Giuseppe Caliceti intervista Silvia Ballestra
Con Tutto su mia nonna, da pochi giorni nelle librerie per Einaudi Stile Libero, Silvia Ballestra si riconferma, se mai ce ne fosse ancora bisogno, come una delle (giovani) scrittrici italiane più acute e divertenti di oggi. Autrice di culto per le nuove generazioni, fu scoperta da Pier Vittorio Tondelli. In questo nuovo divertente romanzo familiare al femminile, non rinuncia a un‚attenzione estrema a una lingua letteraria coloratissima che tiene sempre d‚occhio la lingua orale, mostrando una grande felicità espressiva. Nel libro parla di sé, di sua madre e soprattutto di sua nonna. Le abbiamo fatto alcune domande.
Un libro al femminile, ma molto spassoso. Una rarità, non credi?
Sì. Non so perché il genere saga familiare è sempre imperniato sul dolore, il sacrificio, i drammi. E comunque, in generale, mi sembra che in questo Paese ironia, autoironia e, diciamolo pure, comico, non vengano frequentati né spesso né volentieri. In questi anni, nel mondo, grande è la paura, grandi sono le paranoie, e non mi dispiaceva pensare di far divertire qualcuno, far passare un paio d’ore di spasso.

Di Biagio Cepollaro







L’ultimo numero di 

Leonardo ha più di 30 anni e dirige una piccola e agguerrita casa editrice.
L’idea di portare a termine un antico progetto, la scrittura di una novella sulla figura di San Giuliano l’Ospitaliere, venne a Flaubert proprio mentre attraversava uno dei periodi più bui e cupi della sua esistenza: la causa prima di questa disperazione (curiosa coincidenza con ciò che era accaduto, pochi anni prima, a Beethoven con il famoso nipote Karl) stava nella difficilissima situazione finanziaria di una sua nipote, verso la quale lo scrittore nutriva un trasporto affettivo persino eccessivo, transfert ricorrente in chi devia e surroga la paura/desiderio di paternità, indirizzandola verso un membro prediletto della propria tribù d’appartenenza.
In questo periodo mi viene di pensare spesso alla distinzione tra esserci ed essere sviluppata in modi diversi, tra gli altri, da Heidegger e da Sartre (che non sono nemmeno filosofi miei, ma che importa?). Ecco quella trascendenza dell’ente di cui parla Heiddegger, o la progettualità (la libertà ontologica che sbocca in progetti e in valori, in vie d’uscita) di cui parla Sartre mi sembrano mostruosamente compresse dall’imponenza granitica di quel che c’è. E’ come se tutti dicessero: non ci sono vie d’uscita; è come se ogni comportamento ribadisse che c’è un solo grande corso che si governa da sé. A ognuno di noi non resta altro che schiodare la rosa del futuro dalla croce del presente, ritagliarsi un giardinetto fiorito perché non sia mancata la festa, com’è giusto. La mostruosa bolla di idolatria scoppiata con la morte di Wojtyla e con gli assurdi festeggiamenti di massa per un nuovo papa retrivo e arroccato nella difesa di cose morte, mi sembra l’epifenomeno di un segno di impotenza collettiva, una totale perdita del senso di trascendenza dell’ente. Un’impotenza a cui non deve essere estraneo quel dislivello prometeico patito dagli esseri umani rispetto a un mondo supertecnicizzato incontrollabile e sproporzionato nell’offerta di cui parlava una quarantina d’anni fa il filosofo Gunther Anders.