di Giovanni Oliva
Clandestinamente, mi sono già autoinvitato sotto la tavola celeste, imbandita (con ognibendiddio) per gli oppressi, gli sfruttati, i sofferenti, i perseguitati a causa della giustizia, gli emarginati e gli esclusi (con una parola comune: i poveri). Mi accontento delle briciole che cadono a terra. E delle gocce versate.
Prestatemi ascolto. Questa è la storia di Pašana (si legge Pasciana) conosciuta anche come Anna e affettuosamente chiamata dai suoi innumerevoli famigliari Bica (nonna), madre prolifica con una discendenza che già supera il centinaio di persone (fra figli, nipoti e pronipoti sparsi in tutta Europa). Se ne è andata, vecchia di quasi ottant’anni, l’estate dell’anno scorso, all’alba, alla vigilia di ferragosto. Era da tempo malata. Non la vedevo da diversi giorni. La notte prima, a causa di un forte mal di testa, non riuscivo a prender sonno e, fra gli altri pensieri, rimuginavo un po’ di sensi di colpa. Negli ultimi tempi l’avevo trascurata. L’indomani mattina vado al “kampo” (è la parola con cui nella lingua dei romá si chiama l’accampamento) per farle visita. Incontro suo nipote Alexander . “Dov’è Bica?”. “L’ hanno portata all’Ospedale”. “Sta male?” “E’ morta” “Se ne è andata stanotte, ti ha cercato tanto, ieri mi ha fatto telefonare tante volte nel tuo studio, ma tu non c’eri”, mi dice una donna.
Se ne è andata senza ottenere la “pensia” (così chiamava la pensione) tanto attesa e che lei si era convinta le spettasse.






