Dove tornano i mondi immaginari

Francesca Matteoni

“Ci aiuta a vedere il mondo reale/ visualizzare un mondo fantastico” ha scritto il poeta americano Wallace Stevens. Il mondo fantastico in cui ci spingiamo ha un rapporto di prossimità con il nostro contingente, avviene in quel luogo dove l’altrove, preconizzato più che manifesto, si incontra con la comune quotidianità – il noto si confonde con l’ignoto, in una zona di confine che non separa affatto, ma si lascia più volte attraversare.
Su questi margini nascono, si addensano le storie.
Su questa vaga frontiera un piede è ben saldo nell’ordinario, l’altro si avventura in una terra interiore. Quale dei due terreni è più stabile, più reale? Ogni nuovo viaggiatore avrà al riguardo la sua opinione. Noi preferiamo indugiare ancora un poco in quello spazio marginale che definisce l’attesa. Attendiamo di addentrarci o di uscire dal bosco. Il rintocco della mezzanotte o un passo straniero. Un animale che ci guidi nell’intrico dei roveti o sulla gigantesca superficie del mare.

Della sostanza di questa attesa sono fatte le fiabe. La loro ricchezza di situazioni magiche, straordinarie e al tempo stesso l’indeterminatezza dei loro scenari ridotti ai nomi comuni – la foresta, il villaggio, il palazzo del re – ne fanno perfetta materia simbolica, esemplificativa di un viaggio esperienziale. Così le fiabe restano nell’immaginario collettivo, anche se non le abbiamo lette, se nessuno ce le ha raccontate da bambini o abbiamo un’idea approssimativa di chi siano Basile, Perrault, i Grimm, Andersen o Afanasev, per citare i più importanti tra gli autori delle fiabe letterarie. Permangono non tanto per la loro presunta antica origine orale, questione tanto dubbia quanto dibattuta in campo accademico (1), quanto per la loro capacità di riprodursi da almeno due secoli, trasformandosi fin nella contemporaneità. Che elementi di variegate tradizioni orali sopravvivano congiunti al genio e all’inventiva letteraria degli autori, è in questo senso secondario rispetto all’impatto sulla sensibilità, la fantasia e perfino la memoria di chi nuovamente le incontra. Una fiaba ci immerge in un mondo familiare, improvvisamente ostile o meraviglioso, chiede al suo lettore di guardare sempre un po’ oltre e molto dappresso, qualsiasi cosa accada – di abbeverarsi alla fonte della propria speranza.

Convinta di questo e da sempre innamorata dell’universo fiabico ho deciso, nell’anno che celebra il bicentenario di quel primo volume di ottantasei fiabe a firma dei Fratelli Grimm, di coinvolgere scrittori e blogger in un esperimento online, aprendo, circa un anno fa, il blog FIABE (2) e chiedendo ad ognuno di ripercorrere tramite l’esperienza personale una fiaba, classica o proveniente dalla tradizione locale. L’esperimento non è nuovo: nel 1998 esce Mirror, Mirror on the Wall: Women Writers Explore Their Favorite Fairy Tales, curato dalla scrittrice Kate Bernheimer, in cui note scrittrici come A.S. Byatt, Margaret Atwood o Joyce Carol Oates, tornano sui sentieri delle loro fiabe preferite. Ero tuttavia molto curiosa di vederne i risultati in ambito italiano, dove la fiaba è meno frequentata rispetto a contesti nordeuropei o americani, e, soprattutto, rivolgendomi ad autori nati grossomodo tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta – un arco generazionale più a contatto con la disneyficazione del fiabesco, o con la sua diffusione tramite altri media diversi dal libro, come le audiocassette Fabbri delle Fiabe Sonore.

Sono arrivati così I musicanti di Brema, vecchi animali malandati, non voluti eppure ancora con una loro sorte bizzarra da assolvere o fallire, traslocati in una biblioteca di paese nell’Appennino tosco-emiliano di Azzurra D’Agostino; la pericolosità e il richiamo del desiderio, dell’essere altro da sé e in questo smarrirsi, nelle Scarpette rosse di Marilena Renda; una Cenerentola non più sottomessa, ma liberata nella lettura vendicativa di Marco Simonelli, che rende alla fiaba la sua giusta crudeltà; la Cappuccetto Rosso gioiosa di Renata Morresi, che si ribella in fuga da tutte le esistenze, le punizioni e le assoluzioni che le sono state attribuite; il conflitto femminile, ma sotto il patronato maschile da cui non c’è scampo, che volge inevitabilmente una donna nella sua rivale, della Biancaneve di Cristina Babino; la sopravvivenza e l’affermazione individuale, attraverso mascheramenti che la portano dall’umiliazione al riscatto, della Pelle d’Asino di Francesca Bertazzoni; il sonno protettivo, epifanico della Rosaspina chiusa in un bosco di rovi, come in una camera infantile, di Franca Mancinelli; la Raperonzolo sapiente e selvatica di Patrizia Dughero in cui si riflettono altre donne fantastiche, da Melusina alle Agane dell’Italia nord-orientale. E ancora il mistero dell’altro bestiale in cui si riconosce la Bella di Mariasole Ariot, disarmata, più che guidata, dalla figura paterna; il disvelamento di tutte le apparenze e il perdurare del mistero, in ciò che del reale si percepisce, ne Il guardiano dei porci di Viviana Scarinci; una fiaba segreta di luce e ignoranza, nel gelo nudo de La chiave d’oro di Tiziana Cera Rosco; o la vicenda de Il tenace soldatino di stagno di Mariagiorgia Ulbar, soldato vero stavolta, che si ripara dalla follia della guerra nella scrittura di un diario. Gianni Montieri e Lidia Riviello si confrontano con la leggenda del Pifferaio magico, portata nel nostro più immediato e cogente contesto attuale, concentrandosi l’uno sulla prospettiva dei bambini, qui piuttosto adolescenti inquieti, e sulla musica perduta, così come sulla dimensione sognante dell’infanzia; l’altra sulle bugie e gli inganni sciagurati del sindaco della città-paese, che caccia da sé la gioventù e quindi la possibilità di cambiare, diventare migliori perfino. C’è anche chi ha scelto fiabe meno note al grande pubblico, mutuate dalla tradizione popolare italiana: così Chiara Catapano spedisce tre cartoline da Sassolungo, vetta delle Dolomiti che si confonde nella fisionomia di un gigante ladro e bugiardo; mentre Vanni Santoni si cimenta con le variazioni orali e la censura subita in ambito familiare dalla Capra ferrata, spauracchio rimesso in riga da un uccellino linguacciuto. Non fiaba, ma ricca di elementi fiabeschi e assimilata, al pari di altre avventure per l’infanzia, dall’immaginazione occidentale come qualcosa che è “sempre stato lì”, incontriamo anche la Dorothy de Il mago di Oz, rapita o tratta in salvo dalle scimmie volanti nel racconto di Paolo Triulzi. Infine due celebri gatti che diventano a loro modo la parte migliore dell’umano: la partenopea Gatta Cenerentola, che si mescola al ricordo infantile di Giovanni De Feo dell’amore per “l’altro” animale, più caro nella sua pelliccia che non nell’abito sociale della famosa ragazza coperta di cenere prima, di ricchezze poi; e la scaltrezza de Il gatto con gli stivali di Vincenzo Bagnoli, maestro dell’invenzione di sé, rocambolesca, rischiosa, temeraria, che permette il ribaltamento ironico del mondo come dei destini – permette al futuro di dover essere ancora sognato.

Le vie fantastiche del blog si sono incrociate con il laboratorio di poesia condotto da Elisa Biagini proprio attorno ad una fiaba dei fratelli Grimm, Hänsel e Gretel, cui io stessa ho dedicato il mio scritto. Per due giorni i dieci partecipanti hanno accettato di perdersi nel bosco come i due bambini, recuperando indizi, la strada di casa, in forma di tracce poetiche, qui incluse nella sezione finale.

Oggi le fiabe fino ad ora raccolte diventano un piccolo libro, un talismano per ripensarci bambini, tornare a quel primo afflato, slancio verso le cose, consapevoli del tremendo che ci circonda come della sorpresa, capaci soprattutto di immaginare il passo successivo, fuori dalla foresta, dal castello, dalla pelle malconcia, dagli stivali vecchi, dalla cenere, dal tornado, dalla neve, dal naufragio, dalle calzature strette, dalla montagna, dal cumulo di neve, dalla stia, dalla lingua attorcigliata – a casa.

Note
1) Si vedano ad esempio i libri di Ruth Bottigheimer, Fairy Tales. A New History (State University of New York, 2009) e il più recente di Willem de Blécourt, Tales of magic, tales in print. On the genealogy of fairy tales and the Brothers Grimm (Manchester University Press, 2012).
2) http://fiabesca.blogspot.com

 

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Di là dal bosco. Andata e ritorno nel paese delle fiabe. A cura di Francesca Matteoni. Dot.com Press / Le Voci della Luna: Sasso Marconi (BO), 2012.

 

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renata morresi
Renata Morresi scrive poesia e saggistica, e traduce. In poesia ha pubblicato le raccolte Terzo paesaggio (Aragno, 2019), Bagnanti (Perrone 2013), La signora W. (Camera verde 2013), Cuore comune (peQuod 2010); altri testi sono apparsi su antologie e riviste, anche in traduzione inglese, francese e spagnola. Nel 2014 ha vinto il premio Marazza per la prima traduzione italiana di Rachel Blau DuPlessis (Dieci bozze, Vydia 2012) e nel 2015 il premio del Ministero dei Beni Culturali per la traduzione di poeti americani moderni e post-moderni. Cura la collana di poesia “Lacustrine” per Arcipelago Itaca Edizioni. E' ricercatrice di letteratura anglo-americana all'università di Padova.
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