di Federico Lenzi
La cucina economica nera, piena di carbone e di legna, brilla come una zucca illuminata. Gli sbattiuova ronzano, i cucchiai girano e girano intorno alle scodelle di burro e zucchero, la vaniglia addolcisce l’aria, lo zenzero la rende piccante; odori di cottura, morbidi e stuzzicanti, saturano la cucina, si diffondono per la casa, si allargano nel mondo con gli sbuffi di fumo del camino.
Truman Capote, da Un ricordo di Natale
Quando ero piccolo la casa dei nonni è stata per me una scuola di odori. Ero alto come il tavolo della cucina di Siena o di Chiusdino, e forse proprio le dimensioni contenute mi permettevano di curiosare tra i fornelli senza essere ripreso. Mi ricordo mio nonno e mia nonna, una ditta gastronomica che si attivava dalle prime ore del mattino. Nonno Guido si era costruito la fama di esperto di cibarie, e così mi portava con lui a cercare spigole e tartufi, ma anche cose più banali, come le bombolette di seltz dal Mancini in Piazza del Campo. Quel distributore dell’acqua di seltz rosso fiammante ha allietato non poco le mie inestinguibili seti estive. Mio babbo diceva che al nonno appiccicavano il pesce vecchio, ma ai miei occhi di bambino la sua infallibilità di gastronomo incallito sembrava inevitabile, e del nonno mi fidavo come ci si fida dei grandi, quando si è piccoli.








