro, ma le scappa una risata.
Dài, amore, bevi.
Il bambino accosta il viso all’acqua, tira fuori la lingua e lascia che si inzuppi, come i cani.
Carla guarda suo figlio di 10 anni. La bocca spalancata come un’insolente linguaccia.
Intorno alle rive dell’Aniene il verde si estende selvaggio. Carla lo insegue fino a perdita d’occhio.
Valerio, hai finito di be– Valerio!
Lo scarico della fontanella sta risucchiando il corpo di Valerio. Carla nemmeno riesce a urlare, si lancia su di lui nel tentativo di afferrarlo ma fa solo in tempo a vederlo ingoiare dal tombino, il getto dell’acqua che si schianta contro la base di pietra, vuota, senza sosta, mentre Valerio, suo figlio, è scomparso per sempre.

Opere italiane # 2 – pilates in England

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di Danilo Pinto

In Inghilterra ginnastica alla fermata
del bus, per mantenersi in forma
e volantini illustrano esercizi
ispirati alla tecnica del metodo pilates
«adatti a tutte le età». E’ la fine
del gioco, del vero e sincero.
Muoversi coi mezzi snellisce
il traffico e le cotiche.
Every stop helps, così dice
lo slogan. La Fonda aerofaceva
il make-up sulla corda. Ora nel bus
coinvolge for the moment
solo la linea – every breathe you take
BLACKBURN-MANCHESTER.

Commiato

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di Franz Krauspenhaar

Con il presente post, l’ultimo, annuncio la mia uscita da Nazione Indiana. E’ stata un’esperienza per me importante, a volte addirittura esaltante. Ma se è vero che sul web il tempo marcia molto velocemente, più velocemente che “fuori”, la stanchezza, ora come ora, ha preso il sopravvento.
Colgo l’occasione per ringraziare Tiziano Scarpa, che mi volle nella “squadra” nel dicembre del 2004, e tutti gli Indiani, nessuno escluso. Con molti di loro ho condiviso idee, parole, moti di affetto sincero e vera amicizia. Nazione Indiana mi ha dato la possibilità – rara – di conoscere persone eccezionali, e di farmi conoscere, di uscire dall’isolamento di cui sono preda, per varie ragioni, gli scrittori. Nazione Indiana è una bella realtà, e io ne sarò sempre un “tifoso” sfegatato, un sostenitore e, se possibile, un fiancheggiatore. Troppi i ricordi e gli affetti che mi legano a questo “organismo letterario vivente”. Ma è venuto il momento di mettersi da parte, almeno per me. Non c’è un motivo particolare, in questa mia decisione, se non stanchezza, una parola che racchiude molte cose: e comunque, è meglio ritirarsi quando va ancora tutto bene, credo. Sono in programma alcuni post per i giorni successivi, fino alla fine di agosto. Dopodichè, tornerò ad essere lettore e commentatore soltanto.
Un grande augurio a tutti gli Indiani di buon lavoro, e un saluto e un grazie ai lettori e ai commentatori.

Addio a Krauspenhaaru, di Giovanni Cossu: sambenadu.

I pod, You tube, He/She lost control

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Sul suo blog l’amico Massimo Maugeri ha lanciato una sfida ai lettori invitandoli a votare il migliore singolo e album della storia del Rock, sulla falsa riga della Top 100 proposta dal Magazine Rolling Stone.
In tantissimi hanno così lanciato le proprie proposte ( per quanto mi riguarda ho votato Sympathy for the devil e Quadrophenia) e nel lunghissimo thread eccellentemente moderato da Gea ed Enrico, una giovane (presumo) commentatrice, Miriam, ha fatto un’osservazione che non solo mi pareva azzeccata ma che ha scatenato in me un’altra serie di interrogativi a cui ho provato a dare una risposta.
Miriam suggeriva infatti in po’ a tutti di non limitarsi a fare citazioni, riportare link a Youtube o Myspace, ma di tentare una sorta di cartografia affettiva delle canzoni cercando di trasmettere ai lettori non solo l’informazione ma anche l’emozione che aveva portato a quella scelta. Nel blog troverete ovviamente la formulazione originaria e vi invito a leggerla. Qui invece riporto la mia prima riflessione sperando con voi di trovare una risposta alla “chose”.

Postato Martedì, 19 Agosto 2008 alle 8:10 pm da effeffe

Cara Miriam,
era da un po’ di tempo che mi interrogavo su questa storia delle playlist. Sono stato tra i primi partizan dell’I-pod per puro caso.

Ai miei amici patrioti che sono stati messi in carcere

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di Angelo Maria Ripellino

[ Si pubblica l’eccezionale testimonianza di Ripellino sull’invasione della Cecoslovacchia, apparsa nel servizio Dietro il muro di Praga («L’Espresso», XIV, 35 – 1° settembre 1968), adesso raccolta nel volume L’ora di Praga. Scritti sul dissenso e sulla repressione in Cecoslovacchia e nell’Europa dell’Est (1963-1973). A cura di Antonio Pane, Le Lettere, Firenze 2008. ]

Sono tornato da Praga con disperazione e con rabbia. Dopo aver vissuto per due mesi le speranze e le apprensioni di un popolo, alla cui cultura ho dedicato gran parte della mia esistenza. Tanto più amaro è il mio ritorno in quanto questo magnifico popolo è stato offeso e schiacciato dall’esercito di un altro paese, della cui letteratura io sono da lunghi anni testimonio ed amico in scritti e lezioni. È tempo di liberarsi ormai di tutte le illusioni e di tutti gli inganni nei riguardi della Russia. È chiaro che la presente avventura sovietica, coperta del solito leucoplasto ideologico, con le sue brutalità e i suoi colpi di teatro, questo miscuglio asiatico di truculenze e di falsi e di minacce e di beffe e di abbracci e di parolone, si inquadra logicamente nella cornice secolare della storia russa, come se nulla fosse cambiato dalla sanguinaria e crudele epoca di Ivan il Terribile e come se i cecoslovacchi fossero i tartari della città di Kazan’, da lui conquistata.
Del resto sia pure così: Kazan’, dicono le cronache del Cinquecento, era una marmitta dentro cui il popolo ribolliva come acqua.

Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato 4

2

[18 immagini + lettere invernali per l’estate; 1, 2,
3,
…]

di Andrea Inglese

Cara Reinserzione Culturale del Disoccupato,

le mie relazioni sociali esistono

posso stare tranquillo
quando mi capita di pensarci
nel loro insieme tutte quante
senza neppure soppesarle da vicino

le relazioni – mi dico – ci sono
ed è sufficiente questo: un pensiero
(l’insieme delle mie esistenti relazioni
sociali) e sono invaso
da un senso di tranquillità

e non le conto neppure non voglio
considerarle con eccessiva
precisione – sotto un aspetto globale
così è sufficiente: sono relazioni di società
tanto evidenti che esistono
tutte quante assieme
per la mia tranquillità

La mia famiglia è un caravanserraglio di tricicli rotti

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di Loris Righetto

Quelli come me ci soffrono a vivere da soli perché si sono convinti che il cuore di nessun uomo è un’isola. E neanche quello di una donna. È una questione di spazi personali che si intersecano. Quelli come me sono nati in famiglie vecchia scuola formato XL tipo: padre, madre, fratello, io, fratello tris, sorella, cane a pelo corto, gatto a pelo lungo, gatto bigio, gatto incazzoso, tartaruga in fuga, e una sfilza di canarini dal cuore debole rimpiazzati l’uno con l’altro. Mi è difficile guardare indietro senza provare tenerezza, nostalgia addirittura, anche per tragici eventi come quello del triciclo che mio padre portò una volta a casa. Disse che potevamo giocarci tutt’ettré, ma la priorità d’uso spettava al più piccolo dei suoi figli. Non intendeva dire che Riccardo era il suo prediletto, quanto che Gianluigi ed io dovevamo lasciargli spazio di crescita. Protestai, perché la priorità ce l’aveva lui e non qualcun altro? Ad esempio io?

Roma

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di Franco Buffoni

 

Da dove la balaustrata prende il mare

Sfiorando con disperata vanità

D’Ostia gli scavi,

I resti oggi si scorgono di quello

Che potrebbe definirsi un edificio

Abitativo urbano di vaste dimensioni,

Una cafonata imperiale con disegni

Geometrici a mosaico e in marmo policromo,

Opus alexandrinum a confrontarsi

Con l’opus novum di un odierno

Evasore totale.

Kafka e il porno

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di Vito Punzi

Ci sarebbe solo da sorridere, visto il tema (Franz Kafka lettore di rivista “pornografiche”) e la superficialità con la quale le presunte scoperte del signor James Hawes (pubblicate nel suo libro Excavating Kafka, uscito in questi giorni in Inghilterra) circa il “Kafka’s porn” hanno trovato spazio su alcuni quotidiani italiani. Avessero usato il tempo speso per la lettura del “Times”, del “Guardian” o di “Die Welt” per prendere il mano le lettere che Franz e l’amico Max Brod si scambiarono per una vita (Max Brod-Franz Kafka. Un altro scrivere. Lettere 1904-1924, Neri Pozza 2006), i nostri avrebbero evitato a se stessi il ruolo di banale ed acritica eco a qualcosa che assomiglia molto a scandalismo giornalistico (questo sì pornografico), più che a una rigorosa ricerca storico-letteraria.

Dimmi che non vuoi morire

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di Michele R. Serra

Massimo Carlotto, Igort, DIMMI CHE NON VUOI MORIRE, 2007, Mondadori

La strana coppia stavolta è composta da due pesi massimi. Massimo Carlotto e Igort sono, nel rispettivo genere, autori di culto: un libro frutto della loro collaborazione – uno ovviamente ai testi, l’altro ovviamente ai disegni, anche se i ruoli non sembrano essere compartimenti stagni – rappresenta un piccolo evento.

Sera di festa

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di Antonio Scavone

Mbà! ’Mbà! ’Ndun-’ndù! ’Ndun-’ndù! ’Mbà! ’Mbà!… E zio Guido annuisce come farebbe un ramo di baobab, morbido e nodoso, sotto i colpi del vento: approva il ciondolìo ritmato di Mariano, curando di seguire nello specchio la lama del rasoio che scivola luccicante sulla sua pelle scura, tenera come una duna. “Che guardi?”, mi chiede senza girarsi, tirando la guancia dal mento fin sotto l’orecchio, preparandosi a falciare di contropelo le chiazze cespugliose della sua fitta barba nera.

Dodecabomber, le mucche del Wisconsin e i porcellini d’India.

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di Cristoforo Prodan
 


 

«Un concerto, una sonata devono dipingere qualcosa, altrimenti non saranno che rumore, armonioso se si vuole, ma senza vita». (Encyclopédie, alla voce Espressione)
«L’estetica, infatti, non è altro che una fisiologia applicata». (Friedrich Nietzsche, Nietzsche contra Wagner. Atti di uno psicologo)
 
«The question is whether you can make words mean different things. E, poco più avanti, nel libro mirabile, la pestilenziale bambina, all’osservazione del cappellaio: «I dare say you never even spoke to Time!», risponderà: Perhaps not; but I know I have to beat time when I learn music». Infatti: la neue Musik è la distruzione del beat». (Mario Bortolotto, Fase seconda. Studi sulla nuova musica)
 
«Uno spettro s’aggira (ancora) per l’Europa – lo spettro della dodecafonia. Spettro che è l’archetipo di tutte le avanguardie espressive nel campo musicale del Novecento. Avanguardia, quella dodecafonica, che più di qualunque altra è apparsa radicale, innaturale, paradigma di bruttezza e sinonimo di cattiva musica».

 

Ora pro Anobii

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Lo scorso dicembre, mentre eravamo a Procida per organizzare il nostro laboratorio Dante , Martina e Marco mi hanno suggerito, si fa per dire, di iscrivermi ad un sito completamente dedicato ai libri. In questi mesi di ricostruzione almeno virtuale della mia biblioteca, esplosa in mille pezzi, scatole di cartone e luoghi, sono nate oltre ad un vero e proprio libro, frutto di una corrispondenza con una lettrice del sito, delle schede di lettura. Le considero come delle quarte “personali” di copertina e mi è venuta così la voglia di condividerle – si tratta ovviamente di una seleção- anche con i non anobiani.
effeffe

Sillabari (89 lettori su Anobii)
Di Goffredo Parise

della serie: L come Libro

Me ne aveva parlato per la prima volta Silvio Perrella, critico e curatore dell’opera di Parise. A Parigi – Paris/Parise- durante una lunghissima passeggiata (tra l’altro menzionata nel libro Giù Napoli) .

Una trentina di Gabriele Frasca

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di Gilda Policastro

All’interno del genere antologico, che in Italia stando anche solo all’ultimo quinquennio ha fatto registrare, particolarmente per la poesia, una reviviscenza pressoché incontrollata, la specie dell’auto-antologia non ha avuto similare debordante fortuna: è stato l’editore Sossella a rilanciarla all’interno della collana di “arte poetica”, a partire dal volume d’esordio, lo scorso anno, di Michel Deguy. Stavolta tocca a un autore nostrano ripercorrersi e risistemarsi in volume unitario: per il Gabriele Frasca di Prime. Poesie scelte 1977-2007 si tratta, tra l’altro, di un bilancio che viene quanto mai solidale con la ricorrenza del cinquantesimo genetliaco, e a oltre vent’anni anni dall’esordio poetico (con Rame, dell’84). Rileggere Frasca-poeta scelto da se stesso è come rovistare in un armadio di abiti mai smessi (se l’autore rimescola sovente le carte coi recuperi, nelle diverse raccolte, di testi cronologicamente spuri), e, di più, è farlo pienamente legittimati, se per il Frasca-teorico sta al lettore «il compito di ritrovare […] gli anelli di congiunzione tra il mondo di partenza (quello in cui era immerso l’autore nell’atto di scrivere […] e quello d’arrivo (il mondo […] in cui si agitano nel loro consueto immalinconire domestico, le larve dei personaggi».

L’arte di boicottare le olimpiadi

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Di Andrea Inglese

Mi rendo conto che “olimpiadi” e “diritti umani” sono una coppia di concetti indissolubili. Mi rendo conto che l’avvento delle olimpiadi si accompagna in modo costante con la preoccupazione dei diritti umani. Mi chiedo, per altro, perché non si proponga di fare olimpiadi tutti gli anni, in modo da tenere più desta l’attenzione del mondo sullo stato dei diritti umani. Insomma, l’equazione dovrebbe funzionare: più olimpiadi, più diritti umani. Non credo che ciò potrebbe dispiacere agli sponsor. E’ anche vero che le lunghe chiacchierate preventive da parte di statisti e opinionisti occidentali sull’opportunità o meno di boicottare le olimpiadi, si sono risolte in piccoli gesti ma estremamente significativi: pare che alcuni atleti europei, nel chiasso della cerimonia di apertura, abbiano ripetuto tra i denti “Free Tibet”. Devo comunque ammettere che, per una strana indolenza, non ho seguito le vicende dei sostenitori del boicottaggio, ammesso che esistano. Se quindi essi hanno messo in campo strategie specifiche, forme di resistenza peculiari, ne sono del tutto all’oscuro. Però a conti fatti, mi sono reso conto che dalla cerimonia di apertura, che non so bene in quale esatto giorno collocare, non ho letto nessun articolo a stampa che parli delle olimpiadi, non ho visto nessuna immagine televisiva delle olimpiadi, non ho discusso con nessuno di olimpiadi, ho ascoltato qualche minuto di resoconto delle gare sportive su France Info, radio pubblica francese, e cinque minuti di una trasmissione su Radiopopolare dedicata alle olimpiadi.

Dalla parte dei Serbi

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di
Azra Nuhefendic

Tra tutti i commenti che ho sentito dopo la cattura di Radovan Karadžić, le parole che mi cono piaciute di più sono state quelle di un anonimo passante di Belgrado (TV Belgrado, 22/07): “Questo vuol dire la fine della srpstvo”. Se fosse vero, sarebbe davvero un ottimo segnale!
Srpstvo per i serbi è l’equivalente del vostro “italianità”. Io, come presumo la maggior parte della gente, associo l’italianità alla storia, alla cultura, alla moda, al design, al buon vino, alla cucina tipica ecc.
La parola srpstvo, al contrario, non mi fa pensare a neanche una cosa positiva.