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Zona Rossa

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di Alessandro Chiappanuvoli

Avete presente una di quelle serate in cui siete talmente fuori che il giorno dopo ricordate un decimo di quello che avete fatto? Quelle serate in cui vivete d’improvvisi flash che s’incastrano a fatica tra le immagini velocizzate della mente? Flash nei quali per un attimo appena recuperate coscienza di voi stessi e realizzate, cazzo realizzate che state vivendo uno dei momenti che vorreste ricordare per sempre nella vostra vita e gioite e i polmoni si riempiono di aria buona e vi sentite di esplodere, ma ce la fate a malapena ad accennare un sorriso ebete? So che avete presente di quali sere sto parlando. Per me ieri sera è condensato nell’immagine delle mie mani che si strusciano tra loro nel mezzo dei suoi seni.

LINNIO ACCORRONI “ricci

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Crimini di pace 1.7 Istrice 1.1 Prima della curva, sparpagliati per terra, tanti aghi bianchi e neri, lunghi e scomposti.

L’invisibile e l’astratto

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(19 marzo 2002)

di Jacopo Galimberti

Chissà cosa dicono oggi, chissà
i 40.000 quadri Fiat che nell’80 a Torino
con un silenzio pio rimbeccavano
il casino operaio. Forse sono le nonnine generose
o i padri pazzi di quei 40.000 laureati
che ogni anno.

Dove leggere un ebook

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Due anni fa ho comprato un dispositivo per leggere ebook (reader, d’ora in poi) e da allora mi sono sentito dire sempre che “Eh, ma ce ne sono ancora pochi in giro, la gente ancora non li compra perché [frase a caso].” Sono stati due anni di letture appassionanti, ed ora mi è venuta voglia di controllare quanti sono i dispositivi su cui qualcuno, magari proprio chi diceva “Eh, ma ancora non siamo pronti…” può leggere un ebook, se vuole. Questa è la mia personale ricognizione, a cui se vuoi puoi contribuire.

un reader piccolo: Bokeen bebook Mini 5"Questo è un Bebook mini, reader piccolo preso due anni fa. Ha lo schermo e-ink, non illuminato e leggibile accanto alla lampada del comodino o sotto l’ombrellone. Lo schermo è di soli 5 pollici in diagonale, di sfondo grigino tipo carta riciclata, buona leggibilità generale. Attualmente contiene qualche centinaio di libri e riviste, nella memoria interna e nella scheda sdhc.

un ottimo ereader: l'Opus Questo a destra è un altro reader di piccole dimensioni, il Cybook Opus di Bookeen, a lungo uno dei migliori lettori in circolazione per prezzo, leggibilità e maneggevolezza. Come il precedente legge numerosi formati tra cui l’epub, che è il principale standard per gli ebook

il Kindle di AmazonAmazon da novembre 2011 vende in Italia il Kindle più semplice della sua linea: piccolo e maneggevole, schermo da 6 pollici molto confortevole e chiaro, ottima resa tipografica, navigazione e lettura facili, veloci, intuitive.

Il suoi pregi più rilevanti sono la grandezza dello schermo, ampio ma tascabile; l’ergonomia e la velocità di sfoglio e navigazione;il negozio Amazon integrato e l’invio di libri via email. Il difetto maggiore è che non legge gli epub ma solo i mobipocket ed il formato proprietario con DRM

Questi qui descritti sono solo alcuni esempi di dispositivi per la lettura di ebook ideali, pensati cioé per leggere nel migliore dei modi, su schermi riposanti e nitidi anche sotto la luce forte del sole, con batterie che durano settimane e una semplice porta USB per caricarci su i libri.

Cosa fare per leggere comunque, approfittando di quel che si ha sottomano? Telefonini e riproduttori di musica hanno spesso un lettore di ebook integrato.

iPod AppleQuelli di marca Apple, come iPod ed iPhone, hanno un buon lettore nativo di libri detto iBooks che si installa tramite l’AppStore. Legge gli epub decentemente, seppure con una interfaccia grafica leziosa che mima l’aspetto di uno scaffale di legno e di un libro di carta, un po’ come le prime automobili mimavano le carrozze, senza cavalli.

iBooks su iPodLa lettura è accettabile considerato il piccolo schermo, il potenziale di lettura è immenso per capacità e maneggevolezza. Essendo degli oggetti chiusi e proprietari, i libri si caricano via rete (per esempio Dropbox) o con il loro software dedicato.

Sempre riguardo iBooks, merita un discorso a parte il tablet iPad su cui iBooks visualizza libri in grande formato. La lettura di ebook su iPad soffre dell’affaticamento visivo dovuto allo schermo luminoso e non ha la maneggevolezza dell’iPhone; va bene per materiali ricchi di immagini e link in rete, ma sul testo puro è un ripiego.

iPadLa reale utilità dell’iPad è per la presentazione di ebook a un pubblico: per chi non ha mai visto un ebook in vita sua la carrozza senza cavalli libreria e le pagine sintetiche di iBooks hanno una grande forza comunicativa, permettono di afferrare ed apprezzare le caratteristiche di un ebook: impaginazione dinamica, navigazione ipertestuale, indici, ricerca a testo libero etc.

Infine si può leggere sul proprio computer:

Calibre è un programma open source per organizzare la propria libreria di ebook, convertirli tra formati e leggerli a schermo; per Windows, OSX e Linux.

Adobe Digital Editions legge e organizza il formato epub, al momento è il visualizzatore standard di questo formato. Per Windows e OSX.

Kindle è anche un software di lettura per Windows, OSX, iPad/iPhone/iPod e Android. Permette di leggere i file proprietari Amazon, mobipocket, e si puà collegare al proprio account Amazon.

Non ho informazioni di prima mano e foto sui telefoni Android, sui telefoni con Windows Phone come il Nokia Lumia, sui palmari più o meno vecchi: se vuoi contribuire nei commenti con informazioni e fotografie sulle tue abitudini di lettura la cosa è assai gradita!

Da “Di fronte al pubblico”

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di Martina Evans

Traduzione di Daniela Sandid

IL RAGAZZO DI DURRAS

Sì, è così, i Tans prendevano i bambini
e tu sai bene perché, no?
Cercavano informazioni.
Ora ti dirò qualcosa in segreto
e qui in giro non troverai nessuno
che te ne parli. No, non aprirebbero bocca.
Nei dintorni di Durras fu preso un ragazzetto.
L’avevano mandato fuori dalla casa.
Direi che aveva appena dodici o tredici anni,
non di più, l’avevano mandato alla bottega per delle commissioni.
E i Tans lo presero, gli dettero un passaggio fino alla bottega.

Incontinental Jazz

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 “Misterioso intrigo Ascoltando Coltrane”

di

Franco Bergoglio

 

Risuonano le note di Misterioso e ogni volta, sollecitato dai trilli di Monk, un ignoto assassino seriale prova il raptus omicida. Salto spazio-temporale: il sassofono di Coltrane si spande nell’aria e un giovane pittore viene sopraffatto dalle premonizioni che porteranno a rivelare (e poi a smascherare, Ça va sans dire) un truce delitto. La musica come “chiave di s/volta” per risolvere due indagini complesse. Ambientazioni diverse, o forse neanche tanto: una Torino rinnovata dopo le Olimpiadi invernali del 2006, ma pur sempre sabaudamente inquietante per “Ascoltando Coltrane”, una Stoccolma avvolta in uno strano anticipo di primavera per “Misterioso”.

Thriller moderni dove il jazz, incurante delle mode, risuona dalla prima pagina all’ultima; fin dal titolo. Due protagonisti diversissimi: in un caso un poliziotto svedese in crisi esistenziale ma duro come quelli americani, di nome Paul Hjelm; nell’altro Pietro Jackson, giovane pittore anglo-torinese, dotato di poteri sensitivi.

Due casi altrettanto diversi: da una parte una serie di omicidi che lasciano prefigurare un intrigo internazionale, un complotto ordito da una  società segreta o forse dalla mafia russa dove sono coinvolti personaggi in vista dell’economia svedese. Dall’altra un giallo tutto cittadino che intreccia i destini della agiata borghesia torinese del centro a quelli della nuova ondata migratoria che ha interessato alcuni quartieri della periferia, con filo conduttore (forse) la droga.

Ovviamente entrambi i romanzi non deludono per suspence e queste premesse portano a un finale rovesciato: il movente più ovvio non spiegherà i delitti…ma la musica darà in ogni caso il suo decisivo contributo alla soluzione del mistero.

E poi la prova finale del legame indissolubile tra i due libri, quasi una chiamata alla correità: Monk e Coltrane, si conoscevano. Testimoni dalla lingua sciolta li hanno ripetutamente visti suonare insieme negli anni Cinquanta. Qualcuno li ha anche registrati, da qualche parte si trovano i dischi.

Basta avere la soffiata per frugare nei luoghi giusti…

 

Documenti del fascicolo top secret:

Arne Dahl,

   Misterioso,

Venezia, Marsilio, 2009

 

    Patrizia Valpiani,

    Ascoltando Coltrane,

Rivoli, Neos Edizioni, 2010.

 

 

 

     Thelonious Monk,

     With John Coltrane,

New York, Riverside, 1957.

 

 

 

 

Thelonious Monk

Quartet with John Coltrane At Carnegie Hall,

1957, New York, Blue Note, 2005.

Institutional Critique

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Si chiama Institutional Criticism la critica delle istituzioni artistiche come pratica artistica, rivolta di solito a musei e gallerie.

I. C. apparve  nei tardi Anni Sessanta, quando gli artisti cominciarono a creare opere in risposta alle istituzioni che acquistavano e esibivano il loro lavoro.

Una piccola tabaccheria. 4

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David Dabydeen

Turner

I dream to be small again, even though
My mother caught me with my fingers
In a panoose jar, and whilst I licked them clean
And reached for more, she came upon me.

Irpinia tumefatta

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di Franco Arminio

Caro Latouche,

quando ero bambino aspettavo con ansia la neve. Ero, come tutti i bambini, desideroso di non andare a scuola. Il mio maestro non era un tipo mite, ma a quei tempi era normale che un maestro maltrattasse i suoi allievi. E allora la neve era una delle poche speranze che avevo, oltre alle malattie, per non andare a scuola. Quando nevicava c’era un altro motivo per cui ero contento. La neve bloccava quel poco di vita motorizzata che c’era nel paese. Mi piaceva che la vita si fermasse, perfino il fatto che andava via la corrente mi dava una certa esultanza, perché con la corrente andava via la modernità. Niente televisione, ma chiacchiere e partite a carte davanti al fuoco.

Machina de mesura daa palla. Mode d’emploi

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di Francesco Forlani
Quando su Anobii legeti de lectrice che vutava Les Fleurs du mal de Baudelaire con una estela seule (dee cinque à ispusizion) pensè tra mico et mico que todo cotest mica se sarebbe averato si l’existeva na machina de mesuraziun de ses capacitad de judicio et de cumpete. E accusì m’enventai de dimandar all’artizan sotocasa, er Francùn, de construir aparecio de strumentaziun de mesuraziun daa palla. Isto aparecio est simples à utilisarse.

Nazifascismo e omosessualità

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di Gianfranco Goretti

Io sono un insegnante di sostegno, lavoro in classi in cui sono inseriti alunni con difficoltà di apprendimento. Anche in virtù di questo vorrei ricordare che il primo grande sterminio nella Germania nazista iniziò nei manicomi psichiatrici, con l’uccisione di 70.000 adulti e bambini disabili, gasati e bruciati. Quindi vorrei porre una domanda: chi è un omosessuale? Ripensate alla storia – del corpo, della sessualità, dell’amore, degli affetti, ma anche alla storia sociale in genere – e vi accorgerete che non esiste una definizione applicabile a tutte le epoche storiche. In altri termini, la persona omosessuale non è “catalogabile”, non è “spiegabile” in base a una sua astorica omosessualità.

MEMORIE DELL’OLOCAUSTO “… è una bellissima aurora!

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di Orsola Puecher

 

Liberazione dei bambini sopravvissuti
Birkenau-Auschwitz 27 gennaio 1945

VIKTOR ULLMAN V. Variazioni
SONATA N.7 22 Agosto 1944

scritta nel ⇨ Campo di Concentramento di Terezin


Or volge l’anno che, consunta, smemorata a tratti, mia madre se n’è andata. La smemoratezza dei vecchi non ha oblio, né dimenticanza: è piena di visioni. La memoria si adegua. Si ricompongono brandelli, si cuciono al presente tasselli di passato, si vela con il non esser più se stessi il se stesso che svanisce, quel che non si vuol riconoscere come proprio del decadere del corpo e della lucidità, e si chiamano a raccolta per la veglia le ombre. Nell’ultima notte inquieta dell’ospedale, crocefissa ai suoi aghi e fili, aveva tanta sete, e con quella sua così lombarda e civile indignazione, quella che le faceva dire noi che abbiano fatto la Resistenza, come fosse un ordine etico invisibile, protestava, la voce ancora alta e ferma. Dottori… infermiere… a un essere umano si dà almeno un goccio d’acqua! Mi dicono Con una garza inumidita solo piccole gocce, mi raccomando. Un nulla per la bocca arsa, ma l’unico gesto di sollievo della sofferenza che si potesse con sollievo fare. Il sollievo breve fra una goccia e l’altra. Aveva molto freddo. Mi chiamava… mamma… Zia Alice… stai qui… dammi la mano… Ero là.
 
Alice Ventura Battaglia, la zia che l’ha allevata e l’ha iscritta alla scuola di Ballo della Scala e poi non è più tornata dal Campo di Concentramento Femminile di Ravensbrück. Morta di consunzione, caricando sabbia sui vagoncini di ferro. Cenere per la palude, per la terribile colpa di aver prestato la sua tessera annonaria alla moglie incinta di un partigiano, per la delazione di chi, allora, per 5000 Lire vendeva anime agli aguzzini. E come avrà vissuto, poi, con l’indegno segreto? Benissimo e assolto.
 
Le ho sempre tenuto le mani. Che belle carezze… che mani calde hai zia Alice… Le scaldo le mani. Belle e morbide dei port de bras aggraziati.
– Zia Alice portami un ago.
– Un ago?
– E del filo… molto filo…
– Che cosa devi cucire?
– Dobbiamo cucire, vieni, tutta questa tela bianca…
   La vedi quanta tela zia Alice?
   Dobbiamo cucirla.
   Tutta.
   Aiutami a infilare l’ago…

 
Poi in questa visione di candore e di punti vicini e regolari si è assopita e se ne andata.
 
Per lei, per essere stata io, nipote e figlia, madre e zia di mia madre, per quei pochi attimi, come fosse tornata l’amata zia perduta, aspettata invano per anni dopo la fine della guerra, per la zia Alice, mai più ritornata, per tutti quelli che hanno sopportato e sopportano questo dolore dell’Olocausto, che pare si trasmetta per una profonda inspiegabile genetica dei sentimenti per generazioni, per questa via matrilineare di sofferenza, son qui anche quest’anno a cucire, ad annodare parole e storie. E sono storie di donne, di adolescenti, di bambine, che, non lo si dimentichi, la popolazione effettiva e attiva dell’universo dei Lager era fatta da persone molto giovani, in età da essere carne da lavoro, sopravvissute spesso solo per la forza residua rimasta di questa gioventù. Le donne anziane, le madri con i bambini in braccio, o per mano, nella spietata selezione all’arrivo dei trasporti venivano subito scartate e destinate all’eliminazione, o soccombevano prestissimo alla durezza delle condizioni di vita e di lavoro. La maggior parte dei bambini venivano eliminati subito, a meno che non fossero destinati a sperimentazioni mediche, soprattutto i gemelli. Alcuni, nella sezione femminile del campo di Birkenau, che erano stati lasciati con le madri, vennero trovati ancora vivi alla liberazione del campo. Braccini con il numero tatuato e occhi di una tristezza senza fondo.
 
Leggendo il libro che raccoglie le testimonianze di tre donne sopravvissute ad Auschwitz Come una rana d’inverno di Daniela Padoan BOMPIANI [2004], si chiarisce molto della sostanziale differenza fra l’esperienza femminile e quella maschile dei Campi. All’inizio della sua testimonianza Giuliana Tedeschi dice:
 

Sono convinta che fisicamente le donne abbiano subito traumi molto superiori a quelli sopportati dagli uomini. Provi a riflettere su una cosa banale, come il fatto di arrivare lì, ad Auschwitz, e perdere subito tutti i capelli, sentire quella macchinetta fredda che le solca il cranio. Credo che un uomo non ne possa rimanere altrettanto scosso. Per me è stato un dramma vedere i capelli in terra. E la nudità poi… Adesso le persone si denudano con molta più facilità, ma allora non era così. Noi ne soffrivamo profondamente. Quando ci hanno stipato nel locale delle docce, tutte nude, non ce n’era una che non tremasse all’idea di trovarsi in quello stato di fronte ad altre donne, figuriamoci poi quando passavano gli ufficiali tedeschi…

 
Un’altro rovello per le donne, per la madri, era la divisione delle famiglie all’arrivo. La separazione dai figli, che sicuramente per un uomo è qualcosa di meno profondamente e visceralmente doloroso, era uno strappo difficile da sopportare.
Ma, insieme a queste maggiori fragilità e vulnerabilità, Giuliana Tedeschi identifica nelle donne una particolare attitudine alla solidarietà reciproca e all’aiuto, alla capacità di comunicare, al bisogno di parlare, che ha fatto sì che, al contrario degli uomini, che allora, per educazione erano sicuramente più chiusi, meno portati a svelare la natura dei loro sentimenti con i compagni, anche in un contesto simile esse trovassero maggiore forza di resistere. Un resistere che era anche un appello alle proprie risorse interiori e intelletuali
 

Soprattutto la musica. Proprio quando lavoravamo alle cave di sabbia, mentre i sorveglianti per un attimo non badavano a noi, disseppellivamo dalla memoria un’aria, una sonata, o le pure voci di Bach. Avevamo la sensazione che tutto dovesse essere scavato a fatica dal nostro interno, proprio come con la pala scavavamo la terra, ma riscoprire in noi quella risonanza di un vita precedente ci dava un’esaltazione commossa. Erano dei concerti irreali, di cui fu testimone solo il grigio cielo di Polonia.
[…]
Sentivamo il bisogno di estraniarci in quel modo, rifugiandoci nella cultura. Era quello che ci teneva vive. La cultura è un’estrema risorsa, perché ti fa vivere.

 
A Giuliana Tedeschi, morta il 26 giugno 2010, a 96 anni, e che rilasciò questa sua testimonianza preziosa nel 2003, fra i molti commossi sentimenti che hanno animato la stesura di questo scritto, va davvero un pensiero di gratitudine. Soprattutto perché per le donne fu difficile parlare e testimoniare la loro esperienza al ritorno. E il farlo in pubblico, nelle scuole, con le interviste, con la scrittura fu una decisione difficile e coraggiosa, che ogni volta rinnovava e riportava vive e devastanti le esperienze vissute. Ma senza la quale ora tutto sarebbe ancora di più dimenticato e rimosso. Per anni parlarono solo gli uomini e le donne tennero tutto dentro di sé. Cercarono attraverso la ricostruzione della loro vita, la famiglia, i figli, un recupero e un riscatto.
 
Così successe a Nonna Lisowskaja [1925 – 2006], russa e non ebrea, le cui memorie sono uscite in America nel 2009, per sua espressa volontà solo due anni dopo la sua morte, e che nascose a suo marito, Henry Bannister, sposato dopo essere emigrata in America nel dopoguerra, e a tutta la sua famiglia il suo tragico passato per quasi cinquant’anni. Lavorando in segreto alla trascrizione e traduzione dei suoi ricordi e dei suoi diari, cominciati all’età di nove anni e scritti in almeno sei lingue, dal russo, allo yiddish, al tedesco.
Una vicenda che dalla nativa Ukraina attraverso mezzo continente e quasi un intero secolo di storia arriva a noi attraverso le sue parole di ragazza, viva e vicina. Come accade per il diario di Anna Frank. Ma mentre le parole di Anna vengono troncate il giorno della scoperta del nascondiglio e dell’arresto. Nonna racconta a fasi alterne tutta la sua storia.
La testimonianza di queste ragazze degli anni quaranta con il loro diario, con tutto il senso e il valore, ora perduto, di segretezza e insieme di confidenza che aveva tenere un diario, penna e carta, ha, anche dal punto di vista letterario, un valore unico, proprio come cosa scritta per non essere letta.
Ne ho tradotto solo una piccola parte, le fatidiche 500 words consentite come massima citazione dalla rigida legge americana sul copyright, ma con un click è facile avere, per esigua cifra, l’intero ebook e viaggiare fra i suoi ricordi della vita di prima, in una magica Grande Madre Russia fra cosacchi, tempeste di neve, samovar fumanti, Natali incantati da Babushka, la mitica nonna materna, comitive di cugini su slitte con i campanelli, corse sui pattini da ghiaccio, profumi di giardini dei ciliegi e biscotti di zenzero e vaniglia, nell’alone della sua calda e colta e sfortunata famiglia. Fino ad arrivare al nascere del regime stalinista e poi all’invasione nazista della Russia con tutte le loro, purtroppo condivise, atrocità, antisemitismo compreso.
Il 7 Agosto 1942, da Konstantinowka in Ukraina sul treno che trasporta lei e la madre Anna in campo di lavoro in Germania, come operaie, schiave e prigioniere, dopo l’invasione nazista della Russia, Nonna Lisowskaja, allora appena diciassettenne, scrive le sue impressioni nel suo diario, che porta sempre con se nascosto in sacchetto di stoffa, legato in in vita sotto i vestiti.
 

1935 ultimo ritratto di famiglia
Anatoly, Nonna, la madre Anna e il padre Yevgeny Lisowsky

DMITRIJ DMITRIEVIĈ ŠOSTAKOVIĈ
V. Largo dal QUARTETTO N.8 in Do minore per archi [1960]
dedicato “alle vittime del fascismo e della guerra”
non potendo egli dire e dello stalinismo

 
The Secret Holocaust Diaries: The Untold Story of Nonna Bannister
di Nonna Lisowskaja Bannister
con Denise George e Carolyn Tomlin
[2009] Tyndale House Publishers, Inc.
 
da IL TRENO VERSO L’AGONIA
Capitolo primo
Imbarco sul treno
 

Mio Dio – non è proprio come ci immaginavamo che fosse questo viaggio! Siamo stipati come sardine in un barattolo nei vagoni bestiame del treno. Ci sono soldati tedeschi con i fucili con noi e la mamma è spaventata. (Io lo so che lei lo è.) La mamma s’illude ancora che noi si possa scendere dal treno e dimenticare il nostro bagaglio e andarcene a casa.
Giù c’è la nonna a circa venti passi, ci guarda così scioccata e sgomenta – sta piangendo – con le lacrime che le scorrono sul viso, mentre ci fa un cenno di saluto con la mano. In qualche modo io sento che non la rivedremo mai più. Il treno comincia a muoversi, mamma e io guardiamo la Nonna, finché non scompare alla vista. Alle ore 16:00 (4:00 p.m.) ognuno nel nostro vagone è molto quieto e nessuno sta parlando. Alcuni stanno piangendo sommessamente – e io sono felice di avere il mio diario e due matite.
Mi sono rifugiata nell’angolo più lontano possibile, così era come se avessi una stanza per scrivere. Ora la porta del nostro vagone è aperta, ma io posso sentire dei rumori sopra il tetto. I soldati tedeschi si sono piazzati in cima al treno, e stanno parlando e cantando. Credo che stiano bevendo – mi sembrano ubriachi.
È quasi mezzanotte – la luna è così grande – noi stiamo attraversando grandi campi. Ho bisogno di andare più vicino alla porta per respirare un po’ d’aria fresca. Come mi avvicino alla porta aperta, vedo un paio di gambe con degli stivali neri a penzoloni proprio sopra la porta, poi una faccia si sporge in giù e il soldato grida, “Ciao, bella!” e io scappo via molto velocemente dalla porta. La mamma mi tira più vicino a lei, e sento che sto per addormentarmi.

 
L’8 Agosto 1942 annota;
 

Quando ci svegliamo, possiamo guardare l’orizzonte e vedere il sole che sorge dai bordi dei più grandi campi che io abbia mai visto – è una bellissima aurora! Dove siamo? Quanto siamo vicini a Kiev? Il treno sta rallentando come se ci dovessimo fermare.

 
Il 10 Agosto 1942 di fronte al tramonto che scorre via insieme al paesaggio al passare del treno, ci lascia questo denso e triste “addio”:
 

Non dimenticherò mai la vista dell’ultimo tramonto mentre stavamo lasciando Kiev. Il sole sembrava una enorme palla di fuoco rosso e arancione, e stava scendendo lentamente contro l’orizzonte alla fine dei campi senza fine. Era quasi come se il sole stesse dicendo, “Addio, cara, non ci rincontreremo mai più su questo suolo!” In piedi vicino alla porta del vagone continuai a guardare il sole finché non scomparve completamente. Poi mi sentii improvvisamente molto triste e sola. Era un “addio” che mi fece percepire che una parte di me era morta. Molti tramonti e aurore ci furono da allora in poi, ma mai nessuno così bello come il tramonto che vidi a Kiev.
Ora so che stiamo per essere condotti in Polonia, e la mamma sta cominciando ad architettare piani per scappare quando faremo la prima fermata in Polonia. La prossima fermata dovrebbe essere per il pasto. Noi strisceremo sotto il vagone e aspetteremo che tutti siano risaliti, poi usciremo rapidamente e correremo verso il bosco. La mamma sta progettando.

 

Traduzione di Orsola Puecher [da qui]
Copyright©2009 by NLB Partners. All rights reserved.

 
Gli episodi raccontati nei vari brevi capitoli sono scritti benissimo, con una capacità di visione, d’introspezione emotiva e narrativa davvero rara. Per uno strana necessità spazio temporale Nonna, a volte, mescola alle parole scritte nel passato il suo sguardo retrospettivo su di esse al momento della trascrizione. Ma sono brevi momenti di meditazione che nulla tolgono all’insieme della testimonianza.
L’infanzia fatata, che sta lì a far da contrappunto salvifico alle varie tragedie, si interseca con episodi che vanno dalla partenza per l’Università del fratello, che Nonna non rivedrà mai più, all’uccisione del padre che si era nascosto in cantina all’arrivo dei Tedeschi, a cui dopo la cattura furono strappati gli occhi e che a questo sopravvisse solo pochi giorni, alla successiva decisione della madre di accettare l’offerta dei Tedeschi che mascheravano una vera e propria deportazione in massa di schiavi con il miraggio di un fantomatico lavoro in Germania.
Convogli di ebrei russi rastrellati e di lavoratori schiavi viaggiavano insieme verso un comune destino, che a poco a poco si delinea nella sua realtà nel racconto di Nonna.
Dopo vari impieghi in fabbriche tedesche Nonna e la madre Anna trovano lavoro in un ospedale. Ma Anna per aver aiutato degli ebrei viene arrestata dalla Gestapo e finisce prima a Ravensbrück e poi a Flossemburg. Nonna si ammala di febbre reumatica con gravi complicazioni cardiache e si aggrava dopo le notizie sul destino della madre. In una lettera dal campo di Flossemburg ci sono le sue ultime parole per la figlia e quelle di una compagna che racconta che Anna, che era musicista, pianista e violinista, costretta dai nazisti a suonare per gli ufficiali nell’orchestra del campo, quando si rifiuta per via di una ferita a un braccio, causata da un caduta, non viene creduta e per punizione le vengono spezzate le braccia e le dita, con il seguito di una dolorosa e probabilmente irreversibile cancrena. La guerra finalmente finisce. Nonna dopo essere stata a lungo fra la vita e la morte, riesce a guarire, e cerca dovunque la madre, nei campi profughi, ma senza esito. Così, sfuggendo all’obbligo di tornare in Unione Sovietica, riesce a emigrare in America, dove si rifarà una nuova vita, felice e serena, nascondendo a tutti il suo segreto di inguaribile dolore.
 
In onore di queste giovani scrittrici e delle loro memoria trascrivo questo pezzo del diario di Anna Frank che parla leggera, vivace e profonda del tragico destino della sua penna stilografica, come una premonizione.
 

JAMES WHITBOURN Kyrie da Annelies 2005
Chamber Choir con Steve Duke, sax soprano

da IL DIARIO DI ANNA FRANK.
 

Cara Kitty,
ho un bel titolo per questo capitolo:
“Ode alla mia stilografica
in memoriam”
La mia stilografica fu sempre per me un prezioso possesso: l’apprezzavo molto, soprattutto per la sua grossa punta, perché io so scrivere bene soltanto se il pennino della stilografica ha la punta grossa. La mia penna ha una vita assai lunga e interessante, che ora ti racconterò in breve.
Quando compii nove anni, essa mi arrivò avvolta di ovatta in un pacchettino, come “campione senza valore”, da Aquisgrana, dove abitava mia nonna, la buona donatrice. Ero a letto coll’influenza, mentre il vento di febbraio soffiava attorno alla casa. La gloriosa penna era in un astuccio di cuoio rosso e fu subito mostrata a tutte le amiche. Io, Anna Frank, fiera proprietaria di una penna stilografica.
Quando ebbi dieci anni, potei portare la penna a scuola e la signorina mi permise di servirmene per scrivere. Quando ebbi undici anni dovetti riporre il mio tesoro, perché la signorina della sesta classe non ammetteva che penna e calamaio. Quando ne compii dodici e andai al Liceo ebraico, la mia stilografica si ebbe per maggior onore un nuovo astuccio in cui c’era posto anche per una matita e per di più munito di chiusura lampo. A tredici me la portai nell’alloggio segreto, dove percorre con me le innumeri pagine del diario. Ora sono arrivata a quattordici, ed è l’ultimo anno che la mia penna ha passato con me…
Fu un venerdì pomeriggio dopo le cinque: io venivo dalla mia cameretta e volevo andarmi a sedere al tavolino per scrivere, ma fui rudemente spinta da parte e dovetti cedere il posto a Margot e al babbo che volevano fare i loro esercizi di latino. La stilografica rimase inutilizzata sul tavolo, mentre la sua proprietaria si accontentò sospirando di un angolino del tavolo e si mise a strofinare fagioli. “Strofinare fagioli” qui significa ripulire i fagioli ammuffiti. Alle cinque e tre quarti scopai il pavimento, raccolsi lo sporco e i fagioli marci in un giornale gettai tutto nella stufa. Ne venne fuori un’enorme fiammata, e io fui contentissima di avere in tal modo ravvivato la stufa che pareva già quasi spenta. Tutto era di nuovo tranquillo, i latinisti avevano finito e io andai a sedermi al tavolo per cominciare, finalmente, a scrivere; ma la mia stilografica era irreperibile. La cercai dappertutto, la cercarono Margot, mamma, papà e Dussel, ma la penna era scomparsa senza lasciar traccia. «Forse è andata a finire nella stufa coi fagioli» insinuò Margot. «Ma no, assolutamente no» risposi io. La sera, però, la penna non era ancora ricomparsa e allora ci persuademmo tutti che era bruciata, tanto più che la celluloide è infiammabilissima.
Ed effettivamente i nostri tristi sospetti furono confermati la mattina seguente, quando papà nel ripulire la stufa trovò fra le ceneri il fermaglio metallico. Ma del pennino d’oro non si trovò traccia. «Certamente dev’essersi cotto rimanendo appiccicato ad una mattonella» disse il babbo.
M’è rimasta una consolazione, sebbene assai magra: la mia stilografica è stata cremata, proprio come vorrei io, a suo tempo.
La tua Anna.

[Traduzione di Arrigo Vita]

 
 
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d’inverno.

 
P. Levi “Se questo è un uomo” 1947
 
[ alla mia mamma Rosita Lupi Puecher che questo libro molto amava ]

Le due Sicilie

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di Helena Janeczek

Quel che monta letteralmente dalla Sicilia, fa impressione e lo faceva già laggiù. L’isola messa in ginocchio, la gente che si comporta come se fosse scoppiata una guerra. Non basta posizionarsi pro o contro: riconoscere la rabbia di chi è ridotto agli stremi, o avvisare che il movimento è guidato dai fascisti di Forza Nuova. Non basta nemmeno ricordare che se in tutta Italia la politica è sputtanata, la Sicilia rappresenta la più alta realizzazione dello schifo. Tutto vero.

Incontinental Jazz

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A blue note
di
Claudio Loi
su Magazzino jazz Articoli musicali d’occasione
Mobydick I libri dello Zelig. 2011 di Franco Bergoglio

Partiamo dalla fine. Il libro si chiude con una lunga intervista all’americano John Gennari, esimio professore dell’Università del Vermont e autore di Blowin’ Hot and Cool: Jazz and its Critics un libro che cerca di aprire nuove strade nella comprensione e nella divulgazione del jazz. Il volume, uscito per i tipi dell’University of Chicago Press nel 2006 (ancora in attesa di una versione in lingua italiana), propone una personale storia della ‘critica jazz’ e si inserisce in modo autorevole nei cosiddetti Jazz Cultural Studies una materia che negli States gode di grande attenzione ma che in Italia è ben lontana da avere adeguati riconoscimenti. Il nuovo lavoro di Franco Bergoglio si posiziona proprio in questo segmento di conoscenza, una visione del jazz che si allontana dal semplice approccio storiografico e si spinge verso altre sensibilità laddove vengono in supporto gli studi sociali (sociologia e antropologia culturale ma anche politica) e sferzanti visioni filosofiche (estetica e dintorni).

Il tutto proposto con una scrittura fluida e friendly e con un retrogusto dal taglio british (inteso come leggero distacco intellettuale mai snob). E non inganni il titolo del libro e delle sezioni (Saldi al 70%, Saggi (mica tanto!), Articoli a metà prezzo, Fondi di magazzino) che sembrano rimandare al reparto delle offerte speciali o alle lusinghe delle occasioni da outlet. Qui è tutto artigianato creativo di gran qualità offerto al giusto prezzo senza trucchi e senza inganni. Piuttosto, come consiglia lo stesso Bergoglio, sarà meglio considerare il termine magazine riferendolo a quei periodici in lingua inglese che possono contenere argomenti molto diversi tra loro e di difficile catalogazione. Un luogo dove la conoscenza ha bisogno di attenzioni particolari e che può riservare gradite sorprese. Curiosando pertanto nel magazzino di Bergoglio ci possiamo imbattere in appassionati creatori di playlist immaginarie, in collezionisti irriducibili, ci possiamo ritrovare al bordo di un ring mentre Miles Davis scarica le sue tensioni o attraversare i percorsi creativi di John Coltrane che raccoglie le sue cose preferite. Ritroviamo pagine già edite, sparse tra riviste e webzine, e nuove intuizioni estetiche senza un filo conduttore ma legate esclusivamente dalla grande passione per il jazz. Insomma il mito della musica afroamericana rivive nelle pagine di Bergoglio attraverso una luce nuova e inedita e l’approccio romantico e umanista è sempre sostenuto da una ferrea disciplina metodologica. D’altronde lui stesso ama definirsi un “critico e scrittore al servizio del jazz” e leggendo i suoi articoli (e anche il precedente volume Jazz! Appunti e note del secolo breve, Costa & Nolan) non si fatica poi tanto a capire perché.

Dimensioni del mercato ebook italiano

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Le vendite di ebook in Italia hanno totalizzato in tutto il 2011 circa 3,7 milioni di Euro, centomila euro più centomila euro meno. Ovvero meno dello 0,3% del mercato totale dei libri trade (fiction e non-fiction). Per circa 500mila ebook venduti nel corso dell’anno. Circa 1400 di media al giorno.

nel mese di dicembre, al suo primo mese di attività, il Kindle Store di Amazon ha raggiunto e superato le vendite di Ibs.it, praticamente facendo aumentare, in un solo colpo, del 50% il mercato totale degli ebook. Vuol dire che nel 2012 il mercato degli ebook varrà all’incirca il quadruplo del 2011.

Antonio Tombolini sul suo blog: Ebook, ecco cosa sta succedendo in Italia

L’iPhone e il re pallido

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di Giuseppe Zucco

Dalla viva voce di Alessandro Baricco alle colonne del Venerdì di Repubblica: Fondare una scuola, aprire un teatro, inventare un certo modo di fare televisione sono operazioni più simili all’arte che all’artigianato. L’iPhone, che è la risultante di molte cose, vi è certamente più vicino [all’arte] che non Infinite Jest di Foster Wallace. Ok, diciamo pure che resto colpito da tale affermazione, ma colpito come una martellata sul dito più piccolo e indifeso.

Una piccola tabaccheria. 3

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W. H. Auden

Gare du Midi

A nondescript express in from the South,
Crowds round the ticket barrier, a face
To welcome which the mayor has not contrived
Bugles or braid: something about the mouth
Distracts the stray look with alarm and pity.
Snow is falling. Clutching a little case,
He walks out briskly to infect a city
Whose terrible future may have just arrived.

Progettare narrativa interattiva

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Enrico Colombini spiega come si realizzano storie a scelte multiple, dai libri gioco degli anni ’80 alla narrativa ipertestuale fino all’ultima generazione di ebook interattivi. Quali tipi di percorso si possono scegliere, i meccanismi combinatori, variabili, stati e compromessi produttivi, spiegati con diagrammi ed esempi. Un articolo che chiunque si interessi di giochi e di narrativa dovrebbe leggere.
Progettare puzzle in un ebook

Qui una sua intervista in occasione dell’uscita della sua polistoria su iOS (iPhone).

Indypendentemente: per una cartografia delle librerie indipendenti (Libreria Marco Polo-Venezia)

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Questionario Librerie Indipendenti: dopo la splendida incursione di Chiara Lasagni risponde il libraio Claudio Moretti della Marco Polo di Venezia.
A cura di effeffe

Ci parli della tua libreria? Presentazione, storia, caratteristiche sul territorio, criticità e anche dei momenti belli tosti, se ti va

Premetto che mi sento onorato a esser chiamato a rispondere a queste domande per tracciare una cartografia delle librerie indipendenti in Italia. La mia è una piccola libreria ed è appena nata rispetto a tante altre librerie a soprattutto rispetto a librai che hanno dedicato una vita a questo lavoro. Mi sento molto vicino a Chiara della libreria Il Terzo Luogo, che mi ha preceduto in questo percorso librario: è una bella coincidenza che ci si ritrovi anche qui. Le nostre librerie non hanno rapporti, fra librai non ci conosciamo, eppure siamo stati entrambi “scelti” sia per l’intervista sia come tappe di una mostra dedicata all’arte e ai libri: le Talee di Beatrice Meoni sono partite dal Terzo Luogo di Sarzana per approdare come ultima tappa a Venezia nella mia libreria.

Libreria Marco Polo è una libreria che cerca di mantenersi in movimento. E’ l’unica definizione che riesco a dare della mia libreria perchè penso che sia questa l’unica nota che ha caratterizzato gli anni trascorsi e che si manterrà costante nei prossimi anni: una costanza di movimento, di trasformazione, di adattamento.
Questa è l’azione costante a cui è sottoposta la libreria, ma non è un’azione imposta dal libraio: quello che faccio io è più un indirizzare dolcemente questo movimento, cercare di assecondarlo, deviarlo se mi sembra opportuno ma senza mai fermarlo.

Potrà sembrare strano che questo sia il lavoro di un libraio eppure, nel mio caso, sono stati i libri a fare la libreria e il libraio. Libreria Marco Polo (quella che c’è ancora, non quella di viaggio che abbiamo dovuto chiudere nel 2011) nasce nel 2006 come libreria di remainder e di usato. Senza nessuna esperienza come libraio e soprattutto senza alcuna idea del magico e immenso mondo del libro usato, sono stato letteralmente sommerso dai libri usati: ci sono giornate che il numero delle persone che vengono a vendere i loro libri è pari al numero dei clienti, peccato che chi viene a vendere libri arrivi con le borse piene e chi viene a comprare esca con uno-due libri. Ecco perchè dico che la libreria è stata fatta dai libri, dai libri che arrivavano, singoli, a borse, in scatoloni, intere biblioteche: quello che io ho imparato a fare abbastanza velocemente è capire cosa c’era da tenere e come adeguare la libreria (gli scaffali, l’esposizione, le vetrine) a quello che quotidianamente arriva in libreria. L’offerta della libreria è diventata ben presto varia ma soprattutto interessante: le vere “chicche” che mi arrivavano, non solo prime edizioni o libri costosi, erano e sono libri di cui io non conosco nemmeno l’esistenza finchè non mi si materializzano davanti. Come avrei potuto avere una stupefacente varietà (lo stupore è una costante del cliente che si avventura per la prima volta nella mia libreria)  se avessi dovuto partorire con la mia mente l’intero assortimento?

Nel 2010 libreria Marco Polo da libreria dell’usato con libri in italiano e inglese diventa una libreria “completa”, aggiungendo all’usato una sezione di libri nuovi: la decisione è motivata dal fatto che la libreria sorella, l’altra Marco Polo, sta chiudendo; nata come libreria di viaggio e trasformatasi poco alla volta in una libreria di varia, dopo due anni di successi entra in crisi e non riesce più a risollevarsi.

I libri nuovi nella mia libreria entrano gradualmente: prima di tutto arriva Minimum Fax. Quando compro l’intera biblioteca di un privato, cinquecento o mille volumi,  questo arrivo cambia il volto della libreria e, almeno per un po’ di tempo, in libreria si sente la personalità del proprietario dei libri. Allo stesso modo volevo che l’arrivo dei libri nuovi modificasse il volto della libreria e che entrando si notasse subito il cambiamento: per questo ho scelto di avere l’intero catalogo di un editore e fra i possibili candidati la migliore scelta che potessi fare era Minimum Fax, quella che garantisce, oltre ad un ottimo assortimento, una vera personalità nel catalogo.

Da Maggio 2011 ho inziato anche a tenere le novità che mi piacciono, cercando di impegnarmi in due cose molto semplici: leggere i libri che compro e tenere i titoli almeno per sei mesi.  E’ appena passato il periodo natalizio e devo dire che la mia scelta, proporre titoli che mi piacciono anche se fuori dalla classifiche, non è stata per nulla azzardata.
E’ bene sapere, comunque, che la vendita dei libri usati mi permette di vendere anche libri nuovi e non viceversa: se dovessi campare solo con la vendita dei libri nuovi, avrei veramente grandi difficoltà.

Con l’apertura ai libri nuovi ho raccolto il testimone della libreria sorella anche per quanto riguarda le presentazioni: nel 2011 abbiamo organizzato oltre venti incontri fra presentazioni e letture. All’inizio organizzavamo tutto in libreria ma poco alla volta ci siamo aperti alla città ed è stato molto piacevole portare la libreria e i libri fuori: in questo modo le presentazioni diventano un modo per incontrare e stabilire relazioni non solo con scrittori ma anche con realtà veneziane come il centro sociale Laboratorio Morion, il circolo arci Metricubi e Ca’ Tron Città Aperta.
Fra le ultime presentazioni, sono affezionato a quella di Ivan Polidoro, splendida la sua lettura di “Le coincidenze”, e alla serata con Sergio Garufi e il suo “Il nome giusto”.

Chi non conosce Venezia e chi non vorrebbe venire a visitare Venezia? Venezia è visitata ogni anno da un numero esagerato di turisti. Questo afflusso enorme sommato al numero esiguo dei residenti, poche decine di migliaia nel centro storico, di fatto impone che tutte le attività commerciali debbano fare i conti con il turismo, trovando un modo per vivere o venendo spazzati via. Sono la maggioranza ormai le botteghe che sono SOLO per turisti, con merce che nessun residente andrebbe a comprare.  Anche le librerie subiscono questo influsso del turismo. Libreria Marco Polo nasce anche rivolta al turismo e continua a farlo ancora adesso, proponendo una vasta scelta di libri in lingua straniera, soprattutto in inglese. Questo però senza mai diventare negozio esclusivamente turistico: la sensazione del turista che entra in libreria è quella di essere entrato, finalmente, in un negozio normale dove può trovare quello che gli serve. Questo aspetto della libreria, fortemente voluto e difeso contro chi a varie riprese proponeva di vendere articoli più “appetibili” per i turisti, ha fatto sì che questa libreria sia frequentata in modo paritario da turisti e residenti, da collezionisti di passaggio e da lettori veneziani creando molte volte l’occasione di piacevoli incontri.

Cos’altro dire della mia libreria? Che siamo bravi e veloci nel trovare i libri che i nostri clienti ci chiedono, sia in catalogo che fuori. Che organizziamo corsi in libreria, di fotografia e prossimamente di scrittura. Che ogni mercoledì la libreria si trasforma in un mercato di frutta e verdura perchè siamo punto di consegna di un’azienda agricola: i veneziani che abitano in zona possono ordinare direttamente a Donna Gnora e settimanalmente gli ordini vengono recapitati in libreria. E’ una specie di sostegno, non remunerato, ad un’azienda agricola che sento vicinissima, per idee e azioni, molto più vicina di una libreria di catena, dove l’unica cosa in comune con la mia libreria è la tipologia merceologica.
Ultimo, ma non meno importante, la libreria è sia fisica che online: la vendita dei libri fuori catalogo avviene tramite vari canali di vendita online, Maremagnum, Abebooks, Biblio, Comprovendolibri, Libribooks e Amazon. La vendita online, limitata ai soli libri usati, è un apporto fondamentale alla vita della libreria, economicamente e funzionalmente: la quantità dei libri esposti in libreria è pari alla quantità dei libri consultabili esclusivamente online e fisicamente giacenti in un magazzino.

Quando entri in una libreria (da lettore, cliente) cosa osservi? Che cosa attira la tua attenzione?

Nelle librerie di catena solitamente non entro e mi interessano anche poco. Nelle altre librerie quello che noto è se si vede una coerenza.
Mi è capitato giusto pochi giorni fa di entrare in una libreria che mi avevano consigliato di visitare. E’ una libreria giustamente famosa, organizza moltissime attività culturali, ha un assortimento di libri che io me lo sogno ma c’era qualcosa che stonava: avevano praticamente tutto. C’era troppo, c’era anche quello che si tiene perchè comunque qualcuno lo chiederà, perchè è in classifica o è di moda. Questo potrà forse favorire le vendite ma fa crollare la coerenza della libreria. Io la chiamo coerenza, possiamo chiamarla identità, personalità: sono i libri e le scelte di posizionamento dei libri, valide per una libreria di 30 o di 300 mq. Io prediligo le librerie a coerenza elevata, dove la proposta del libraio si riconosce dalla vetrina e prosegue all’interno, dove si rischia sempre di trovare un libro che non ti aspetteresti, dove non vai solo a cercare quel particolare titolo ma dove puoi “incontrare” un libro.
Quelle a bassa coerenza hanno poco senso di esistere perchè ci sono già le librerie di catena e i siti di vendita online, dove chiunque può trovare qualsiasi libro.

Come definiresti una libreria indipendente?
Una libreria è indipendente se non è di catena o non è un franchising, se comunque non ha legami societari od economici con altri soggetti della filiera del libro (grossisti, distributori, editori) che limitino di fatto la sua indipendenza.
Una libreria indipendente non è per definizione una libreria buona o migliore delle altre. Il fatto di essere indipendenti è neutro rispetto alla qualità della libreria. Però, ed è un però enorme, è un confine che segna chi sta da una parte e chi sta dall’altra: un discrimine fra un tipo di libreria e un altro tipo. E’ bene, a mio giudizio, che i clienti sappiano quale libreria è indipendente e quale non lo è e dopo decidano dove andare a comprare i libri. E’ bene che gli amministratori della cosa pubblica, nel momento che devono favorire delle attività commerciali, sappiano quali sono le librerie indipendenti e quali non lo sono.

Ci sono in Italia organizzazioni associazioni, strutture dedicate alle librerie indipendenti?
A Venezia abbiamo tentato di creare un’associazione di librerie indipendenti ma la mia idea di indipendenza non ha trovato molti sostenitori. Mi si obiettava che era meglio muoversi per favorire l’inclusione invece dell’esclusione. Io invece continuo a pensare che sia ancora vero “meglio pochi ma buoni” e quindi vedo con fiducia a questa iniziativa di cartografia di librerie indipendenti: un modo per conoscere alcune realtà che associno l’indipendenza alla qualità e alla voglia di restare vivi, alive and kicking: magari fra queste librerie potrà nascere una forma di collaborazione, su scopi chiari e ben definiti come è stato per l’unione degli editori di Mulini a Vento.

Che cosa ti piacerebbe che fosse la tua libreria?
In libreria abbiamo già un Tea Corner ma è minuscolo. Quello che mi piacerebbe avere è uno spazio vero per una caffetteria, mi piacerebbe che la libreria fosse un luogo fisicamente più accogliente. Altre cose non le vorrei, magari mi possono piacere quando le vedo in un’altra libreria ma non sono adatte alla mia. Visto che sono stati i libri a fare la libreria, non poteva che venire così….

Chi cazzo te l’ha fatto fare di fare il libraio?
Ho fatto altri lavori prima di fare il libraio e non c’è paragone. Sono passato attraverso diverse ristrutturazioni aziendali. Ci sono miei ex colleghi che adesso stanno combattendo con una multinazionale che vuole delocalizzare la produzione e lasciarli a casa. E io dovrei lamentarmi? Se poi penso solo a una delle riunioni che ho fatto nella mia precedente vita lavorativa, mi viene una voglia matta di andare in libreria a lavorare, con i miei ritmi, con i miei libri, con gli amici che passano a trovarmi, con i clienti che sono quasi sempre piacevoli.
Io sono molto fortunato, sto facendo un lavoro che mi piace. E so che se un giorno fare il libraio non sarà più possibile, mi inventerò qualcos’altro per vivere come ho già fatto in passato.

Le notti sembravano di luna

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di Gianni Biondillo

Laura Bosio, Le notti sembravano di luna, Longanesi, 214 pag.

La storia di Le notti sembravano di luna, in fondo, è presto detta: Caterina è una bambina di dieci anni in una eterna Italia di provincia in prossimità del boom economico del dopoguerra. Di tutti i sogni di bambina possibili il suo è quello meno femminile, in un paese che sta scoprendo l’emancipazione portata dall’industria ma che è ancora, culturalmente, contadino nel profondo: Caterina vuole correre in bicicletta, fare agonismo, vuole conoscere e affiancare i campioni del Giro d’Italia.

Leggiamo di continuo storie così. E di continuo ci affascinano, perché ogni volta sono identiche e differenti. Perché ogni volta ci viene riproposta la condizione umana, che è sempre identica e differente. Ogni volta ripercorriamo le stesse ansie e le riscopriamo di nuovo. C’è una età, quella dove il mondo fantastico dell’infanzia e quello inquieto dell’adolescenza si incontrano. Una terra di mezzo, dove cambia la voce, il corpo, la mente. Dove l’universo mitico e liquido della fanciullezza si raggruma, si solidifica in una identità più certa, marcata, dove si segna il carattere delle persone. Che diventano individui. Solidi e al contempo univoci, perciò malinconici.

Laura Bosio ci racconta tutto ciò. Ci racconta le piccole fabbriche di un nord ovest operoso, le moderne case di periferia, templi della nuova ricchezza, gli orti, il lungofiume, la cittadina ostile come un castello medievale, abitata da adulti irrisolti e da ragazzini che scoprono i primi, titubanti, turbamenti erotici. Tutto questo ce lo racconta visto dal sellino della bicicletta di Caterina. Non in velocità, ma con leggerezza, con equilibrio. La scrittura è limpida, anche se screziata da interferenze raffinate (chi dialoga con chi? Chi narra, per davvero, questo romanzo?) e l’affetto che l’autrice ha profuso tratteggiando i suoi personaggi è palpabile. Regalandoci, infatti, profili umani, sconfitti e fragili – come il padre di Caterina – difficili da dimenticare.

[pubblicato su Cooperazione n. 47 del 22 novembre 2011]

Malocchio

1

di Zoè Gruni

“Malocchio 1” è stato esposto nel 2011 ad Arte Fiera a Bologna (Galleria Il Ponte)