di Mariella Bettarini
I
occhi che chiedono
come dare – come chiedere aiuto nel rumore
del mondo (nel silenzio del mondo)?
come aiutare chi non possiamo aiutare
(adiuvànti) perché inconsolabili
di Massimo Rizzante
Amo le stazioni termali. Immergermi nelle loro acque calde e rigeneratrici. Nuotare lentamente in una grande piscina blu.
Al mattino, soprattutto. Prima delle nove, quando l’allegro «Avanti, muovetevi!», lanciato da un robusto insegnante in costume da bagno, dà inizio alla lezione di water-gym programmata per una clientela alla ricerca dei suoi glutei perduti. I glutei, tuttavia, non sono vecchi e cadenti ! E neppure solo femminili! Sono glutei giovani e nonostante ciò alla ricerca di se stessi.
Come spiegare il mistero dei giovani glutei perduti?
Nuotando in solitudine, la risposta mi pare semplice: il tempio della salute (salus per aquam, dicevano gli antichi Romani), che fino a dieci anni fa era frequentato da un pubblico di moribondi o da persone mature e annoiate, è diventata la cattedrale del wellness, la casa della bellezza fisica, The Beauty Farm.
In una verde vallata circondata dalle montagne, alla frontiera tra Italia e Austria (non lontano dal castello del grande alpinista Reinhold Messner), dove, secondo la leggenda, Ötzi, l’uomo primitivo, ha trascorso il suo tempo a urlare il proprio nome per notti e notti– ottenendo come unica risposta una triste eco – si trova il Centro di benessere «Paradiso».
[L’immagine è presa dal sito astronomie.nl]
di Christoph Schröder
traduzione di Elisa Perotti
Mercoledì verrà resa nota la longlist del Deutscher Buchpreis – e catturerà l’attenzione del mondo letterario fino alla fiera del libro. Ma perché?
Una volta era tutto molto semplice e alla luce del sole: se sulla lista del “Quartetto letterario” c’era un certo romanzo, le rispettive case editrici potevano iniziare tranquillamente a ristamparlo – che il libro venisse elogiato o stroncato aveva poca importanza: il giorno successivo sarebbe stato comprato. Era una legge a cui ci si doveva attenere. Oggi c’è Elke Heidenreich. Lo smercio si svolge pressoché allo stesso modo, ma è senza dubbio lodevole la sua scelta mirata per le case editrici minori, che concretizza accompagnando le inquadrature dei loro libri con l’esortazione “da leggere!”. E oltre a lei? Chi indirizza gli acquirenti? Chi ancora detiene la supremazia nell’interpretazione ed esercita una qualche influenza? Chi decide quali titoli di narrativa verranno venduti? Una cosa è certa: gli inserti culturali contano ben poco.

di Chiara Valerio
La dismissione di Ermanno Rea e Vita precaria e amore eterno di Mario Desiati sono due romanzi assai distanti ma accomunati da una miriade di particolari. Quasi i fili con i quali sono tessuti provengano dalla medesima fabbrica. Fabbrica è un buon termine per cominciare questo discorso. La dismissione e Vita precaria e amore eterno sono romanzi successivi al duemilauno, al crollo di quelle enormi meridiane segnatempo che sono diventate, nel vissuto collettivo, le torri gemelle. Finito l’intervallo delle certezze, del lavoro, delle misure. Se questi romanzi fossero temporalmente distanti, se parlassi di Dickens e Desiati o di Dickens e Rea non mi meraviglierei delle differenze di linguaggio, delle flessioni della grammatica e della lingua attraverso secoli e accadimenti. E invece al centro de La dismissione così come al centro di Vita precaria e amore eterno ci sono un uomo, un lavoro, un rapporto d’amore e un tradimento più pensato che attuato.
In mezzo a tante collimazioni tuttavia, stessi ingredienti, quasi stessi esiti, sta la differente generazione degli autori. Sembra una notazione di colore, quasi fastidiosamente leziosa. Rea è un uomo del millenovecentoventisette, Desiati del millenovecentosettantasette. Cinquant’anni. Questa differenza, ripeto, così poco letteraria rispetto ai temi e alla condivisione di un italiano evocativo (anche se Desiati ha dalla sua un disincanto documentaristico che non appartiene alla penna etica di Rea) fa sì che due romanzi, sulla carta simili, risultino alieni l’uno all’altro, spiega perché tra essi si slarghi un abisso. Non c’è epopea che non reclami un tragico tributo.
di Angelo Del Rosso

[ Santa Cruz di Fatboy Slim]
Aveva una sola ragione per essere inquieto? No. Non era successo niente di strano. Nessuna minaccia incombeva su di lui. Era ridicolo perdere la calma, e lo sapeva. Lo sapeva così bene che anche lì, nel bel mezzo della festa, cercava di reagire. Si era subito lasciato sedurre dall’aspetto esterno del Central, una costruzione gialla, arretrata rispetto alla banchina, a cinquanta metri dalle palme da cocco, e immersa in un intrico di piante dalle forme bizzarre.
[Seganalo due piccoli eventi poetici nel gran mare di eventi musicali e artistici di questo festival]
Ancona Lunedi 1 settembre
ore 21.00 – Cortile Mole Vanvitelliana
La rosa
lettura scenica da testi di Franco Scataglini
David Riondino
con Giovanni Seneca (musiche originali – chitarra), Fabrizio Fava (oboe e corno inglese), Marco Ferretti (violoncello)
*
Ancona Giovedi 4 settembre
Ore 21 – Cortile Mole Vanvitelleana
Superfast Poetry – Il Poetry Slam delle due sponde
Elisa Biagini (Italia), Ana Brnardič (Croazia), Arben Dedja (Albania), Nader Ghazvinizadeh (Italia-Iran),Stanka Hrastelj (Slovenia), Andrea Inglese (Italia), Senadin Musabegovič (Bosnia), Luigi Nacci (Italia)
curatore e maestro di cerimonia Luigi Socci –
pubblicazione “Le Mappe di Adriatico/Mediterraneo” (ed. Pequod)
*
di Alessandro De Santis
Tutto il giorno aveva camminato sul ciglio della strada
contava i passi e li classificava
e poi passava agli organi, alle carni
la lingua lastricata e le sue selci
intrise del sudore del non dire.
di Marina Pizzi
246.
in un gioco di penombre la breccia della leccornia (la tavola imbandita) per convincere il sole a farsi dominante così da poter sbattere le coperte in piena pace dal balcone.
247.
le rivalità dell’ombra giochicchiano imbattute
248.
con il limite degli occhi ci guardiamo in cagnesco
249.
con una biglia so giocare come fosse un anfiteatro
di Silvio Mignano
20 gennaio e 4 maggio 2008
L’oscurità, di per sé tutt’altro che assoluta, è perforata da tremolanti luci aranciate, che si riflettono sulle pareti sporche come lingue d’acqua in una piscina asciutta. La folla si apre a ventaglio, in mezzo agli stridenti rumori delle seggiole trascinate sul pavimento di linoleum. Il rimbombo di una musica di chiesa, un basso stonato che dovrebbe richiamare Bach o il Requiem di Mozart e fatica invece a elevarsi al di sopra di un confuso agitarsi di crome e biscrome, un involontario rap per voci ed organo.
[18 immagini + lettere invernali per l’estate; 1, 2,
3,4…]
di Andrea Inglese
Cara Reinserzione Culturale del Disoccupato
mi mancano le risorse
sembra poco un problema non decisivo
quello delle risorse una condizione momentanea
come un calo di energie e temporaneamente
non si riesce ancora a riposare basterebbe
trovare una stanza con un letto o anche
in luogo pubblico una poltrona o una sedia qualunque
abbastanza al riparo un angolo non troppo
frequentato le risorse non dico tante ma sento
che mancano
c’è di peggio c’è gente che sta male
che sta malissimo che brucia – dico – brucia viva
nelle guerre e non ne esce gente nata in guerra
o che si toglie la vita c’è gente gravissima che si butta con la testa
contro il muro o salta giù da un’automobile in corsa
anche in tempo di pace gente con grossi problemi
in democrazia può votare ma ha grandissimi problemi
tipo il padre o la madre o vuole fare a pezzi il cane
e non ha soldi c’è gente che non ha nessun soldo
ma è piena di debiti e anche di malattie e beve
beve fino a vomitare e non smette più di vomitare
pur essendo malata e non può stare da nessuna parte
ma soprattutto non può stare assieme agli altri
continuando così a bere e vomitare o prima l’uno poi l’altro
di Nadia Agustoni

LE TEMPS DE CERISES cantata da Edith Piaf,
parole di Jean-Baptiste Clément, musica di Antoine Renard,
canzone della Comune di Parigi
“Il piacere dello schizzo topografico al quale Stendhal si abbandonava con mano leggera nel suo Henry Brulard è un dono che non mi è stato concesso e con mio grande rammarico sono sempre stato un pessimo disegnatore.”
La lingua salvata
Elias Canetti [*]
Facendo mie queste parole di Elias Canetti vorrei raccontare un episodio di trentotto anni fa. Di Parigi so più o meno quello che ho letto. Walter Benjamin nei suoi “passages” inserì un capitolo sul barone Haussmann che mi ha sempre intrigato molto. Haussmann era stato stato l’artefice della modernizzazione della capitale francese e a lui furono addebitate molte cose in bene e in male. Se, come pare, Haussmann mise mano a quel progetto di sventramento del nucleo storico delle rue di Parigi, anche perché un nuovo modello di città caratterizzata dai grandi boulevard poteva impedire le barricate in caso di rivoluzione, certamente fallì. Lo smacco divenne ben presto evidente, ma per quanto mi riguarda mi soffermerò sulle motivazioni addotte per giustificare quei cambiamenti.
di Marina Pizzi
152.
E’ qui che mi si dà il soqquadro dell’amarezza al tasto che tutto può nei tasti gemelli di genesi con esito diverso. Si formano le parole e le guardo nel leggerle con la fratellanza del mito, con il polso gonfio di evocarle musiche al calendario da stracciare a poco a poco.
153.
Alla bocciofila c’è un’unica donna campionessa di lancio e di stecca quando gioca al biliardo. E’ molto ammirata, ma lei, ormai, è l’ultima rata di donna, un siluro di pianto nonostante nessuno la senta o veda la sua furia. In spirito si sente ragazza e questo la uccide ben più della incipiente vecchiezza. Tutti la sogguardano e la trattano con rispetto un po’ amoroso. Lei lo nota e se ne accontenta in nota, nota di sé, oramai.
154.
Rampe per alienati queste linee inclinate verso l’ospizio dove ridono e si disperano tutti i nati dati per alieni appena dopo.
155.
Era un collo in fato di bambina, era un crollo in fato di ragazza, era uno scorporo in fato di donna.
156.
Lasciami addosso la nuca di piramide che non toccherà dio
La poesia che segue, a lungo meditata, dopo la visione del film capolavoro, credo possa accreditarsi non solo come poesia ma anche come prosa. Basta non andare daccapo. La dedico a Franz e Gianz.
effeffe
Perché John Wayne non c’ha la pensione e manco il mutuo
John Wayne si scola il whisky nel saloon pure tarocco
Non c’ha mica il letto John Wayne dorme vicino al cactus
John Wayne sferra cazzotti meglio di Clemente Russo
Quando finisce di lavorare John Wayne tutti i cartellini
si porta a timbrare John Wayne e se incontra il capo
Gli dice vuoi abbuscare John Wayne con in mano la canna
del Winchester John Wayne a Pechino sai quante medaglie
di Tina Nastasi

UMBERTO SABA, Nino Spagnoli 2004
Fondazione CRTrieste, AIAT Trieste
Comune di Trieste – Assessorato alla Cultura
(tratto da qui)
. . . . voglio ricordare le parole di un uomo che ho avuto l’onore di incontrare in forma di statua nella sua amata Trieste.
E’ uomo che si raccoglie delicatamente e si conduce a casa, dopo un andare per vie, breve o lungo che sia poco importa, in un ritrovare vie già percorse eppure nuove e strane ora che si è visto altro.
Ripercorrere nuovamente la sua città, nota fin dall’adolescenza, non basta a ritrovarsi integro dopo un viaggio, perché l’altrove fa diverso ciò che pure già conoscemmo “fino al più remoto cantuccio”.
E’ necessario “entrare nella nostra stanza, chiuderla”. E in quel “nostra” v’è tutto e solo quell’uomo che porta a casa la sua anima.