Home Blog Pagina 476

IL CULTO DEI FETICCI NELL’ITALIA CONTEMPORANEA (1)

3

di Michele Zaffarano

potrei mettermi a bloccarlo e provare a irrigidirmi ancora di più mentre lei si è abbassata sul seno di sinistra e sto andando e ho ansimato un controllo che assume la direzione un istinto primitivo strappandole le calze bagnato e caldo lasciandolo sperimentare in profondità tuttavia dovrebbero essere lucide e bagnate come le gocce che scendono bianche con amore potrei trattenere la mia lancia cominciare a arcuarla gli spasmi il mio corpo come sopraggiunto sollevato da me ha tirato indietro e senza parole un movimento e via si è inginocchiata ha cominciato a sciogliere i pattini tenendo la sua mano sul posto mentre lavorava di più sulla bocca calda ha osservato e formulato un’osservazione circa il suo essere un’idea una piega l’ha colpita una regolazione un’alimentazione del pensiero degli umori mmmmm stava succhiando troppo in bocca carezzando leggermente la testa

Prima dell’estinzione

1

di Mauro Pianesi

Avevo letto già in manoscritto Prima dell’estinzione (Effigie), l’ultimo romanzo di Sergio Nelli, storia narrata in prima persona di un giornalista nel tunnel del ricovero ospedaliero. Trasformato, fra diagnosi imprecise e impietose, in cittadino del dolore, comincia a sentire la fine e il peso insopportabile del mondo. “Entri in un’atmosfera plumbea, fredda, come sottomonte. Mentre fuori c’è il sole, ci sono i motorini che esplodono all’estate, c’è la stessa erbetta tenera che cresce, e il cibo e la musica e le ragazze che si vogliono divertire”.
Autobiografica, quasi diaristica come nei precedenti e, in particolare, nel bellissimo Ricrescite (Bollati Boringhieri), innervata da un’immaginazione potente che ne è il vero motore, la scrittura di Nelli ha il raro pregio di riuscire a far dialogare le cose (il mondo inanimato) con i ricordi che esse lasciano nel nostro universo sensoriale. I ricordi o la loro malinconia. Per giungere a questi esiti (che sento particolarmente innovativi), l’autore sembra rifarsi a luoghi letterari arcaici, premoderni, tipo “mondo alla rovescia”, che ad esempio – se riferito alla donna del protagonista – sa materializzare così: “L’energia del suo orgasmo invade le stanze, appiccica la sua pellicola sui muri, rinnova le pentole, rivitalizza la frutta, dà profumo all’aglio, fa brillare il vetro, ammorbidisce le coperte, esalta il fumo vecchio”. C’è qualcosa di fiabesco in questa elencazione mozzafiato della nuda verità non solo degli oggetti, ma addirittura degli odori.

Absolute Poetry 2008. Cantieri internazionali di poesia

3

III edizione
Monfalcone: 3-7 giugno
Teatro Comunale – Biblioteca Comunale – Centro di Aggregazione Giovanile

Direzione artistica
Lello Voce

Assistenza alla direzione artistica
Luigi Nacci

Videofondali live
Giacomo Verde

Les italiens: Fernando Coratelli

2


Immagine presa qui
Il post-it tra i due cartelli dice: demerdez vous. (trad. cazzi vostri!!!)

Storie da
Altro tempo
romanzo
di
Fernando Coratelli

Superammo altre due auto che ci precedevano, in un rapido calcolo stimai che ce n’erano altre otto a separarci – tante forse troppe per non perderci. Anna insisteva, io non riuscivo più a parlare. Mi scorrevano davanti agli occhi immagini di vita, memoria di luoghi, di persone e parole. Alcune non c’entravano niente, come un vaso di fiori che Giulia volle comprare per il compleanno di mia madre. Altre più pertinenti come le foto in bianco e nero scattate a Giulia per le strade di Ostuni. Ma tutte mi istigavano a stare male, e cresceva l’angoscia, e lasciava subito dopo il posto alla paura. Poi, arrivò un bivio, di quelli incomprensibili, tipici dei paesi: due frecce di direzioni opposte che indicavano una CISTERNINO e TUTTE LE DIREZIONI. Ma che cazzo significa tutte le direzioni? Tutte tranne Cisternino o essa compresa? Perché può esistere un cartello TUTTE LE DIREZIONI? Neanche Dio metterebbe un cartello del genere per indicare la strada che a Lui conduce.
Anna guardò il cartello, mi chiese me’ e mo’ che facciamo?

La Punta della Lingua 2008 (Ancona)

2

NIE WIEM presenta La Punta della Lingua 2008
Poesia Festival (III edizione)
Ancona 5-8 giugno 2008

Il festival di poesia “La Punta della Lingua” giunge quest’anno alla sua terza edizione, aprendosi a contaminazioni internazionali e con un occhio di riguardo ai giovanissimi. È da loro, ce lo ripetiamo da sempre, che bisogna partire per salvaguardare la consapevolezza dei lettori (e del pubblico) di domani. Da quella fascia d’età in cui, un po’ troppo vorticosamente, calano gli indici di lettura (e di scrittura). E non a caso diamo il via alle danze con il formidabile strumento divulgativo della gara di poesia ad alta voce del poetry slam, figlio meticcio delle tenzoni medievali e dei certamina rinascimentali ma anche del free style dei rappers americani. Momento conclusivo di un ciclo di laboratori di poesia tenuti nelle scuole marchigiane, durante l’anno, sotto il coordinamento di Valerio Cuccaroni, da alcuni dei più promettenti giovani poeti della nostra regione.

Errata corrige

23

Niemöller
di Gianni Biondillo

Non ricordo neppure più dove lessi quei versi, anni fa. Mi piacquero, li condividevo, li trascrissi pure da qualche parte. Per anni, per me, erano senza ombra di dubbio (così c’era scritto) di Bertolt Brecht.
Sbagliavo.

RADIOBAHIA: racconti per canzoni [003]

1

di Marco Ciriello

Naufragio

RADIOBAHIA: suona

“The sound of crying” dei Prefab Sprout

3.
Quando la nave prese in pieno il banco di ghiaccio, il capitano Winter stava dormendo. Il mare si tinse di rosso e tutti, proprio tutti, i passeggeri si spaventarono a morte.

Le Eumenidi

12

(Megera)

Hoch stand der Sanddorn am Strand von Hiddensee
Micha, mein Micha, und alles tat so weh
Die Kaninchen scheu schauten aus dem Bau
so laut entlud sich mein Leid in`s Himmelblau

So böse stapfte mein nackter Fuß den Sand
und schlug ich von meiner Schulter deine Hand
Micha, mein Micha, und alles tat so weh
tu das noch einmal, Micha und ich geh

Ballata del fiore azzurro

11

di Antonio Sparzani

Via, via, vieni via di qui,
niente più ti lega a questi luoghi,
neanche questi fiori azzurri…
via, via, neanche questo tempo grigio
pieno di musiche
e di uomini che ti sono piaciuti
(Paolo Conte, Via con me, 1981)

Di fiori azzurri ce ne son diversi in natura, ognuno con la sua sfumatura di celeste, d’azzurro, o d’indaco, fino al blu intenso, fino a sfumare nel violetto. Vengono in mente il fiordaliso, (cliccate sul campo qua sopra, fiordalisi e papaveri), il nontiscordardimé (la myosotis alpestris), o altri fiori di prato di cui non so il nome, fino alle ombre blu della genziana e di certi anemoni.

Ma nella mia testa uno dei primi ricordi di mitico fiore azzurro spunta fuori da una poesia che da ragazzetto avevo sentito decine di volte recitare da Arnoldo Foà, in uno di quei quarantacinque giri che allora usavano, di poesie dette da grandi attori: era questa una scelta di poesie di Federico Garcia Lorca,

Attraversare i confini: corpo e potere materno nella fiaba

9

di Francesca Matteoni

(La prima parte si può leggere qui)

Neve stregata: l’eredità materna

Una terra invernale. Il respiro scorporato dei cieli, convogliato in piccoli globi bianchi di neve, che volteggiano e cadono come piume. La Regina siede nel castello, guardando il silenzio all’esterno: la cornice nera d’ebano della finestra, racchiude il paesaggio in una distanza di freddo irraggiungibile e compatto. Lei attraversa il confine pungendosi il dito con un ago mentre cuce. Tre gocce di sangue si versano sulla neve, creano un’immagine di lontananza e sorprendente bellezza che contagia l’immaginazione della donna:

“Se solo avessi una bambina bianca come la neve, rossa come il sangue, e nera come il legno della finestra (15)”.

Zündel se ne va

6

Marcus Werner

di Gianni Biondillo

Markus Werner, Zündel se ne va, 2008, Neri Pozza, 158 pag.

Le traduzioni sono capsule del tempo. All’improvviso dal passato, spesso anche lontano, tornano romanzi folgoranti, che descrivono un mondo che crediamo di ricordare alla perfezione, ma che in realtà è sepolto malamente nella nostra memoria fallace.

Io, preda

11

di Giovanni Fazzini

Adagio, non troppo


La preda erodeva il mio corpo. Acqua evaporava, e combustibili macromolecole si consumavano nel moto di muscoli incandescenti. E l’anima anche si consumava, ritirandosi e spalancando un vuoto accogliente, ergonomico. Lì si accoccolò la preda, si addormentò beata; per sempre al sicuro, dolce ninnananna del cozzar di denti e ruminar di mascelle.

“Un’altra vita non viene” di Nadia Agustoni

12

 

 

se è luce solo la luce
 

se è luce solo la luce plebeo il buio mi puniva
e il dovere sembrava vita scuotevo le mani facevo come l’aria
“lo stesso vento”, morivo uguale
a te parlavo nuova, come fosse il caso a dire non c’è vivere
“non è capace, nessuno di noi, neanche a far ombra
a un altro” e cadendo ci rialziamo somigliando a chi
scese al bisogno, alla pena o era fedele al mondo,
“è piccolo il mondo e tu non sai che si nasce grandi,
ci rimpiccioliamo di paura quando il cane abbaia, ci stana
come gli uccelli e una freccia di cartone indica la via del cielo,
come siamo o la tua casa”.

 

You(tu)Box: Serge Gainsbourg

31

Le poinçonneur des Lilas
di
Serge Gainsbourg

trad.
Francesco Forlani
J’suis l’poinçonneur des Lilas
Le gars qu’on croise et qu’on n’ regarde pas
Y a pas d’soleil sous la terre
Drôle de croisière
Pour tuer l’ennui j’ai dans ma veste
Les extraits du Reader Digest

Et dans c’bouquin y a écrit
Que des gars s’la coulent douce à Miami
Pendant c’temps que je fais l’zouave
Au fond d’la cave
Paraît qu’y a pas d’sot métier
Moi j’fais des trous dans des billets

Sono il bigliettaio di Lilas
quello che vedi ma non guardi mai
e non c’è sole sotto terra
Strana crociera
Per fare in fretta e che finisca
Ho un Reader Digest nella tasca

Leggo quel che è scritto con le dita
Di gente che a Miami fa la vita
Io faccio lo schiavo sulla linea
Sotto in cantina
non ci son mestier da inetti
Io faccio buchi sui biglietti

A me gli occhi

24


di Chiara Valerio

Su Le Benevole di Jonathan Littell

Noi, gli uomini, chi siamo? Siamo veri, siamo dipinti? Tropi di carta, simulacri increati, inesistenze parventi sul palcoscenico d’una pantomima di cenere, bolle soffiate dalla cannuccia di un prestigiatore nemico?
G. Bufalino, Le menzogne della notte

I Lemmings (DMA design, 1991) cadono da una botola. Non sono cattivi, non sono buoni, non sono intelligenti e nemmeno stupidi. Sono indistinguibili gli uni dagli altri, indossano una uniforme, un grembiule quasi scolastico. Coincidono con ciò che indossano, bidimensionali. Il quadro di gioco è un percorso astratto e composito. Lo scopo è condurre, in un tempo stabilito e in un’altra botola, almeno una certa percentuale di lemmings. Non importa quali lemmings arrivino nella seconda botola ma solo quanti. Tuttavia, per farlo, il giocatore deve assegnare un ruolo, una funzione, a qualcuno dei lemmings. Il giocatore ne sceglie uno qualsiasi e lo investe scalatore, bloccatore, costruttore, perforatore, minatore, paracadutista, scavatore e kamikaze. Il giocatore dispone di una funzione di pausa per studiare il quadro di gioco e di una funzione di autodistruzione nel caso risulti impossibile salvare la percentuale di lemmings richiesta e non voglia attendere lo scadere del tempo. Nessun lemming può tornare nella buca dalla quale è caduto .

La costruzione del razzismo

2

di Étienne BALIBAR
(il primo articolo di questa serie è uscito qui, a.i.)

1.Il razzismo tra storia e avvenire

Perché classifichiamo una serie di comportamenti sotto la comune categoria di «razzismo»? Per quale motivo un insieme di discorsi, estremamente diversi tra loro, che tendono a isolare, a stigmatizzare, a minacciare, a discriminare dei gruppi umani o sociali, sono considerati come razzisti? Perché qualifichiamo come «razziste» pratiche differenti — alcune spontanee, altre istituzionali — che hanno in comune il fatto di generare l’oppressione, l’ostilità, la sfiducia reciproche, che possono sfociare nella violenza estrema e che sono comuni a tutte le società, a quelle contemporanee come a quelle sviluppatesi nel corso della storia? Con mia grande sorpresa, la copiosa letteratura che oggi si consacra allo studio del «razzismo» discute del carattere antico o moderno del «fenomeno razzista», delle sue variazioni quantitative e qualitative, ecc., ma non si pone quasi mai questa domanda. Essa tende a considerare la risposta come acquisita, facendo della categoria di «razzismo» uno strumento il cui utilizzo nell’analisi sociologica e politica non pone alcun problema. Si passa direttamente alla discussione delle differenti definizioni, delle teorie concorrenti e dei loro limiti di validità. Alla base di questo atteggiamento è la convinzione che vi sia un fatto incontestabile: da un tempo più o meno lungo, esiste un fenomeno cui è dato il nome di razzismo; le sue manifestazioni sono molteplici; esso si trasforma con il passare del tempo senza tuttavia coincidere con ogni forma di violenza, né con ogni manifestazione di odio collettivo. Ma non sarebbe forse il caso di domandarsi da cosa deriva quest’evidenza?

La nonna di Davide (II)

5

di Giovanni Oliva

Clandestinamente, mi sono già autoinvitato sotto la tavola celeste, imbandita (con ognibendiddio) per gli oppressi, gli sfruttati, i sofferenti, i perseguitati a causa della giustizia, gli emarginati e gli esclusi (con una parola comune: i poveri). Mi accontento delle briciole che cadono a terra. E delle gocce versate.

Prestatemi ascolto. Questa è la storia di Pašana (si legge Pasciana) conosciuta anche come Anna e affettuosamente chiamata dai suoi innumerevoli famigliari Bica (nonna), madre prolifica con una discendenza che già supera il centinaio di persone (fra figli, nipoti e pronipoti sparsi in tutta Europa). Se ne è andata, vecchia di quasi ottant’anni, l’estate dell’anno scorso, all’alba, alla vigilia di ferragosto. Era da tempo malata. Non la vedevo da diversi giorni. La notte prima, a causa di un forte mal di testa, non riuscivo a prender sonno e, fra gli altri pensieri, rimuginavo un po’ di sensi di colpa. Negli ultimi tempi l’avevo trascurata. L’indomani mattina vado al “kampo” (è la parola con cui nella lingua dei romá si chiama l’accampamento) per farle visita. Incontro suo nipote Alexander . “Dov’è Bica?”. “L’ hanno portata all’Ospedale”. “Sta male?” “E’ morta” “Se ne è andata stanotte, ti ha cercato tanto, ieri mi ha fatto telefonare tante volte nel tuo studio, ma tu non c’eri”, mi dice una donna.
Se ne è andata senza ottenere la “pensia” (così chiamava la pensione) tanto attesa e che lei si era convinta le spettasse.

L’impero della vergogna

11

intervista con Jean Ziegler

[Il prossimo 6 giugno si terrà a Roma un vertice speciale della Fao. per l’occasione Il Manifesto ha pubblicato il 23 maggio un’intervista a Jean Ziegler, esperto internazionale dell’ONU; a complemento di questa riporto quest’altra, rilasciata nel 2005 al giornalista Giuseppe Accardo durante la presentazione del suo ultimo libro “L’impero della vergogna” al canale televisivo francese TV5. Mi sembra scavi molto di più nei problemi e sia comunque assai attuale, l’unico aggiornamento che richiede è quello di sostituire al nome di Sharon quello di Olmert, a.s.]

(Traduzione dal testo francese di Manuel Antonini)

D. Il suo libro si intitola L’impero della vergogna. Qual è questo impero? Perché “della vergogna”? Qual è questa vergogna?

Nelle favelas del nord del Brasile, capita alle madri, la sera, di mettere dell’acqua nella pentola e di infilarci delle pietre. Ai loro figli che piangono per la fame, spiegano che “presto la cena sarà pronta…”, sperando che nel frattempo i ragazzi si addormentino.
Provi a misurare la vergogna provata da una madre davanti ai suoi figli vittime della fame e che lei è incapace di nutrire.
L’ordine omicida del mondo – che uccide attraverso la fame e l’epidemia 100.000 persone al giorno – non provoca solamente la vergogna tra le sue vittime, ma anche fra di noi, occidentali, bianchi, dominatori, che siamo i complici di questa ecatombe, coscienti, informati e, tuttavia, silenziosi, vigliacchi e paralizzati.

Il potere degli incubi e la politica della paura. Un documentario di Adam Curtis

0

[googlevideo:http://video.google.com/videoplay?docid=-5272802791005405759]

Prima parte: “Baby It’s Cold Outside”
59 minuti, in inglese, trascrizione, schermo pieno.

L’anonimato, gli alcolisti e la rete Tor

6

di Bruce Schneier

Come dice il nome stesso, gli incontri degli Alcolisti Anonimi sono anonimi. Non occorre firmare nulla, né mostrare un documento d’identità, e nemmeno rivelare il proprio vero nome. Ma gli incontri non sono privati. Chiunque può parteciparvi. E chiunque è libero di riconoscervi: dal viso, dalla voce, dalle storie che raccontate. L’anonimato non vuol dire privacy.

Ciò è ovvio e poco interessante, ma molti sembrano dimenticarsene quando utilizzano un computer. Pensano “è sicuro” e si dimenticano che “sicuro” può voler significare molte cose diverse.

Blu Organico

11

di Maria Valente

(Questo è un testo audiovisivo: pregasi ascoltare.)

per urti oculari si trasmette l’aggressività degli specchi
tra il muro e lo specchio: il corpo sottratto
so che non è avvenuto altro che un gioco
e mi tengo a questa coscienza e la osservo
che si sviluppa più rapida di un geranio
tutta piena di finte e rapine

tanto guardano sempre da un’altra parte
con la fragilità di una pellicola

l’occhio è un’apprensione della luce