di Danilo Pinto.
Che è la morte, che con Wittgestein e con Webern
m’intingo la lenzuola di Capranica, con Fano azimo
io solo sola, io santo santa, la puttana manca e cielo
di spugna assorbe, il fango-mare, bariccamente Turin.
di Danilo Pinto.
Che è la morte, che con Wittgestein e con Webern
m’intingo la lenzuola di Capranica, con Fano azimo
io solo sola, io santo santa, la puttana manca e cielo
di spugna assorbe, il fango-mare, bariccamente Turin.
di Marco Ciriello

⇨ “Too young to die”
di Jamiroquai
14.
C’è un sogno in cerca di donna, canto bambino che si porta dietro il silenzio della valle e ancora non basta – perché nessuno la registra? – domanda l’uomo vinto dal senso di incertezza guardando lo spettacolo delle rondini sul filo, sopra una città da favola arresa al catrame. Un patto fra amici e una bottiglia che se li beve.
di Antonella Pizzo
Da: Di lievi deliqui e smarrimenti
I
Regina madre che al castello sgravasti
cuore di tortora e leone
beati i poveri di spirito
che non hanno visto il pozzo di petrolio
e l’oro ricoprire gli abiti delle donne bionde
brune rosse passionarie
ossa d’anoressiche donzelle
sulle passerelle coi trampoli
non hanno raccolto il passo
in minimal style valentino
l’ultima moda di tatuaggi e pearcing
che non hanno segnato le nuche sottili ed il profumo
dalla traslucida ampolla non hanno mai leccato
miscuglio micidiale che arriva in gola e strozza
il pensiero di una terra a zolle e di una semina
di sudori sparsi e di occhi di pernice spessi
che non hanno mai discusso sui massimi sistemi
che non hanno mai avuto un contatore e un blog
Fine d’agosto
Osvaldo Licini [ 1894 – 1958 ] Amalasunta su fondo blu
__Una notte di agosto, di quelle agitate da un vento tiepido e tempestoso, camminavamo sul marciapiede indugiando e scambiando rade parole. Il vento che ci faceva carezze improvvise, m’impresse su guance e labbra un’ondata odorosa, poi continuò i suoi mulinelli tra le foglie già secche del viale. Ora, non so se quel tepore sapesse di donna o di foglie estive, ma il cuore mi traboccò improvvisamente, tanto che mi fermai.
__Clara attese, semivoltata, che riprendessi a camminare. Quando alla svolta c’investì un’altra folata, Clara fece per soffermarsi, senza levare gli occhi, un’altra volta in attesa. Davanti al portone, mi chiese se volevo far luce o passeggiare ancora. Restai un poco fermo sul marciapiede – ascoltai il fruscìo d’una foglia secca trascinata sull’asfalto – e dissi a Clara che salisse, l’avrei subito seguita.
di Emmanuela Carbé
[ I testi sono tolti dal blog di lumicino. D.P. ]
133. Catalogo delle stelle
salgo su re teodorico per svuotarmi con due dita la testa e da lì sopra mi arrampico sul mio posto che è davanti a tre alberi da cimitero che lasciano un ritaglio a ponte pietra-casa di carla fracci-duomo, mentre a destra il mio san giorgio, i miei tetti di casa rossi, il mio fiume. arriva mio salmone domestico che si arrampica vicino a me, si incrocia ai miei pensieri e mi dice che se avesse un telescopio per medici mi visiterebbe perché non mi vede bene. Il mio problema, penso osservando gli omini che vanno su e giù per il ponte, il mio problema è che mi piacciono gli oggetti. Così quando ho visto quell’oggetto che hai sul tavolo io mi sono innamorata di te e di te tutto. Mi innamoro quando vedo le librerie degli altri perché traccio un percorso di significati passati che sono tutta la storia di un uomo. Così, di tutta questa felicità mentale, mi rimane solo l’idea, un significante, un oggetto che gira.
di Silvio Mignano
13 novembre 2007
Ovvero: io e le sciampiste.
Tutto è cominciato nel mio secondo viaggio a Potosí, quando abbiamo consegnato ai minatori del Cerro Rico l’ambulanza e l’apparecchiatura per i raggi X che avevamo promesso loro a marzo.
È stata una cerimonia toccante, come a quanto pare succede sempre, quassù. La brigata dei volontari di soccorso schierata nel cortile del piccolo ospedale a quattromilaseicento metri, tutti con le loro belle tute rosse fiammanti e i caschi nuovi di zecca, impettiti sull’attenti accanto allo stendardo, come se mi stessero presentando le armi, solo che questi uomini e queste donne non portano armi, per fortuna, se non un coraggio e una nobiltà d’animo in grado di commuovere l’orco delle favole.
di Rossano Astremo
Divento di giorno in giorno, di ora
in ora, da un battito di ciglia all’altro,
sempre più astratto, sfocato, illeggibile.
Come una foto della Woodman
spingo il mio corpo oltre la soglia
che divide l’impresso dall’assente.
Richiedo sparizione con forza finale,
un modo per non guardare il risvolto
della giacca che sono diventato:
pellicola graffiata con unghie dorate,
proiettata al contrario in dono corporeo.
Ti sogno da notti che non so numerare,
c’è sempre l’immagine di te al centro
di una stanza, nuda sul letto che scaglia
una palla da tennis contro la parete,
sfiorando la tv, incuneandosi nella zona
che separa l’antenna dallo specchio.
Sei racchiusa in un gesto privato,
avvolta nel sapone onirico della mente.
Non sei qui. Non sei qui. Sei solo un sogno.
à Marco Rovelli, on the road again
Questa è la french version.
C’est une poupée qui fait non, non, non, non
C’est une poupée qui fait non, non, non, non
Toute la journée elle fait non, non, non, non
…e questa la versione italiana cantata dallo stesso Polnareff
E’ una bambolina che fa no no no no no
(Autori: Gerala – M. Polnareff – Pagani – 1967 )
E’ una bambolina che fa no no no no no
è così carina ma fa no no no no no
[18 immagini + lettere invernali per l’estate; 1, 2…]
di Andrea Inglese
Cara Reinserzione Culturale del Disoccupato
non è possibile proseguimento,
tu stessa
non lo sopporteresti (ti immagino
vestita e seduta, o che ti siedi
e ti vesti: prima l’uno,
infilarti i vestiti, forse una gonna,
poi l’altro, finalmente,
senza esitare,
sederti,
– non da sola, certo,
no, purtroppo, non sola),
di Antonio Sparzani

Ich fühle des Todes
verjüngende Flut
zu Balsam und Aether
verwandelt mein Blut –
Ich lebe bey Tage
voll Glauben und Muth
und sterbe die Nächte
in heiliger Glut.
Come accennavo qui, sotto l’influsso delle proposte newtoniane, s’era diffusa nella medicina inglese del Settecento una concezione dell’etere più terrestre, quasi sanguigna; ricordate le parole di William Cooper (Londra 1724) : «il fluido contenuto nei nervi non è probabilmente altro che quel sottile, raro ed elastico spirit che sir Isaac Newton conclude sia diffuso ovunque nell’universo».
L’etere era diventato una sostanza mediatrice tra nervi e muscoli, tra cervello e arti, tra pensiero e azione.
di Andrea Pazienza
Son pieno d’amore
per
gli altri,
son pieno
d’amore
e il mio amore
è un fluido
magnetico
passato al setaccio.
di Marco Ciriello
13.
Fred Astaire ha un magazzino del pesce a Helsinki e non balla più. A sera, quando chiude, va a pattinare sul ghiaccio portandosi dietro l’odore di merluzzo. Tornare a casa è sempre difficile. Di notte sogna enormi pesci da congelare, pesci strani, non da mangiare, belli da guardare, magari da incorniciare.
di Giuseppe Catozzella
Gentile Maestro (mi spingerei anche fino a chiamarla “caro”),
le scrivo solo dopo la sua dipartita, perché mai avrei osato mettere delle parole su carta con lei ancora in vita. Se c’è infatti una cosa che posso dire di aver appreso dalla stretta e fortunata frequentazione della sua persona è un certo diffuso senso di umiltà, che ci deve far abbassare il capo e dirottare lo sguardo al cospetto dell’altrui maestria, e convincere a sopprimere i naturali impeti di imitazione, o gli esili moti di ispirazione. Nessuno, se posso permettermi, ma già le espressi questa considerazione una volta, nessuno, nel campo della letteratura, nel nostro – come lei usava definirlo – sfortunato Paese, era più Maestro di lei.

di Francesca Matteoni
Il 4 agosto è sempre stato un giorno speciale per me: in questa data nel 1792 nasceva infatti nel Sussex Percy Bysshe Shelley, il poeta romantico che amavo da ragazzina. Avevo circa tredici anni – dopo aver letto Ode to the West Wind su una vecchia antologia liceale, mia madre mi regalò un’edizione italiana delle sue poesie con traduzione di Roberto Sanesi. Nella mia fantasia Shelley divenne molto di più dell’autore di poesie o del bel volto efebico dei ritratti – morto giovane, al largo di Livorno, personaggio idealista che conversava con le rovine di regni immaginari, con la maga di Atlantide, con il cantore del mattino (l’allodola, dove Keats che avrei conosciuto dopo, sceglieva la malinconia lunare dell’usignolo) e naturalmente con il turbine di foglie nel vento occidentale, si trasformò in uno spettro inquieto che rispondeva alla mia adolescenza. Il fatto che in realtà non lo “vedessi” se non tra i versi tradotti e le mie prime faticose incursioni nell’originale, non costituiva un problema: avevo collezionato una serie di amici fantastici di cui lui era soltanto l’ultimo ed il più eccezionale.
di Gianluca Veltri
Non lo chiamavano ancora Myanmar, quando vi nacque il cantautore Nick Drake. Né Yangoon. Nel 1948 era ancora Birmania, era ancora Rangoon. Nick era il rampollo di una famiglia britannica benestante, papà ingegnere. Il suo destino era una privilegiata vita coloniale, in quel lembo di Sudest asiatico post-bellico gravido di futuri conflitti. Ma il destino si diverte a invertire le rotte, a sparigliare le giocate, e Nick si ritrovò ancora bambino, con la sua famiglia – daddy Rod, mamy Molly e la sorella maggiore Gabrielle – nell’Inghilterra culla dei genitori. I Drake ripararono lì, in Birmania non tirava più buona aria. Warwickshire, campagna in stile Miss Marple, Tanworth-in-Arden. Un villaggetto signorile e discreto, la cattedrale trecentesca intitolata a Maria Maddalena e un’atmosfera che sembrerebbe fatta apposta per attutire i conflitti. Non fu così per Nick, che amò e odiò quel borgo, ne fuggì lontano e sempre lì tornò, fino a morirvi a soli 26 anni, nel 1974.
Mstislav Rostropovich
Johann Sebastian Bach, Cello Suite N.2, I. Prelude
[ molte pagine di Arcipelago Gulag furono scritte nella casa di Mstislav Rostropovich, che ospitò e nascose l’amico Aleksandr Solzhenitsyn ricercato dal KGB ]
a M…
Questa pendola di Sassonia, che ritarda e suona la tredicesima ora fra i suoi fiori e i suoi dei, di chi è stata? Penso sia venuta dalla Sassonia con le lente diligenze, in passato.
(Singolari ombre pendono ai vetri consunti)
E il tuo specchio di Venezia, profondo come una fredda fontana, alla riva di serpenti d’oro scrostato, chi si sarà rimirato? Ah! Sono sicuro che più di una femmina ha bagnato in quest’acqua il peccato della sua bellezza; e forse vedrò un fantasma nudo se lo guarderò per lungo tempo.
– Villano, tu dici sovente certe cose sconvenienti…
(Vedo delle tele di ragni in alto sulle grandi finestre)
“Ogni volta che ci dicono: perché non protestavate quando la camorra sversava i rifiuti tossici? Io salto dalla sedia. Ma come? Negli anni ’80 facevamo i presidi di notte, rischiando la vita, per bloccare i camion che lavoravano per la criminalità organizzata. Come pensate che siano nate tante inchieste dell’antimafia?” E’ Angelo Genovese a parlare, zoologo, ha 48 anni, ex attivista di Legambiente, oggi è tra quanti sono contrari all’apertura della discarica di Chiaiano.”La mia prima denuncia sullo sversamento dei rifiuti tossici risale all’85, allora la gestione stava nelle mani di piccoli clan locali da cui, noi attivisti, subivamo minacce ed intimidazioni perché portavamo alla luce un sistema del tutto abusivo e la legge era dalla nostra parte.”