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Vsevolod Ėmil’evič Mejerchol’d [28 gennaio 1874 – 2 febbraio 1940(?)]: LA MORTE È MEGLIO DI TUTTO QUESTO

 

Dmitrij Dmitrievič Šostakovič [1906-1975]
Piccola Polka
da Suite per orchestra jazz n. 1 op. 38b [1934]

 


2 gennaio 1940

Quando gli inquirenti cominciarono ad applicare nei riguardi di me, inquisito, i loro metodi di azione fisica, aggiungendo ad essi il cosiddetto “attacco psicologico”, l’una e l’altra cosa provocarono in me un terrore così mostruoso da mettere la mia natura a nudo fino alle radici. I miei tessuti nervosi si dimostrarono vicinissimi al rivestimento cutaneo e la pelle si dimostrò delicata e sensibile come quella di un bambino; gli occhi furono capaci (dato il dolore fisico e il dolore morale per me intollerabile) di versare lacrime a fiotti. Mentre ero disteso sul pavimento a faccia in giù, scoprivo in me la capacità di dimenarmi e di contorcermi e di strillare come un cane bastonato dal suo padrone. Il secondino, che una volta mi conduceva indietro da un simile interrogatorio, mi chiese: “Non avrai mica la malaria?” tanto il mio corpo dimostrava la capacità di essere preso da un tremito nervoso. Quando mi sdraiai sulla branda e mi addormentai per andare poi di nuovo dopo un’ora a un interrogatorio che prima era durato 18 ore, mi svegliai, destato dal mio gemito e dal fatto che sobbalzavo sul letto come fanno i malati in delirio. La paura provoca il terrore, e il terrore spinge all’autodifesa. “La morte (o, certo!), la morte è meglio di tutto questo!”, dice tra se l’inquisito. Lo dissi tra me anch’io. E cominciai ad autoaccusarmi nella speranza che così facendo sarei finito al patibolo. E così è successo che sull’ultimo foglio dell'”incartamento” n. 537 sono apparse le terribili cifre dei paragrafi del codice criminale: 58, i punti 1a e 2. Vjaceslav Michajlovic [Molotov]! Lei conosce i miei difetti (ricorda che un giorno mi disse: “Lei cerca sempre di fare l’originale?!”), e chi conosce i difetti di un altro lo conosce meglio di chi ne ammira le virtù. Mi dica: può Lei credere che io sia un traditore della patria (un nemico del popolo), che io sia una spia, un membro di un’organizzazione trozkista di destra, un controrivoluzionario, che nella mia arte abbia fatto propaganda al trozkismo, che nel teatro abbia svolto (consapevolmente) un’attività ostile per minare le basi dell’arte sovietica? Tutto ciò è presente nell’incartamento n.537. Così come la parola “formalista” (nel campo dell’arte) divenne sinonimo di “trozkista”. Nell’incartamento n. 537 sono presenti i trozkisti: io, Il’ja Ehrenburg, Boris Pasternak, Jurij Oleša (quest’ultimo è pure terrorista), Šostakovic, Šebalin, Ochlopkov e così via.

 
Nota dal 2 gennaio 1940

Qui mi hanno picchiato – un vecchio malato di sessantasei anni. Mi mettevano con la faccia in giù, picchiavano con un cordone di gomma sui talloni e sulla schiena; quando io stavo seduto sulla sedia, con la stessa gomma mi picchiavano sulle gambe (dall’alto, con molta forza) e ancora dalle ginocchia fino alle parti superiori. Nei giorni successivi, quando queste parti del corpo erano invase dall’ampia emorragia interna, ancora picchiavano su queste ecchimosi con lo stesso cordone, e il dolore era tale, che, sembrava, che sulle parti ferite e sensibili delle gambe versassero l’acqua bollente (ed io urlavo e piangevo dal dolore). Mi hanno picchiato con questo cordone sulla schiena, sul viso, con slancio dall’alto…

 
13 gennaio 1940
Prigione di Butyrka

Il fatto, che io non abbia resistito, dopo aver perso qualsiasi autocontrollo, trovandomi nello stato di coscienza annebbiata, è stato rinforzato da un’altra causa terribile: immediatamente dopo l’arresto (20 giugno 1939) di me si è impossessata un’idea fissa che mi ha immerso nella peggiore depressione e cioè “vuol dire che alla causa serve così”. Comincia a convincermi che al Governo è sembrato che la punizione già applicata nei miei confronti (come la chiusura del teatro, lo scioglimento del collettivo, la requisizione dell’edificio che si stava costruendo, secondo il mio progetto, della nuova sede del teatro sulla piazza Majakovskij), la punizione, dovuta ai miei peccati denunciati dalla tribuna della Prima Sessione del Soviet Supremo, sia insufficiente, e che quindi io debba sopportare un’altra punizione, quella che adesso mi stanno applicando gli organi della NKVD. “Vuol dire che alla causa serve così” continuavo a ripetermi e di conseguenza il mio “io” si è spaccato in due persone. La prima si mise a cercare i delitti della seconda e quando non li trovava, si decise di inventarli. L’inquirente risultò un aiutante esperto ed efficiente in questa ricerca, e noi iniziammo a inventarli insieme, uniti… L’inquirente continuava a ripetere in modo minaccioso: “se non scriverai (il che significa inventare!), ti picchieremo di nuovo, lasceremo intatte soltanto la testa e la mano destra, tutto il resto lo trasformeremo in un pezzo di corpo informe, dilaniato, insanguinato”. Io ho firmato tutto fino al 16 novembre 1939. Io rifiuto queste deposizioni in quanto mi sono state estorte, e scongiuro Lei, Capo del Governo, mi salvi, mi restituisca la libertà. Amo la mia patria e ad essa darò tutte le mie energie degli ultimi anni della mia vita.

 

Vsevolod Mejerchold

 

[ Traduzione di Clara Strada Janovic, “Corriere della sera“, 11 giugno 1998, ripreso dal giornale “Sovetskaja cultura,” 16 febbraio 1989 (con alcune integrazioni) ]

 

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[ Vsevolod Emil’evič Mejerchol’d – piccolo padre del moderno teatro di regia – un nuovo tipo di lavoro sull’attore che trasvola il naturalismo ottocentesco ed anche lo psicologismo di Stanislavskij – già nel 1906 rivoluziona le convenzioni teatrali – elimina il sipario – passerelle collegano palcoscenico e pubblico – ruolo attivo dell’attore che da mattatore ottocentesco diventa parte del disegno collettivo – primitivismo dei gesti – scenografie non naturalistiche – collaborazione con gli artisti contemporanei – Rodčenko – Malevič – coinvolgimento del pubblico – eliminazione della “quarta parete” – gli attori si mescolano al pubblico – teatro a 360° – importanza della scenografia dal punto di vista simbolico e non naturalistico – lavoro sull’attore come lavoro sul corpo nello spazio – improvvisazione – uso di tecniche circensi – del teatro Kabuki&Commedia dell’Arte – rielaborazione e lavoro sul testo che viene ogni volta reinventato e smembrato – uso della musica come elemento di clima – di sogno – di scansione temporale – collaborazione con il musicista Šostakovič – il teatro come teatro politico ma non in senso propagandistico – arrestato e fucilato come “nemico del popolo” – non restò di lui nemmeno tomba dove portare un fiore ]

 

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Ripellino-Il trucco e l'anima

[ clicca sull’immagine per ingrandirla ]

 
[ A. M Ripellino – Il Trucco E L’anima. I maestri della regia nel teatro russo del novecento, Einaudi, 1965, pag 409 ]

 

[Piccola Polka da Shostakovich: Jazz & Ballet Suites; Film Music
Theodore Kuchar dirige la National Symphony Orchestra of Ukraine
Audio CD (January 25, 2005)
SPARS Code: DDD
Number of Discs: 3
Label: Brilliant Classics
ASIN: B00067GL5A]

 

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9 Commenti

  1. Lettere strazianti.
    Mi viene in mente la Achmatova, quelle donne in fila a chiedere notizie dei loro congiunti e quel ” Diciasette mesi che grido/ ti chiamo a casa./
    Erano versi per il figlio, scomparso anche lui in una prigione.
    “E non riesco a comprendere, / chi è una belva chi è un uomo/.
    (Requiem, 1939)

  2. “se non scriverai (il che significa inventare!), ti picchieremo di nuovo, lasceremo intatte soltanto la testa e la mano destra, tutto il resto lo trasformeremo in un pezzo di corpo informe, dilaniato, insanguinato”

    a parte la composizione grafica che come al solito riane per me di struggente bellezza e nel contempo di struggente nostalgia per tutto quello che etere e web non è, le lettere solo laceranti e luminose. squarciate.

    evvai orsola (aleph).
    chi

  3. La tensione suprema dell’irriducibile … Sublime e terribile allo stesso tempo: torturato e ucciso dal comunismo costituito eppure tenacemente comunista. Era già grande per l’invenzione della Biomeccanica, rinnovamento radicale dell’arte dell’attore; ed è ancora più grande per questa sua consapevolezza tragica. Ah, quanto al di là dell’odierno precipitare nella dimenticanza!

    ng

  4. Testo duro, che fa male nel corpo, si sente il dolore fisico, i colpi.
    la lettere mette anche tu a nudo. Vedo le lacrime, sento la pelle delicata, e posso solo immaginare una carezza fitizzia per addomesticare il terrore che mi prende, quando penso che un essere umano puo umiliare, torturare un altro.
    Non riuscio a capire, solo immaginare che il testo è un omaggio, una carezza dolce, spero che raggiunga tutti che hanno sofferto.

  5. IL VERO MESTIERE E’ VIVERE
    La morte certo non è nuova, nella cultura russa. E dopo il trauma benefico e devastante del tolstojano Ivan Il’ic, primo a parlare senza schermi d’omissione degli orrori fisici della malattia e della morte, appunto, essa ha formalizzato un inquietante connubio con la letteratura. Non più solo tema, ma asse portante dell’esistenza, come sottolinea Salamov – riandando ai processi degli anni ’30 del secolo scorso-, essa si apparenta gradualmente all’invenzione creativa dell’artista:

    I chimici e i fisici – così si chiamavano le due scuole di
    pensiero della fase istruttoria. I fisici erano quelli che
    erigevano a pietra angolare dell’istruttoria l’azione
    puramente fisica, poichè vedevano nelle percosse il
    metodo per disvelare il principio morale del mondo.
    Disvelare nel profondo l’essenza della natura umana –
    e come risultava vile e insignificante questa essenza!
    Con le percosse non solo si poteva ottenere qualsiasi
    deposizione. Sotto il bastone, si creava, la scienza
    progrediva, si componevano versi, romanzi.

    [V. Salamov, “Il bouquiniste”, ne “I racconti di Kolyma”, a cura di I. Sirotinskaja, trad. di S. Rapetti, Torino 1999, 2vv., v. I, p. 419. A p. 417 il titolo di questo commento]

    E’ la menzogna per la menzogna, l’arte per l’arte. Come l’iperbole gogoliana, questa morte creatrice ha bisogno di acquisire estensione materiale, di farsi carne. La gigantesca finzione inghiotte tutto – persone, avvenimenti, spazio e tempo. Si inserisce nella narrazione come agente principale dell’assurdo che regna nel mondo. E’ l’universo del “Revisore” di Gogol’, che Mejerchol’d aveva messo in scena nel 1926: spettacolo già colmo d’ira, aggressivo, con cui Mejerchol’d non offre rassicurazioni nè alibi, per esibire sconciamente una tanatomorfosi attuale, la decomposizione in corso della società sovietica: impossibile la sepoltura, il pianto consolatorio. Per esibire, su un tessuto di sbandamenti nervosi e di visioni enigmatiche, il fascino furibondo e cimiteriale dell’inanimato, il gusto di epifanie di poveri corpi imbambolati e fragili. Come sarà del suo, sotto i colpi dei carnefici. Come era stato di Gogol’:

    Il povero corpo fu sottoposto a un trattamento brutale.
    Anticipando i metodi di Charcot, nell’intento di curare la
    salute mentale prima di quella del corpo, il dottor Auvers
    (o Hovert) fece tuffare il malato in un bagno caldo, mentre
    gli si inondava la testa di acqua fredda, dopo di che fu messo
    a letto con una mezza dozzina di sanguisughe grosse aggan-
    ciate al naso. Aveva dato gemiti, pianto e lottato quando il
    miserabile corpo era stato deposto nella profonda vasca di
    legno. Rabbrividiva nudo sul letto e supplicava che gli toglies-
    sero le sanguisughe che pendevano dal naso, entrandogli nella
    bocca. Fece, come narra un testimonio, vani tentativi il moren-
    te, per liberarsi dagli immondi ammassi neri di sanguisughe
    che gli succhiavano il sangue dalle narici.

    [A. M. Ripellino, “L’arte della fuga”, intr. e cura di R. Giuliani, Napoli 1987, p. 305. Per lo spettacolo si veda Vs. E. Mejerchol’d, “Il revisore”,
    a cura e con un saggio di A. Tellini, Vibo Valentia 1997]

    Ma – d’altronde siamo partiti da qui -, dai tempi di Gogol’ la morte, artista sui generis, si era notevolmente scaltrita. Suo compito, adesso, era organizzare la vita in nuove forme ancora inedite, sottoporla a un esperimento artistico di inaudite proporzioni: nientedimeno che la creazione dell’uomo nuovo, ovvero la distruzione del mondo così com’è, vincendone la resistenza, rendendolo malleabile, plastico. Anche qui, in certo modo, è il trionfo della letteratura, nelle vesti di un nuovo discorso magico al di là dei limiti del consueto linguaggio “razionale” – un discorso estensibile e totipotente. Con l’articolo 58 la morte creatrice trova davvero la sua incarnazione con i mezzi dell’arte:

    Un paradosso: UN SOLO ARTICOLO dei centoquarantotto
    della sezione particolare del Codice penale dell’anno 1926
    ha dato impulso a tutta la pluriennale attività degli Organi
    eternamente vigili e ovunque presenti. In lode di questo
    articolo si potrebbero trovare epiteti più numerosi di quanti
    ne avesse trovati una volta Turgenev per la lingua russa o
    Nekrasov per la Madre Russia: grande, possente, abbondan-
    te, ramificato, vario, universale Cinquantotto, che esaurisce
    il mondo neanche tanto nelle formulazioni dei suoi punti
    quanto nella loro interpretazione latissima e dialettica.

    [A. Solzenicyn, “Arcipelago Gulag”, trad. di M. Olsufieva, Milano 1974, 2 vv., v. II, p. 75]

  6. ““Vuol dire che alla causa serve così” continuavo a ripetermi e di conseguenza il mio “io” si è spaccato in due persone. La prima si mise a cercare i delitti della seconda e quando non li trovava, si decise di inventarli.”

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,\\' Nasce [ in un giorno di rose e bandiere ] Scrive. [ con molta calma ] Nulla ha maggior fascino dei documenti antichi sepolti per centinaia d’anni negli archivi. Nella corrispondenza epistolare, negli scritti vergati tanto tempo addietro, forse, sono le sole voci che da evi lontani possono tornare a farsi vive, a parlare, più di ogni altra cosa, più di ogni racconto. Perché ciò ch’era in loro, la sostanza segreta e cristallina dell’umano è anche e ancora profondamente sepolta in noi nell’oggi. E nulla più della verità agogna alla finzione dell’immaginazione, all’intuizione, che ne estragga frammenti di visioni. Il pensiero cammina a ritroso lungo le parole scritte nel momento in cui i fatti avvenivano, accendendosi di supposizioni, di scene probabilmente accadute. Le immagini traboccano di suggestioni sempre diverse, di particolari inquieti che accendono percorsi non lineari, come se nel passato ci fossero scordati sprazzi di futuro anteriore ancora da decodificare, ansiosi di essere narrati. Cosa avrà provato… che cosa avrà detto… avrà sofferto… pensato. Si affollano fatti ancora in cerca di un palcoscenico, di dialoghi, luoghi e personaggi che tornano in rilievo dalla carta muta, miracolosamente, per piccoli indizi e molliche di Pollicino nel bosco.
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